|
|
Spartaco n. 77 |
Ottobre 2013 |
|
|
Imperialisti: giù le mani dalla Siria! La Siria: polveriera del Medio Oriente Per più di un anno, gli imperialisti hanno dato aiuti finanziari e armi “non letali”, agli insorti siriani, minacciando di bombardare il regime siriano di Assad se avesse superato la “linea rossa” dell’utilizzo di armi chimiche. A fine agosto, l’intervento sembrava imminente e gli Stati Uniti, l’Inghilterra e la Francia, pronte a capeggiare una nuova “coalizione dei volonterosi”.
Perciò, quando il presidente americano Barack Obama ha annunciato la sospensione dei piani di attacco contro la Siria per esplorare la proposta del suo omologo russo Vladimir Putin di mettere le armi chimiche siriane sotto “controllo” internazionale, mezzo mondo ha tirato un respiro di sollievo. L’autocrate russo ha sottolineato che un intervento militare in Siria avrebbe “fatto altre vittime innocenti e creato un’ulteriore escalation” e in un intervista al New York Times (11 settembre) ha tracciato un’immagine efficace della bellicosità americana: “Milioni di persone in tutto il mondo vedono l’America non come un modello di democrazia, ma come semplice forza bruta, che crea coalizioni al grido di: ‘o con noi, o contro di noi’”. La cosa ha fatto infuriare i media americani. Ma è un segno dei tempi e della forte opposizione internazionale ad un attacco militare contro la Siria, il fatto che un personaggio come Putin, uomo forte del capitalismo russo e massacratore dei combattenti per l’indipendenza cecena, sia stato proposto (seriamente) come candidato al premio Nobel per la pace: premio che corona spesso i criminali di guerra, nelle occasioni in cui ricorrono alla retorica diplomatica.
Obama ha perso uno dopo l’altro i possibili pezzi della sua ipotetica coalizione. A Londra, il 29 agosto, con una ribellione a sorpresa, il parlamento ha respinto la mozione di David Cameron che autorizzava la Gran Bretagna ad affiancare gli usa nei bombardamenti. Poi, di fronte alla forte opposizione della maggioranza della popolazione americana, stanca di guerre e torchiata da anni di crisi economica, è stato costretto a chiedere al Congresso di dargliene l’autorizzazione. Anche al Congresso però l’entusiasmo scarseggiava, perché molti padroni capitalisti non sono interessati ad andarsi ad impantanare di nuovo in Medio Oriente, specialmente non in Siria, dove la spina dorsale dei ribelli è costituita da fondamentalisti islamici dediti alla distruzione del grande Satana americano.
Nei Paesi dell’Unione Europea, avviluppati in una crisi permanente e mossi da interessi strategici diversi, solo il governo del partito “socialista” di Hollande in Francia, ha dimostrato la propensione guerrafondaia ad affermare il ruolo francese nel suo vecchio impero coloniale. Perciò alla fine, la mossa di Putin ha dato agli Usa una via d’uscita temporanea dal caos. Anche se nell’immediato la possibilità di un attacco alla Siria sembra essersi allontanata, il commander-in-chief americano si è comunque riservato il diritto di “agire unilateralmente” se non sarà soddisfatto dal risultato degli accordi sulle armi chimiche.
I governanti dei paesi imperialisti sono direttamente responsabili della conflagrazione che attraversa il Medio Oriente. Le potenze imperialiste, la cui “guerra globale contro il terrore” ha già fatto innumerevoli vittime, hanno scommesso sui reazionari fondamentalisti sunniti che dominano le forze dell’opposizione siriana. Negli ultimi mesi, anche l’Iraq è stato nuovamente sommerso da una guerra settaria che contrappone una serie di milizie sunnite al governo dominato dagli sciiti del primo ministro Nuri al-Maliki, che continua a mietere vittime. Ironia della storia, l’occupazione statunitense ha installato in Iraq un regime dominato dagli sciiti, strettamente legato all’Iran. Gli israeliani e i loro alleati imperialisti Usa, considerano l’Iran come una potenziale minaccia al loro monopolio delle armi nucleari nella regione e hanno sottoposto il paese a sanzioni sempre più punitive. Anche se il governo iraniano nega di voler sviluppare armi nucleari, l’Iran ha chiaramente bisogno di armi nucleari per difendersi contro gli imperialisti. Abbasso l’embargo contro la Siria e l’Iran!
Il regime di Assad plaude Putin per aver ottenuto un accordo che considera una vittoria. I ribelli siriani, al contrario, speravano che la campagna conto il presunto uso di armi chimiche avesse posto le basi per un bombardamento a loro sostegno e hanno condannato con veemenza l’accordo. I marxisti non sostengono nessuna delle due parti nella guerra civile siriana, che vede contrapposte due forze reazionarie: il regime del macellaio Assad e un’accozzaglia di forze ribelli che vanno dagli islamisti duri e puri a personaggi un po’ più laici, che sono armati in primo luogo dagli Stati del golfo Persico e che sembra abbiano anch’essi usato armi chimiche. Tuttavia, nel caso di un attacco militare da parte dei ladri imperialisti, sarebbe dovere del proletariato, in particolare nei paesi aggressori, schierarsi per la difesa della Siria.
Ipocrisia e menzogne imperialiste
L’ombra della guerra irachena, giustificata a suo tempo dalle menzogne sulle presunte “armi di distruzioni di massa” ammassate da Saddam Hussein, getta molto scetticismo sulle affermazioni dei servizi segreti secondo cui l’attacco coi gas nei dintorni di Damasco sarebbe opera del regime di Assad. Agenti stessi dei servizi segreti americani sono stati costretti ad ammettere che le prove non sono “per niente schiaccianti”. Quello che è certo è che gli imperialisti sono maestri di provocazioni quando gli torna utile. Viene in mente ad esempio “l’incidente del golfo del Tonchino” del 1964, un falso attacco contro una nave da guerra americana da parte delle forze del Vietnam del Nord, inscenato dall’amministrazione di Lyndon Johnson per dare un pretesto al massiccio dispiegamento delle forze americane in Vietnam.
Il movente dei governanti americani non è certo la preoccupazione di proteggere i civili dai massacri. Non hanno battuto ciglio mentre il regime militare salito al potere in Egitto con il golpe di luglio massacrava centinaia di manifestanti. Non sappiamo chi sia responsabile dell’attacco coi gas del 21 agosto ma come marxisti, la nostra posizione non è definita da quale delle due forze reazionarie che si confrontano nella sanguinosa guerra civile siriana ne sia stata autrice. La cosa da capire è che l’imperialismo Usa è il pericolo principale per i lavoratori e gli oppressi di tutto il pianeta. Da parte nostra, un eventuale difesa della Siria, in quanto paese coloniale, contro un intervento imperialista, non implicherebbe il benché minimo appoggio al suo governo reazionario, dominato dagli alawiti. Ciò contrasta nettamente con organizzazioni riformiste, esemplificate in Italia dal Partito comunistasinistra popolare di Marco Rizzo, che sostengono politicamente il regime di Assad. Ma a differenza di gran parte della sinistra nei centri imperialisti, non sosteniamo neppure i ribelli, che sono in gran parte fondamentalisti sunniti.
La guerra civile siriana sta diventando sempre di più una guerra tra comunità sciite e sunnite estesa a tutto il Medio Oriente, allargandosi dalla Siria, al Libano e all’Iraq. In Iraq, le forze sunnite legate ad Al Qaeda hanno intensificato gli attentati nei quartieri sciiti, minacciando di riaprire la carneficina che sommerse il paese nel 2006-2007. Anche il Libano sta subendo le peggiori violenze settarie degli ultimi anni, comprese le autobomba piazzate nei sobborghi sciiti controllati da Hezbollah, che ha inviato truppe in Siria a combattere al fianco di Assad. Da metà luglio inoltre le forze dei ribelli stanno conducendo una “pulizia etnica” dei curdi nel nordest della Siria.
L’estendersi delle violenze comunitarie è stato preso a pretesto dagli Stati Uniti per giustificare il concentramento di forze militari in questa regione petrolifera. Lo scorso giugno, il generale Martin Dempsey, che presiede lo Stato maggiore unico, ha rivelato che gli alti comandi Usa avevano chiesto a Libano e Iraq il permesso di schierare truppe nei loro paesi. Queste si sarebbero sommate alle batterie di missili Patriot e di aerei da combattimento di cui gli Usa dispongono in Giordania e in Turchia, alle due basi militari britanniche a Cipro e alla massiccia presenza militare americana nel golfo Persico. Il movimento operaio deve chiedere il ritiro militare degli imperialisti dal Medio Oriente.
“Democrazia imperialista” e guerra chimica
Obama ha dichiarato di voler difendere la “norma internazionale” che proibisce l’uso di armi chimiche. La vera norma è che gli imperialisti sono pronti a usare qualunque mezzo, compresi i gas velenosi e le “armi di distruzione di massa” per proteggere i propri interessi. Quando gli imperialisti intervennero in Russia nel 1919, nel tentativo fallito di soffocare la Rivoluzione russa, l’aviazione inglese bombardò i soldati dell’Armata Rossa con gas nervino. Nello stesso anno, quando i curdi della Mesopotamia si ribellarono contro l’occupazione britannica, Winston Churchill dichiarò: “Non capisco perché tutti sono schizzinosi sull’uso dei gas. Io sono assolutamente favorevole all’uso di gas velenosi contro le tribù incivili”. L’imperialismo italiano dal dicembre 1935 alla primavera 1939, utilizzò circa 500 tonnellate di gas, iprite e fosgene nella riconquista della Libia (Angelo del Boca, Panorama, 26 giugno 1997) e fu responsabile del massacro di quasi metà della popolazione della Cirenaica, nella Libia orientale, all’epoca del suo dominio coloniale prima della Seconda guerra mondiale.
I politicanti che a Washington piangono sulle vittime civili in Siria, sono i rappresentanti dell’unica classe dominante che abbia mai usato armi atomiche in guerra, riducendo in cenere 200 mila civili giapponesi ad Hiroshima e Nagasaki nell’agosto del 1945. Durante la guerra del Vietnam le forze americane impiegarono enormi quantità del defoliante Agent Orange e di gas Cs (usati contro i combattenti nascosti nei tunnel) e bruciarono vivi col napalm gli abitanti di innumerevoli villaggi vietnamiti. In Iraq, gli Usa hanno impiegato proiettili all’uranio impoverito, spargendo ovunque polvere radioattiva.
Nel 1975 gli Usa si sono rassegnati a firmare il protocollo di Ginevra del 1925 che vieta l’impiego di armi chimiche, ma a Washington si sono riservati il diritto unilaterale di usarle se un nemico le usasse per primo. Dopo aver sbandierato la promessa di disfarsi delle enormi scorte di sarin e di altre armi chimiche, l’anno scorso gli Usa ne avevano ancora circa 2.700 tonnellate.
Durante la guerra tra Iran e Iraq del 1980-1988, il governo Usa fu complice di Saddam Hussein mentre questi lanciava orribili attacchi con armi chimiche. Gli Usa sapevano perfettamente che sin dal 1983 i comandanti iracheni usavano armi chimiche contro le truppe iraniane, ma continuarono ad appoggiare le truppe irachene anche durante l’attacco con armi chimiche contro il villaggio curdo di Halabja del 1988, in cui furono massacrati cinquemila abitanti. Poi, quando preparava l’invasione dell’Iraq nel 2003, l’amministrazione di J.W. Bush condannò ipocritamente questo attacco come prova della brutalità di Saddam Hussein.
Come nel caso di Saddam Hussein, anche in quello di Assad, gli imperialisti a Washington hanno dimenticato in fretta i servigi del passato, quando hanno deciso di non averne più bisogno. Nei primi anni della “guerra al terrorismo”, la Siria è stata una delle destinazioni principali delle extraordinary rendition, i rapimenti extralegali, uno dei paesi dove gli Usa portavano i sospetti di terrorismo perché venissero torturati. Ciò non ha impedito all’amministrazione Obama, dopo lo scoppio della guerra civile siriana, di fornire aiuto finanziario e armi leggere agli insorti e di imporre crescenti sanzioni che insieme a quelle volute dall’Unione Europea hanno messo in ginocchio l’economia siriana.
Per una federazione socialista del Medio Oriente!
Le basi della conflagrazione comunitaria che attraversa il Medio Oriente sono state poste nel periodo del dominio coloniale, quando le potenze europee manipolarono l’uno contro l’altro i diversi gruppi etnici e nazionali. La Siria, il Libano e l’Iraq non sono nazioni, ma un mosaico di popoli ed etnie diverse, ritagliati dalla Gran Bretagna e dalla Francia, al crollo dell’impero ottomano, alla fine della Prima guerra mondiale. In Siria gli imperialisti misero gli alawiti a capo di una popolazione in maggioranza sunnita (si legga “La guerra civile in Siria: un lascito del divide et impera imperialista”, Spartaco n. 76, ottobre 2012).
Il proletariato internazionale e i popoli semicoloniali pagano il prezzo della distruzione controrivoluzionaria dell’Unione Sovietica nel 1991-92. Quella sconfitta storica si è tradotta in una devastazione catastrofica delle condizioni di vita e di cultura nell’ex Unione Sovietica. Ha anche incoraggiato l’imperialismo Usa, che si è autoproclamato “unica superpotenza del mondo”, imponendo aggressivamente il suo dominio sul pianeta. Oggi, quei “socialisti” riformisti che festeggiarono la scomparsa dell’Unione Sovietica, si schierano in Siria alla coda dei ribelli spalleggiati dagli imperialisti, entusiasmandosi per una mitica rivoluzione siriana.
Un esempio è dato dalla Liga International de los Trabajadores (Lit) di cui fa parte il Partito di alternativa comunista (Pdac) in Italia. Pur opponendosi pro forma ai bombardamenti imperialisti, questi sedicenti “trotskisti” sostengono incondizionatamente le forze reazionarie dell’opposizione e chiedono a gran voce a Obama e soci di inviare loro aiuti militari.
“La Lit ha ben chiaro da quale parte della barricata debba stare: esigiamo armi e appoggio materiale per la resistenza siriana, per sopperire alla differenza qualitativa tra l’equipaggiamento del regime e quello dei ribelli. E’ necessario un equipaggiamento superiore, missili antiaerei, carri armati con tecnologia moderna. Questo tipo di materiali può essere ottenuto soltanto dai governi dell’area e da quelli imperialisti. Ed è quando poniamo questa esigenza democratica fondamentale, il diritto a difendersi per le masse siriane, che confusi sinistri e sedicenti ‘trotskisti’ si scandalizzano e vociferano riguardo alla ‘capitolazione della Lit all’imperialismo’. Vogliamo chiedere a tutti loro: non fu un’esigenza unanime di tutta la sinistra in Spagna e nel mondo l’invio di armi e l’appoggio materiale alla Repubblica quando i lavoratori e le masse si scontravano con le truppe di Franco?” (“Siria, una nuova fase della rivoluzione”, 5 ottobre 2013)
Sono decenni che la Lit abbraccia cause reazionarie care agli imperialisti (dai mujaheddin afghani contro l’Armata Rossa sovietica, agli “insorti” filo imperialisti in Libia). Gli imperialisti (e i loro alleati sauditi e qatarioti) armano già da tempo gli insorti, con qualche preoccupazione sugli invii di armi pesanti, che potrebbero poi essere usate contro di loro. Perché mai Obama e Cameron dovrebbero armare gli insorti, se fossero i rivoluzionari conseguenti che la Lit dipinge come uguali agli operai rivoluzionari di Spagna? E’ squallido che la Lit paragoni le forze reazionarie in campo in Siria, con gli operai rivoluzionari che lottavano contro il franchismo per la rivoluzione sociale. Li gli operai avevano un lato militare: la difesa delle organizzazioni operaie contro la minaccia di distruzione del franchismo!
La natura delle forze in campo in Siria invece si riflette in personaggi come Abu Sakkar, il comandante della milizia ribelle di Qusayr, che si è fatto riprendere mentre mutilava e mordeva il cuore di una delle sue vittime e che ha incitato a massacrare tutti gli alawiti. Il Guardian (14 maggio), ha spiegato che prima di formare la sua milizia l’anno scorso “Sakkar era un militante molto conosciuto delle brigate Farouq, una milizia della corrente principale” diventata una delle forze ribelli meglio armate grazie ai finanziamenti del Qatar e dell’Arabia Saudita”.
Anche il partito comunista dei lavoratori (Pcl) si oppone all’intervento militare imperialista e si schiera “a fianco della rivoluzione siriana”, anche se, a differenza del Pdac, si preoccupa della “ipoteca sempre più minacciosa che potenze arabe reazionarie e i più vari integralismi islamici rappresentano sulla sollevazione siriana” (pclavoratori.it, 16 giugno 2013). Anch’esso però si accoda al nazionalismo borghese arabo sostenendo una aclassista “sollevazione di poveri e dei diseredati della Siria” (“Giù le mani dalla Siria!”, pclavoratori.it, settembre 2013). La cosiddetta primavera araba, risoltasi in governi islamisti e dittature militari e di cui la Siria sarebbe un elemento, è per il Pcl l’incarnazione della “rivoluzione Araba (
)la più grande minaccia al dominio dell’imperialismo”. Il Pcl, in nome di una mitica “rivoluzione araba”, priva di un contenuto di classe proletario, contribuisce a liquidare la necessità della indipendenza politica e organizzativa del proletariato e la necessità di sviluppare una coscienza di classe. In nome della “rivoluzione araba” il Pcl si è accodato ad esempio alle “masse” libiche che sventolavano le bandiera di re Idris, di Francia e Gran Bretagna contro il regime di Gheddafi.
L’appoggio alla “rivoluzione” araba implica la rinuncia ad una prospettiva internazionalista proletaria. Questo, in Medio Oriente si traduce anche nell’appoggiare le forze reazionarie della borghesia che di volta in volta si mascherano dietro a questo slogan. E implica il sostegno alla repressione delle minoranze nazionali, etniche e religiose escluse dalla presunta nazione “araba”: curdi, cristiani, ebrei, berberi (e le sette musulmane localmente minoritaria). L’unica via d’uscita dalle carneficine che gli imperialisti hanno imposto al Medio Oriente, è la lotta unitaria e internazionalista del proletariato della regione. Una lotta che trascenda il nazionalismo e lo sciovinismo dominanti e porti al rovesciamento dei regimi militari, dei reazionari governi islamici, degli sceicchi filo imperialisti e dello Stato caserma sionista. Solo nella lotta per una federazione socialista del Medio Oriente, la classe operaia potrà emergere come un fattore indipendente e cambiare per sempre il volto della regione.
|
|
|
|
|