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Spartaco n. 77

Ottobre 2013

Il marasma politico della borghesia italiana: tra austerità, populismo e attacchi agli operai

Lotta di classe contro l’austerità!

Abbasso l’Unione Europea capitalista! Per un’Europa operaia!

Riproduciamo di seguito il volantino distribuito dalla Ltd’I nel maggio scorso.

Le elezioni di febbraio hanno dato una scossa al panorama politico. La borghesia sperava che dalle elezioni uscisse un governo di coalizione tra il Partito democratico (Pd) e la lista guidata dall’ex primo ministro Mario Monti, con l’appendice della sinistra liberale di Sinistra ecologia libertà (Sel), che col sostegno delle burocrazie sindacali confederali, fosse un affidabile strumento per imporre l’austerità brutale e i tagli alla spesa pubblica necessari a garantire alle banche italiane ed estere gli attesi profitti sugli investimenti nel debito pubblico italiano.

Invece il risultato elettorale ha espresso, in modo deformato, il rifiuto popolare dei diktat dei “mercati” e dell’Unione Europea. La lista guidata da Monti, ha ricevuto solo il 10 percento dei voti. Il Pd, giustamente percepito come il pilastro dell’austerità di Monti, ha perso 3 milioni e mezzo di voti. Il Popolo delle libertà di Berlusconi è riuscito ad arginare la disfatta solo con un voltafaccia, spacciandosi per acerrimo oppositore di Monti dopo averlo appoggiato per un anno e utilizzando a piene mani la demagogia antifiscale. Il vero vincitore delle elezioni è stato il Movimento 5 stelle (M5s) guidato da Beppe Grillo, un demagogo borghese populista dai tratti reazionari, che è stato in grado di raccogliere il 25 percento dei voti dalla destra e dalla sinistra dello spettro politico, col suo “vaffa” ai politici dell’establishment.

Il M5s è una formazione politica borghese, che esprime la disperazione della piccola borghesia di fronte alla pesante crisi economica e al sostegno di tutti i principali partiti borghesi (Pd in testa) all’austerità dettata dall’Unione Europea (Ue) e imposta dal governo Monti e dai governi precedenti. Il suo programma è un misto di ricette ecologiste, invocazioni della “legalità” borghese, fervido nazionalismo e protezionismo e appelli a mettere in riga i sindacati e a imporre drastici tagli alle pensioni e ai salari dei dipendenti pubblici. Se realizzato questo programma può tradursi solo induri attacchi alla classe operaia. Pur essendo stato votato in maggioranza da giovani disoccupati arrabbiati, da piccoli capitalisti in rovina e da vasti settori di una classe operaia insoddisfatta e dissanguata dalla austerità capitalista, anche il M5s è nemico degli operai, degli immigrati e delle minoranze. Parafrasando lo scrittore americano Gore Vidal, si può dire che in quel circo grottesco che è il parlamento italiano, esiste un solo partito, il partito della proprietà: un mostro con tre ali, tutte destre.

Dopo un mese di contorsioni e lotte intestine, Pd e Pdl hanno rimesso in piedi un governo di unità nazionale che dovrebbe continuare la politica di lacrime e sangue imposta da Monti e dai suoi predecessori. Il nuovo governo è stato benedetto dalla rielezione a Presidente del nonuagenario Napolitano e dall’incarico ministeriale al Pd, nella persona di Enrico Letta, il “nipote di suo zio”, (Gianni Letta, il braccio destro di Berlusconi, che nel 2008 Ratzinger ha insignito del rango di “Gentiluomo di sua santità”).

Contro la devastazione creata dalla crisi economica e dalla crisi politica borghese, contro la demagogia populista e i piani di austerità, è necessaria e urgente una dura risposta di lotta di classe. Alla chiusura di fabbriche e ai licenziamenti, bisogna opporre la rivendicazione che tutto il lavoro esistente sia diviso tra tutta la forza lavoro disponibile senza riduzione di salario. Per far fronte alla crescente distanza tra salari e costo della vita, dev’essere ottenuta una scala mobile dei salari. I sindacati devono difendere i lavoratori immigrati, che sono i primi ad essere licenziati e rivendicare per loro i pieni diritti di cittadinanza.

La classe operaia ha la forza per sconfiggere i piani dei capitalisti e svolgere un ruolo d’avanguardia per vasti settori oppressi e immiseriti della popolazione. Il maggiore ostacolo gli operai lo trovano nei loro dirigenti sindacali, che politicamente hanno sposato l’ordine borghese e sostengono l’Unione Europea reazionaria e che sono stati finora in grado di confinare e isolare le lotte. Questi burocrati spacciano la menzogna secondo cui i lavoratori e i loro sfruttatori avrebbero un “interesse nazionale” comune e che perciò i lavoratori devono fare la loro parte di sacrifici quando l’economia va a rotoli. Ma lavoratori e capitalisti hanno interessi di classe contrapposti. I cicli economici di espansione e crisi sono endemici al sistema capitalista e saranno eliminati solo quando il proletariato prenderà il potere e si impadronirà dei mezzi di produzione di proprietà della borghesia, costruendo un’economia collettivizzata e pianificata a scala internazionale.

Abbasso l’Unione Europea! Per gli Stati uniti socialisti d’Europa!

Ancora a gennaio il presidente della Commissione europea Barroso dichiarava “Possiamo dire che la minaccia esistenziale contro l’euro è sostanzialmente superata”. In realtà la crisi dell’euro e dell’eurozona è ancora agli inizi e l’Ue continua a sfaldarsi. Incapaci di contenere la crisi del debito iniziata nel 2010, i padroni imperialisti dell’Ue e i loro soci del Fondo monetario internazionale, continuano a dissanguare gli operai e la popolazione. L’ultimo “pacchetto di salvataggio” (salvataggio delle sanguisughe capitaliste) ha colpito la minuscola Repubblica di Cipro. La troika (Fmi, Banca centrale europea e Ue) ha risposto alla richiesta di Cipro di sostenere le sue banche, chiedendo in cambio la completa distruzione dell’economia dell’isola, che negli ultimi anni funzionava come un paradiso fiscale.

In Italia, il governo “tecnocratico” di Mario Monti, salito al potere nel novembre del 2011 e sostenuto da Pd e Pdl in una grande coalizione di unità nazionale, si è dedicato ad assicurare che il debito dello Stato verso i capitalisti finanziari e industriali fosse pagato fino all’ultimo euro, spremendo la classe operaia e la piccola borghesia per riempire le tasche delle banche. Ha tagliato miliardi dalle pensioni, dai salari dei dipendenti pubblici e dalla sanità. I contratti sono peggiorati sia nelle aziende private che nel pubblico e la disoccupazione è in continuo aumento: solo nel 2012 sono stati persi 609 mila posti di lavoro e altri 488 mila nei primi due mesi del 2013. Otto milioni di persone vivono sotto la soglia di povertà. La disoccupazione giovanile ha raggiunto il 38,7 percento e tra le donne con meno di 34 anni solo il 23 percento ha un posto di lavoro. Moltissimi lavoratori immigrati, colpiti già duramente dalla prima crisi del 2008, sono stati gettati nelle condizioni più misere, rischiando deportazioni e condizioni di sfruttamento ancora peggiori.

La crisi ha avuto un impatto molto maggiore sui paesi dell’Ue le cui economie erano storicamente più deboli di quella del nucleo tedesco. Nel 2010 la finanza mondiale, temendo un default della Grecia, ne ha boicottato il debito imponendo una serie di violente “riforme” per garantire i pagamenti alle istituzioni finanziarie creditrici, per lo più tedesche, francesi e italiane. L’economia greca è sprofondata in una spirale di recessione e la crisi del debito si è estesa a Spagna, Portogallo, Italia e Cipro. Le conseguenze per la classe operaia e le popolazioni di questi paesi sono state devastanti. In Spagna e Grecia, la disoccupazione supera il 27 percento e le condizioni di vita della popolazione sono state rigettate indietro di decenni.

Il saccheggio delle economie dei paesi più piccoli e dipendenti, conferma che l’Ue è un blocco commerciale imperialista, dominato dai capitalisti tedeschi e francesi, il cui obiettivo è quello di aumentare lo sfruttamento della classe operaia in Europa, di controllare i flussi di manodopera immigrata e di aumentare la competitività rispetto ai rivali imperialisti negli Stati Uniti e in Giappone. La devastazione delle condizioni di vita dei lavoratori in Grecia, Portogallo e Spagna, dimostra che tutte le chiacchiere sulla “convergenza” europea, non puntavano a portare i paesi più poveri al livello delle nazioni più ricche, ma al contrario a creare un “mercato del lavoro flessibile”, cioè una manodopera a basso costo e senza protezioni sindacali.

In Italia, la sinistra riformista ha appoggiato la creazione del conglomerato imperalista dell’Ue. Ora che la loro politica procapitalista è fallita, i riformisti condannano il dominio della Germania della Merkel sul più piccolo e povero capitalismo italiano. Rifondazione comunista è arrivata a chiedere che fossero “processati per tradimento” Bossi e Tremonti per aver spinto l’Italia a “diventare una enclave cinese della Baviera” (paoloferrero.it, 11 agosto 2011).

Noi della Lega comunista internazionale ci siamo sempre opposti e ci opponiamo in linea di principio all’Ue come a qualsiasi altra alleanza imperialista. Abbiamo sostenuto sin dall’inizio che l’euro sarebbe stato uno strumento dell’Ue imperialista e ci siamo opposti alla sua introduzione. Ci siamo anche opposti all’estensione dell’Ue ai paesi dell’Est, perché era chiaro che avrebbe aumentato lo sfruttamento dei lavoratori dell’Est Europa. Allo stesso tempo abbiamo combattuto le discriminazioni scioviniste che colpiscono i lavoratori immigrati dall’Europa orientale.

Come marxisti sappiamo che le alleanze o i blocchi tra imperialisti possono resistere per qualche tempo, ma poiché il capitalismo si basa sugli Statinazione, queste alleanze devono necessariamente crollare sotto il peso delle loro contraddizioni interne. La nostra opposizione a queste alleanze deriva dalla nostra fondamentale opposizione al capitalismo e all’imperialismo. Come abbiamo scritto in Spartaco n. 75 (gennaio 2012), la risposta che la classe operaia deve dare alla crisi capitalista e alla conseguente fratturazione dell’eurozona:

“non sta nell’appoggio al manicomio imperialista dell’Ue, né nel protezionismo sciovinista nazionale, ma nella prospettiva internazionalista proletaria della costruzione di Stati uniti socialisti d’Europa, basati sul rovesciamento del capitalismo e il potere del proletariato. L’unificazione delle industrie d’Europa (e non solo) e delle loro tecnologie, su di una base collettivizzata e pianificata al di là delle frontiere nazionali, è una necessità ineluttabile e vitale per l’ulteriore sviluppo della civiltà umana, perché metterebbe fine al caos, all’anarchia, alle guerre commerciali e alle crisi dell’attuale manicomio capitalista che è diventato questo continente. La condizione affinché ciò avvenga è il rovesciamento delle classi dominanti capitaliste e l’instaurazione del potere statale proletario nei principali paesi del continente”.

Il Movimento 5 stelle: populismo, demagogia e reazione

L’ascesa del M5s è il risultato della profonda crisi politica e sociale del capitalismo europeo e internazionale. Grillo è stato capace di sfruttare il vasto malcontento popolare perché tutti i partiti identificati un tempo con il movimento operaio e le riforme sociali hanno sostenuto le misure di austerità dettate da Bruxelles, Berlino e Roma.

La presa del M5s in vasti settori della classe operaia è una reazione alla politica di austerità imposta dal Pd e ai tradimenti ventennali delle direzioni riformiste (Rifondazione), implicate in una politica di collaborazione di classe sempre più grottesca. Ma in senso più generale è espressione della regressione della coscienza del movimento operaio, risultato della distruzione controrivoluzionaria dell’Unione Sovietica e della campagna sulla “morte del comunismo” condotta dalla borghesia e dalle sue code ex staliniste e socialdemocratiche.

Il M5s da voce all’esasperazione della piccola borghesia che è stata chiamata, dopo la classe operaia, a pagare in maniera massiccia le conseguenze combinate della crisi economica e della crisi del debito pubblico. Ha anche raccolto le simpatie di qualche pescecane capitalista come Giovanni Consorte, ex dirigente di Unipol, o Leonardo del Vecchio, il miliardario padrone di Luxottica. Molti dei quadri del M5s sono giovani della piccola borghesia intellettuale, che si vedono preclusa ogni strada che non siano i contratti a termine con i salari infami della “generazione mille euro”. La piccola borghesia, che è tipicamente al centro dei movimenti populisti, é uno strato sociale eterogeneo che include artigiani, professionisti, piccoli (o medi) imprenditori, ecc. Data la sua posizione sociale, schiacciata tra il grande capitale e la classe operaia, la piccola borghesia è priva di qualsiasi prospettiva politica indipendente e assolutamente incapace di fornire un’alternativa al capitalismo. Se la classe operaia non si mobilita in modo indipendente da tutte le frazioni della borghesia, trascinando dietro i sé anche gli strati impoveriti della piccola borghesia in una lotta di classe contro il capitalismo, i grandi capitalisti avranno buon gioco ad usare la rabbia e la frustrazione di tutti quelli che sono stati rovinati dalla crisi, contro il movimento operaio e i sindacati.

Il programma ufficiale del M5s ruota attorno ad una demagogia populista contro la corruzione, gli abusi “del palazzo” e gli alti costi della politica e dell’amministrazione pubblica. L’ecologismo piccolo-borghese e il sostegno economico ai piccoli e medi capitalisti italiani contro lo strapotere della finanza internazionale sono altre componenti rilevanti. Sul piano economico il programma del M5s enfatizza gli interessi delle piccole e medie imprese contro la classe operaia e i sindacati. Mentre sollevano slogan demagogici come il “reddito di cittadinanza”, il milionario Beppe Grillo e la capogruppo alla Camera, Roberta Lombardi, si sono espressi per l’abolizione dei sindacati. I lavoratori pubblici vengono dipinti come parassiti e privilegiati con grassi conti in banca, che difendono lo “status quo”. Con la scusa della difesa della sanità pubblica, il programma del M5s chiede di introdurre dei “ticket proporzionali al reddito per le prestazioni non essenziali” e di ridimensionare la prevenzione (screening, diagnosi precoce, medicina predittiva) sostituendola con la “automedicazione”, in sintonia con i tagli alla sanità pubblica.

Grillo si è ripetutamente lanciato in infami tirate razziste contro i rom e gli immigrati cinesi e si è opposto con veemenza alla proposta di introdurre lo “ius soli”, il diritto automatico di cittadinanza per i figli di immigrati nati in Italia. E non sono mancati gli ammiccamenti al fascismo. A gennaio, Grillo ha ostentatamente invitato un dirigente degli assassini fascisti di Casapound ad unirsi al M5s in nome delle “idee condivisibili”. Roberta Lombardi si è prontamente associata, con un post in cui ha elogiato l’ideologia del fascismo delle origini.

Il M5s ha analogie con altri movimenti populisti che negli ultimi anni si sono sviluppati in molti paesi riflettendo la rabbia della piccola borghesia e di settori della classe operaia, dagli Indignados spagnoli e greci, al movimento di Occupy negli Stati Uniti. Pur avendo coloriture politiche differenti, questi movimenti erano tutti accomunati dalla pretesa di rappresentare “il 99 percento” della popolazione contro la “casta” dei finanzieri e dei politicanti corrotti. Un aspetto centrale della concezione dei populisti liberali è l’idea che la classe capitalista si divida in due settori: quelli direttamente coinvolti nella produzione e nella distribuzione di beni e servizi e quelli che si arricchiscono con speculazioni finanziarie. I primi sono considerati progressisti, i secondi reazionari. Questa divisione è completamente fasulla nel moderno capitalismo, dominato da immensi monopoli in cui il capitale bancario e il capitale industriale sono completamente compenetrati. Tutte le componenti delle classe capitalista hanno un interesse fondamentale in comune: quello di aumentare al massimo lo sfruttamento della manodopera e di ridurre al minimo i costi “generali” dello Stato sociale, dell’istruzione e della sanità.

Lotta di classe contro l’austerità capitalista

Per non essere respinta indietro di decenni, la classe operaia ha bisogno di lanciare una lotta di classe dura contro l’austerità e contro l’Ue, che scavalchi i confini nazionali. In Grecia, negli ultimi anni, ci sono state decine di scioperi generali. Spagna, Portogallo e altri paesi hanno visto ondate di scioperi negli aeroporti, negli ospedali e nel settore privato. L’anno scorso, i minatori asturiani hanno ingaggiato un’efficace battaglia contro la polizia per difendere le miniere di carbone della regione.

In Italia non si è ancora vista una risposta di lotta di classe adeguata agli attacchi del governo Monti (e se è per questo nemmeno agli attacchi del precedente governo di Berlusconi e Brunetta ai dipendenti pubblici). La riforma delle pensioni e la riforma Fornero sono passate senza nemmeno uno sciopero di risposta, scalzando l’Articolo 18, in difesa del quale si erano battuti milioni di lavoratori. Vi sono state e vi sono tuttora lotte operaie, anche coraggiose, come all’Ilva di Taranto, alla Bridgestone, nei trasporti, nella logistica, nella sanità, ma i burocrati sindacali hanno finora avuto buon gioco ad imbrigliarle e mantenerle isolate. Questo è frutto dei tradimenti della burocrazia sindacale, incatenata alla prospettiva di rendere “competitivo” il capitalismo italiano.

Il caso dell’Ilva è emblematico di come due capisaldi della politica della sinistra riformista (e del M5s): il sostegno alla magistratura e l’ambientalismo borghese, siano profondamente antioperai. Quando la magistratura ha ordinato la chiusura dell’Ilva per inquinamento ambientale, la sinistra e in parte anche la Fiom, hanno esultato per l’operato dei giudici, incuranti di gettare sul lastrico migliaia di operai. Poco importa che gli stessi operai dell’Ilva, i primi a rischiare di morire per l’inquinamento (e per le orrende condizioni di lavoro nello stabilimento), abbiano risposto con scioperi, cortei e occupazioni della direzione aziendale per impedire la chiusura della fabbrica, identificando giustamente la difesa del posto di lavoro con una questione di sopravvivenza. La direzione degli scioperi all’Ilva è rimasta nelle mani dei burocrati Cisl e Uil che (insieme a quelli della Fiom) sono stati acquiescenti per decenni ai crimini dell’azienda contro gli operai e la popolazione.

Negli ultimi anni la Fiom è emersa come un potenziale centro dell’opposizione agli attacchi dei capitalisti. Non c’è dubbio che la Fiom, che raccoglie il settore socialmente più potente e numeroso del proletariato italiano, centrato sulle industrie metalmeccaniche, costituisce un punto di forza cruciale del movimento operaio. Per questo molti operai nutrivano grosse aspettative quando la Fiom è entrata in conflitto con la Fiat e la sua campagna per distruggere o addomesticare i sindacati. Il rifiuto di accettare i diktat di Marchionne nel “referendum” di Pomigliano ha temporaneamente galvanizzato settori della classe operaia. Ma i dirigenti della Fiom non hanno organizzato azioni di sciopero estese all’industria automobilistica e ad altri settori, facendo invece affidamento sulle “intermediazioni” dei politicanti borghesi e sull’intervento salvifico della magistratura, che doveva difendere il diritto della Fiom di organizzare gli operai alla Fiat. In questo modo, i dirigenti Fiom hanno effettivamente sabotato la volontà di lotta degli operai, lasciando mano libera ai capitalisti. Parallelamente, i dirigenti della Fiom, hanno lanciato un’epurazione dei settori più combattivi, ad esempio cercando di cacciare dalla segreteria un dirigente della Rete 28 aprile (Sergio Bellavita), o espellendo militanti del Pcl. No alle epurazioni della sinistra dai sindacati!

Le lotte operaie devono essere unificate su un programma di difesa di classe contro padroni e Stato. I sindacati sono stati pesantemente corrosi dai loro dirigenti traditori che hanno sacrificato i lavoratori agli interessi dei capitalisti e dei loro governi. Per tornare ad essere strumenti efficaci della lotta in difesa dei lavoratori, i sindacati devono essere riconquistati ad una prospettiva di lotta di classe. I sindacati sono stati costruiti con dure battaglie di classe fatte di scioperi, picchetti di massa, scioperi di solidarietà, sfidando le leggi antisciopero e le persecuzioni legali. Per rivitalizzarli serve una dura lotta di classe. E questo richiederà una lotta per cacciare le attuali direzioni, incatenate al Pd e alle sue code riformiste e sostuirle con una nuova direzione, una direzione che capisca che la classe operaia e i capitalisti non hanno nessun interesse in comune. Una direzione che si basi sulla lotta di classe, giocherebbe un ruolo cruciale nel costruire un partito operaio che lotti per un governo operaio.

I traditori riformisti e il pifferaio Grillo

Per quasi 20 anni, l’Italia è stata governata da un’alternanza tra la destra di Berlusconi e coalizioni di fronte popolare centrate sul Pd (o sui suoi precursori, Pds e Ds). I governi capitalisti dell’Ulivo, Unione, ecc., hanno avuto la partecipazione e il sostegno esterno di Rifondazione comunista (Prc) e l’appoggio elettorale di tutto il suo codazzo di opposizioni interne (Falcemartello e le precedenti incarnazioni di Sinistra critica, del Partito comunista dei lavoratori e di Alternativa comunista). I governi di fronte popolare hanno sistematicamente attaccato la classe operaia, gli immigrati e le minoranze, spianando la strada ai governi di destra. Ciò ha screditato in particolare Rifondazione, la cui immagine di organizzazione della “classe operaia” è stata chiaramente smascherata dal ruolo giocato nel governo Prodi. Così, dalla sconfitta elettorale del 2008, il Prc non ha più parlamentari.

Ciononostante il Prc ha proseguito la sua politica di tradimenti di classe. Alle ultime elezioni, il Prc si è presentato come parte di Rivoluzione civile, capeggiata dai giudici Antonio Di Pietro e Antonio Ingroia. Il potere giudiziario, come la polizia e gli eserciti, sono il cuore dello Stato capitalista, i corpi di uomini armati il cui “lavoro” consiste nel difendere il potere della classe dominante e la proprietà privata dei mezzi di produzione. Sono nemici e non alleati del movimento operaio. Il marchio di fabbrica di Rivoluzione civile era la difesa della “legalità” e il sostegno ai giudici per porre fine alla corruzione nel sistema politico italiano. La politica di questa coalizione era così marcia, che in Sicilia il capo della lista era un ex leader regionale del Msi fascista, e il numero due era l’ex capo del “sindacato” di polizia Silp, che dopo la sanguinosa repressione del G8 di Genova nel 2001, si è opposto all’introduzione del reato di tortura, perché minava l’onore del corpo di polizia! Non c’è da stupirsi che quest’accozzaglia non abbia ottenuto nemmeno un deputato in parlamento!

La difesa della “legalità”, la “lotta all’evasione fiscale”, sono temi che la sinistra riformista ha portato avanti per anni come garanzia data alla borghesia della propria affidabilità nel quadro delle istituzioni borghesi. Appropriandosi di questi temi (reazionari), il M5s ha trovato un terreno fertile, grazie alle illusioni che i partiti riformisti hanno seminato nel movimento operaio e nella sinistra.

Diversi gruppi riformisti e spezzoni della burocrazia sindacale “di sinistra”, come la Rete 28 aprile, si sono accodati all’ascesa del populismo demagogico del M5s. Tra i più ferventi sostenitori di Grillo e soci ci sono i maoisti dei Carc, che hanno fatto appello a “votare e far votare il Movimento 5 Stelle (…) la lista che più delle altre liste di oppositori dichiarati della politica di macelleria sociale ha la possibilità di portare oppositori nel Parlamento della Repubblica Pontificia e di disturbare la copertura parlamentare del suo futuro governo”. Dopo il voto, anche Giorgio Cremaschi, capo della Rete 28 aprile, ha festeggiato la vittoria del M5s proclamando: “Come si fa a non provare soddisfazione per questo sconquasso? (...) C’è da augurarsi che il movimento 5 stelle sia consapevole che il suo successo non è una scelta definita né tantomeno una delega, ma è segnale e parte della rivolta che sta crescendo in tutta Europa e finalmente è cominciata davvero anche da noi. (…) prendiamo un po’ di fiducia dal fatto che gli elettori italiani hanno cominciato a mandare a quel paese i signori dello spread. E prepariamoci a lottare (rete28aprile.it, 26 febbraio,)”.

La Rete 28 aprile non ha fatto appello a votare il M5s, per non disturbare il blocco di burocrati sindacali che appoggiavano chi Rivoluzione civile, chi il M5s. Ma il fatto che persino quella che passa per “estrema sinistra” nel sindacato fosse indecisa tra il sostegno al partito dei giudici e al ciarlatano populista Grillo, è sintomatico del marasma in cui si trovano questi avvocati della collaborazione di classe.

Per l’indipendenza di classe del proletariato

Il Pcl di Marco Ferrando si è distinto dal resto della sinistra riformista per la sua dichiarata ostilità al M5s. Dopo le elezioni, il Pcl ha dichiarato che:

Le elezioni hanno visto il successo di un vecchio miliardario imbroglione (Berlusconi) e soprattutto di un comico milionario (Grillo). Un ‘guru’ che propone tra le altre cose (in sintonia con il progetto del ‘guru del guru’, il padrone milionario Casaleggio) l’abolizione pura e semplice del sindacato in quanto tale (‘roba dell’800’), proprio nel momento della massima aggressione padronale contro il lavoro e i diritti sindacali. Che a Parma, dove governa, alza le rette di asili e mense per pagare gli interessi alle banche. Che rivendica licenziamenti di massa nel pubblico impiego e la riduzione di tutte le pensioni per ridurre le tasse ai padroni (con l’abolizione dell’IRAP). Perché tanti giovani, tanti lavoratori, tanti precari, sbagliando clamorosamente, hanno finito con l’affidarsi a un guru milionario che non ha nulla a che spartire con i loro interessi? Perché si è sentita priva di riferimenti, rappresentanza, prospettive, dentro la crisi sociale più drammatica del dopoguerra. (…) Ricostruire una rappresentanza indipendente del lavoro, per un’alternativa alla dittatura degli industriali e delle banche: questa è la vera necessità” (enfasi originali).

L’indipendenza di classe del proletariato dai partiti dei suoi sfruttatori e dal loro Stato, è una precondizione per una lotta efficace contro l’austerità capitalista, e dev’essere il punto di partenza per chiunque intende rovesciare il dominio capitalista. Ma nella pratica il Pcl ha contribuito non poco a seminare sconfitte e confusione tra gli elementi più avanzati della classe operaia. Si è accodato ai movimenti ambientalisti, dal “No Tav”, all’opposizione alla variante di valico, ecc. Ha richiesto “un controllo operaio e popolare sul fisco che colpisca alla radice l’evasione fiscale” (“Per un’agenda anticapitalista”, pclavoratori.it, 19 febbraio). Si è unito alla retorica contro “la casta” (“Cancellare tutti i privilegi della casta e del clero!”, pclavoratori.it).

Se oggi gli operai sono trainati a rimorchio della borghesia e della piccola borghesia, è grazie anche alla politica del Pcl. Tutta l’esistenza del Pcl (e delle sue precedenti incarnazioni, come Progetto comunista), è legata a doppio nodo alla ricerca di uno sbocco frontepopulista per le lotte operaie. Per circa 15 anni, Progetto comunista ha condotto una politica di opposizione leale al Prc, appoggiandolo insieme alle coalizioni capitaliste di cui faceva parte. Prima di essere estromesso da d’Alema nel 2006, Marco Ferrando si era candidato nelle liste del Prc, che facevano parte della coalizione anti-operaia di Prodi. E anche dopo l’uscita dal Prc, il Pcl ha sistematicamente dimostrato il suo attaccamento al principio del sostegno critico ai fronti popolari capitalisti. Al secondo turno delle elezioni comunali del 2011, il Pcl ha fatto appello a votare Pisapia e De Magistris, i fantocci locali del Pd (e del “partito dei giudici”). Ed è passato solo un anno da quando il Pcl ha fatto appello a votare Francois Hollande al secondo turno delle presidenziali francesi, dicendo che: “la sconfitta di Sarkosy [sic] e del suo governo reazionario è un fatto positivo e va completata senza incertezza al secondo turno” (“Elezioni francesi, realtà ed illusioni”, 23 aprile 2012).

I militanti del Pcl possono accontentarsi di pensare che si tratti di errori o di tattiche più o meno discutibili. Ma per noi marxisti l’indipendenza di classe è un principio. Un voto a Hollande era un voto per la politica di austerità anti-operaia e avventure imperialiste che il Partito socialista francese ha avanzato dichiaratamente nelle elezioni e attuato al governo. A differenza del Pcl, noi trotskisti ci opponiamo per principio a qualsiasi appoggio elettorale ai partiti che fanno parte di coalizioni di fronte popolare con i partiti della borghesia.

Per interrompere un lungo ciclo di sconfitte e per guidare la classe operaia nelle lotte inevitabili contro l’austerità capitalista, serve un partito rivoluzionario che si batta per riconquistare l’avanguardia della classe operaia e dei giovani ai principi del marxismo, alla concezione fondamentale della necessità di abolire il modo di produzione capitalista e sostituirlo con un’economia socializzata e pianificata a scala internazionale. La costruzione di questo partito richiede come primo passo la rottura con la tradizione di collaborazione di classe che ha portato alla bancarotta del riformismo e alla crescita del populismo borghese. E’ in questa prospettiva che si batte la Lega trotskista d’Italia.

 

Spartaco N. 77

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