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Spartaco n. 79

Aprile 2016

No alle deportazioni!

La fortezza Europa razzista e la crisi dei profughi

Abbasso l’Unione Europea!

La responsabilità della tragica situazione di centinaia di migliaia di immigrati e profughi, che cercano disperatamente di entrare in Europa, è degli Stati Uniti e delle potenze imperialiste dell’Unione Europea che con le loro guerre e occupazioni militari in Medio Oriente e in Africa hanno costretto milioni di persone a fuggire dalle loro case.

Dagli anni Novanta, con la creazione dell’Unione Europea e l’applicazione degli accordi di Schenghen, i confini meridionali d’Europa si sono ricoperti di filo spinato, di muri, pattuglie navali e campi di detenzione che hanno spinto gli immigrati a cercare rotte sempre più pericolose attraverso la Libia e il Mediterraneo. Dall’aprile del 2015, quando nel giro di pochi giorni al largo della Sicilia sono annegate più di milleduecento persone, i governi capitalisti dell’Ue, hanno militarizzato ulteriormente il Mediterraneo, istituendo l’operazione Eunavfor-med Operazione Sophia con l’obiettivo di impedire quanto più possibile agli immigrati di raggiungere le sponde della “fortezza Europa” razzista. Con la chiusura delle rotte del Mediterraneo, i profughi in fuga dalla Siria e da altri paesi in guerra non hanno avuto altra scelta che intraprendere il lungo viaggio attraverso i Balcani.

Gli avvenimenti dell’ultimo anno hanno ridicolizzato la pretesa per cui in Europa, le frontiere degli Stati nazionali erano in via di sparizione (e in ogni caso gli accordi di Schengen non hanno mai impedito ai governi imperialisti di deportare in massa popolazioni “indesiderabili”, come ad esempio i rom espulsi dalla Francia). I governi di mezza Europa hanno fatto a gara ad innalzare barriere per deviare il flusso dei profughi sugli Stati confinanti. L’Ungheria ha recintato i confini col filo spinato ed ha approvato una legge che rende l’ingresso illegale un crimine passibile di cinque anni di reclusione. Una guardia di frontiera bulgara ha ucciso un profugo afgano e quelle macedoni hanno sparato gas lacrimogeni e proiettili di gomma ad altezza d’uomo. In rapida successione la Svezia, la Danimarca e la Francia hanno chiuso le frontiere ai profughi e ai primi di marzo, quando anche Macedonia, Slovenia, Croazia e Serbia hanno sigillato la rotta dei Balcani, il presidente del consiglio europeo Donald Tusk li ha ringraziati “per l’attuazione di parte della strategia globale europea per gestire la crisi dei migranti”.

Nell’estate del 2015, quando è diventato chiaro che l’afflusso era pressoché inarrestabile e minacciava di far esplodere il sistema di relazioni di Schenghen, la cancelliera tedesca Angela Merkel ha annunciato che i profughi intrappolati in Ungheria sarebbero stati accolti in Germania. La sua mossa ha contribuito ad abbellire temporaneamente l’immagine dell’imperialismo tedesco: la Merkel, da oggetto di disprezzo per il suo ruolo nella crisi del debito greco, si è vista osannare come il “volto umano” dell’Ue. Poi però il Bundestag ha approvato una nuova legge che accelera le procedure di deportazione e sta discutendo se creare “zone di transito” per i profughi, che sono state paragonate ai campi di concentramento.

L’afflusso di profughi e l’isteria anti-immigrazione suscitate dai governi hanno scatenato la ripresa del razzismo anti-immigrati nelle strade. All’inizio di ottobre, circa diecimila razzisti e fascisti dichiarati hanno sfilato per Dresda attaccando la Merkel al grido di “deportateli, deportateli”! I razzisti anti-musulmani di Pegida si sono ritrovati col vento in poppa, organizzando manifestazioni settimanali e il crescente razzismo anti immigrati si è tradotto nel successo elettorale di Alternative für Deutschland alle elezioni regionali dello scorso marzo.

Il 18 marzo l’Unione Europea ha sottoscritto un accordo con la Turchia (dove ci sono già almeno 2 milioni di profughi siriani) allo scopo di potervi deportare tutti i profughi e immigrati che sbarcheranno sulle coste greche. In cambio, la Turchia si è vista riconoscere lo status di “Paese terzo sicuro” per i profughi, aiuti finanziari e la vaga promessa di una futura adesione all’Ue e della possibilità per i suoi cittadini di recarsi in Europa senza visto. L’Ue ha promesso anche di accettare un numero di profughi siriani pari al numero dei siriani che verranno deportati dall’Europa in Turchia, fino a un massimo di 72 mila persone. In base a questo accordo razzista, dai primi di aprile l’Unione Europea e il governo greco hanno iniziato deportazioni collettive, cominciando con i cittadini pachistani, etichettati come “migranti economici”. Tutti i profughi giunti dopo il 20 marzo verrano rinchiusi in vasti centri di detenzione come quello presente sull’isola di Lesbo.

Noi comunisti ci opponiamo alle deportazioni e alla detenzione degli immigrati e dei profughi. Chiunque arriva in un Paese deve avere il diritto di rimanerci con pieni diritti di cittadinanza. Per gran parte degli immigrati, ottenere lo status di profugo è l’unico modo per rimanere in un paese dell’Ue. I governi capitalisti selezionano i profughi in base alle esigenze dell’economia. L’imperialismo tedesco e molte economie dell’Ue hanno costante bisogno di importare manodopera immigrata a basso costo, priva di diritti e ricattabile, per far fronte all’invecchiamento costante delle loro popolazioni. Ma vogliono tenere saldamente la mano sul rubinetto degli immigrati e importare solo quelli che considerano come potenzialmente utili alle loro economie. I profughi siriani, che spesso hanno buona istruzione e qualifiche, hanno più probabilità di vedersi accettare di quelli provenienti dal Kosovo, dove una persona su quattro vive con 1,20 euro al giorno. La Germania ha incluso anche il Kosovo, l’Albania e il Montenegro nella lista degli “Stati sicuri”, cosicché è praticamente certo che gli immigrati provenienti da questi paesi, in particolare i Rom, saranno deportati.

I profughi e la devastazione del Medio Oriente

Il governo turco, però vuole di più in cambio dei suoi servizi. Erdogan vede il pantano siriano come un’opportunità per perseguire le più grandi ambizioni della Turchia. Il suo regime ha ripreso la micidiale guerra decennale contro la popolazione oppressa curda e ha cercato di impedire che i curdi in Siria possano stabilire una regione autonoma lungo il confine turco. La classe operaia turca deve difendere i curdi dalla sanguinosa guerra di Erdogan. Ci opponiamo alla feroce repressione dello Stato contro il Partito dei lavoratori del Kurdistan (Pkk), nonostante le nostre differenze politiche con questo gruppo nazionalista.

Noi marxisti non appoggiamo nessuna delle parti coinvolte nella guerra civile settaria su basi etniche in corso in Siria. Tuttavia, due anni fa, gli Stati Uniti hanno messo in piedi una coalizione che ha lanciato migliaia attacchi aerei contro le forze dell’Isis in Iraq e in Siria, con l’aiuto di varie forze locali che li appoggiano sul terreno e di cui fanno parte i nazionalisti curdi in Siria e in Iraq. Da parte nostra, considerato che il più grande pericolo per i lavoratori e gli oppressi del pianeta è l’imperialismo americano, abbiamo dichiarato che “i marxisti rivoluzionari si schierano militarmente dalla parte dell’Isis quando prende di mira gli imperialisti e i loro fantocci, compresi i nazionalisti curdi siriani, i peshmerga, il governo di Baghdad e le milizie sciite” (Spartaco n.78, marzo 2015). Inoltre, chiediamo il ritiro delle forze di tutte le potenze capitaliste coinvolte nel conflitto, compresa la Turchia, l’Arabia Saudita, l’Iran e la Russia.

Il proletariato del Medio Oriente ha il potere sociale di guidare le masse oppresse nel rovesciamento rivoluzionario del governi capitalisti. Questa prospettiva deve essere collegata alla mobilitazione dei lavoratori nei paesi imperialisti, in una lotta rivoluzionaria per spazzare via le proprie classi dirigenti.

L’imperialismo americano è stato incoraggiato a intraprendere gli interventi militari in Medio Oriente, che hanno devastato il tessuto sociale di intere società e causato milioni di profughi, dalla controrivoluzione capitalista in Unione Sovietica nel 1991-92: una catastrofe storica per i lavoratori di tutto il mondo. L’invasione e l’occupazione dell’Afghanistan nel 2001 hanno provocato la morte di una massa imprecisata di persone, costringendo molti a rifugiarsi in Pakistan. Nel 2003 il rovesciamento imperialista di Saddam Hussein in Iraq, il cui regime bonapartista era basato sulla minoranza sunnita, ha scatenato guerre sanguinose tra le popolazioni sunnite, sciite e curde. Nel 2011, i bombardamenti della Nato che hanno rovesciato il regime di Muammar el-Gheddafi, hanno posto le basi per un esodo di massa e per il caos attuale. Il massacro in Siria ha causato 200 mila morti e spinto quattro milioni di persone a lasciare il paese.

L’imperialismo italiano e i profughi

Nei paesi come l’Italia e la Grecia, che per la loro posizione geografica rappresentano i punti di ingresso degli immigrati diretti in Europa, gli sforzi dei governi capitalisti di mantenere il controllo dei flussi migratori si sono avvolti nella retorica umanitaria, sperando di farne una leva per spingere gli altri stati capitalisti d’Europa a condividere il peso dei profughi. Il governo italiano ha chiesto insistentemente la revisione dei trattati di Dublino, in base ai quali i richiedenti asilo devono essere gestiti dal primo paese dell’Ue in cui fanno richiesta e quando l’Austria ha annunciato la sua intenzione di ripristinare i controlli al valico del Brennero, la stampa italiana ha lamentato la “fine dell’Europa”. Le implorazioni della borghesia italiana alla “apertura dei confini” europei non hanno niente a che vedere con le aspirazioni degli immigrati, ma esprimono solo la sua speranza che se ne vadano dall’Italia verso i paesi dell’Europa centrale. Basta pensare che persino il sindaco di Verona Flavio Tosi, ex leghista e razzista notorio, l’anno scorso lanciò una petizione in cui chiedeva al governo italiano di “concedere il permesso umanitario ai profughi per la libera circolazione in Europa”!

L’ipocrisia della retorica umanitaria del governo italiano è dimostrata dal trattamento che riserva a profughi e immigrati che vivono in questo paese. Molti di coloro che sopravvivono alla traversata del Mediterraneo vengono deportati o consi-derati ipso facto colpevoli del reato di “immigrazione clandestina”. Quelli abbastanza fortunati da ottenere lo stato di richiedenti asilo, vengono trattati con disprezzo razzista. I sopravvissuti al naufragio di Lampedusa del 2015 in cui morirono più di settecento persone, vennero scaricati nel centro di detenzione (Cara) di Mineo, una struttura in disuso dell’esercito americano in cui sono stati “ospitati” fino a 4 mila profughi. Nel “Villaggio della solidarietà” di Mineo, circondato dal filo spinato e dai blindati dei carabinieri, i richiedenti asilo vivono in condizioni fatiscenti che hanno provocato numerose rivolte. Privi di documenti, per sopravvivere sono costretti a lavorare nei campi per caporali che li pagano 10 euro a giornata. Due anni prima, i sopravvissuti al naufragio dell’ottobre del 2013 erano stati reclusi per due mesi nel centro di Lampedusa, finché questo non venne chiuso quando la stampa rivelò che i profughi erano soggetti a “disinfezioni” di massa con idranti nel cortile e costretti a dormire in materassi sul pavimento tra i cani randagi.

Il disprezzo razzista dei governi italiani nei confronti dei profughi è eredità di un secolo di rapine imperialiste in cui la borghesia italiana ha fatto la sua parte. A partire dalla fine dell’Ottocento, l’Italia era riuscita a stabilire delle colonie in Africa orientale e nel 1911 colonizzò la Libia, dopo il crollo dell’Impero ottomano. Sotto il regime fascista di Mussolini, la borghesia italiana fece almeno 500 mila morti in Libia ed Etiopia. La storia del colonialismo italiano è una serie di atrocità: dal bombardamento di villaggi, all’uso massiccio di armi chimiche come iprite, fosgene e arsina, alla costruzione di campi di concentramento, allo sterminio per fame di quasi metà della popolazione della Cirenaica, nella Libia orientale.

L’imperialismo italiano ha partecipato alle guerre e invasioni imperialiste che hanno devastato l’Afghanistan, l’Iraq e la Libia. L’esercito italiano è già presente in Libano nella Missione Unifil e gioca un ruolo chiave nella Eunavfor-med, la missione navale dell’Unione Europea per respingere i profughi nel Mediterraneo, che ha la sua sede operativa a Roma. Dopo l’accordo tra l’Unione Europea e la Turchia e la chiusura ai profughi della rotta dei Balcani, sono cresciuti i timori da parte dello Stato italiano di una riapertura della rotta mediterranea (mai completamente chiusa). Questo ha intensificato le pressioni sul governo affinché intervenga per stabilizzare la situazione in Libia, dove l’Italia ha interessi economici rilevanti nel settore petrolifero e dove teme di perdere la sua storica influenza. Fuori l’esercito italiano dal Medio Oriente! Giù le mani dalla Libia!

Apostoli dell’imperialismo “umanitario”

I gruppi della sinistra riformista hanno promosso illusioni nella possibilità che gli imperialisti, responsabili diretti della “catastrofe umanitaria”, possano “fare qualcosa” per aiutare i profughi e gli immigrati. Ad esempio, la scorsa estate, in risposta alle continue stragi di immigrati in mare, Contro Corrente, il gruppo italiano affiliato al Comitato per una Internazionale dei Lavoratori (Cil), ha scritto che “per scongiurare nuove catastrofi occorre al più presto ripristinare immediatamente un piano internazionale di soccorso in mare nelle acque internazionali e, se necessario nelle acque nazionali libiche.” (associazionecontrocorrente.org, 23 aprile 2015). Secondo loro, il modello da seguire era il programma del Governo italiano Mare Nostrum, che loro descrivevano come una “missione militare ed umanitaria il cui obiettivo principale era il soccorso e il salvataggio dei migranti”. In verità, l’obiettivo dell’ormai defunto programma Mare Nostrum era dichiaratamente quello di creare un “effetto deterrente” contro l’immigrazione.

Un altro esempio di fiducia nel volto “umanitario” dell’imperialismo italiano viene dal Partito comunista dei Lavoratori (Pcl) che durante la crisi dei profughi ha chiesto l’istituzione di “un piano di accoglienza dignitosa dei migranti, a partire dai profughi, su scala europea. Per una libera circolazione dei migranti in Europa. Cancellazione delle leggi anti migranti, in ogni paese e su scala europea” (Unità di classe n.4, 20 maggio 2015). Questo tipo di richieste alimentano l’illusione che l’Unione Europea imperialista possa essere costretta ad agire in base ai principi umanitari, della “libera circolazione” e della “dignità”.

Gruppi come il Pcl sanno che “il capitalismo è incapace di risolvere i problemi che esso stesso crea” e ammettono che “le guerre che attraversano il Medio Oriente e il Corno d’Africa; le convulsioni tragiche dell’Africa sub-sahariana, sono tutte effetto diretto o indiretto della dominazione imperialista, dei suoi retaggi antichi, delle sue piu recenti rapine e scorrerie”.

Quello di cui non parlano è il ruolo da loro stessi svolto nell’alimentare il terreno ideologico che ha facilitato i bombardamenti imperialisti. In Libia hanno appoggiato i “rivoluzionari” (islamisti e filo-imperialisti) che hanno fatto da truppe di terra della campagna della Nato contro la Libia di Gheddafi (vedi Spartaco n.74, “Difendere la Libia contro l’attacco imperialista!”).

In Siria, quando nel 2014 si formò la coalizione anti-Isis tra l’imperialismo americano, il governo sciita di Baghdad e le forze curde irachene e siriane, il Pcl chiese agli imperialisti di inviare “aiuti ed armi ai combattenti curdi di ogni forza presente” (“Dichiarazione sulla situazione in Iraq”, 24 agosto 2014) Ancora oggi, appoggiano la “resistenza democratica siriana e kurda, come negli altri paesi, che combatte l’avanzata del fascismo islamico ed il regime dittatoriale di Assad” (pclavoratori.it, 14 novembre 2015).

Sotto forma dello slogan della “apertura delle frontiere”, la richiesta del Pcl di “Libera circolazione dei migranti in Europa” è comune a tutta la sinistra riformista e alle forze capitaliste più o meno liberali. Ma tutte le varianti dello slogan sulla “apertura delle frontiere” si risolvono nella richiesta dell’abolizione degli Stati nazionali sotto il capitalismo: una cosa impossibile. I sostenitori delle “frontiere aperte” vedono a torto l’Unione Europea come una sorta di superstato al di sopra degli Stati-nazione, con il potere di cancellare le frontiere interne.

Noi marxisti non intendiamo dare consigli alla “nostra” o alle altre classi dominanti su come debbano “ripartirsi il carico” dei profughi e degli immigrati. Il movimento operaio deve lottare contro le deportazioni e contro la repressione razzista, rivendicando i pieni diritti di cittadinanza per tutti coloro che si trovano in questo paese. Serve una vasta campagna di sindacalizzazione di tutti i lavoratori immigrati (e non solo), che si contrapponga alla miriade di istituzioni parassitarie antisindacali spuntate come funghi negli ultimi decenni per dividere il proletariato: agenzie interinali, cooperative, appalti e caporalati di ogni specie e denominazione.

L’appello alla “apertura delle frontiere” è al contempo utopico e reazionario. Chiedere ai capitalisti di cancellare i confini dei loro Stati, equivale a chieder loro di eliminare il sistema capitalista. I moderni Stati-nazione (o gli stati multinazionali dominati da una nazione) sono sorti come strumento dello sviluppo del capitalismo e ne rimarranno il fondamento finchè l’intero sistema sarà rovesciato con una serie di rivoluzioni operaie. Qualunque grande azienda capitalista, per quanto vaste siano le sue operazioni internazionali, alla fine si affida alle forze armate del suo Paese. Nessuna classe dominante capitalista cederà volontariamente il controllo sul suo territorio.

Gli Stati-nazione capitalisti e la proprietà privata dei mezzi di produzione sono catene che frenano lo sviluppo delle forze produttive, ostacolando sia la pianificazione razionale della produzione da parte della società, sia la sua estensione su scala internazionale. Solo con l’avvento di una società comunista globale senza classi e con la scomparsa dello Stato, scompariranno anche i confini. Sostenere il contrario significa negare l’assoluta necessità della rivoluzione socialista per l’ulteriore avanzamento dell’umanità e serve solo ad alimentare illusioni nella possibilità di riformare un sistema capitalista considerato almeno potenzialmente “umano”.

Se promossa a principio generale, sotto il capitalismo la rivendicazione della “apertura delle frontiere” è reazionaria. La storia dello Stato sionista d’Israele è una chiara dimostrazione di come l’immigrazione di massa illimitata possa minacciare il diritto all’autodeterminazione nazionale. Quando gli serve, le grandi potenze hanno i mezzi per regolare il flusso dei profughi e degli immigrati nei loro paesi. Lo stesso non si può dire per paesi più piccoli e deboli. Alla metà del secolo scorso, gli Stati imperialisti (su richiesta dei sionisti) chiusero i loro confini ai profughi ebrei in fuga dalla Germania nazista e ai sopravvissuti ai campi di sterminio, costringendo centinaia di migliaia di ebrei europei ad emigrare in Palestina, con la conseguente deportazione o espulsione di gran parte della popolazione araba.

La storia dell’imperialismo dimostra che costringendo Stati deboli ed economicamente arretrati ad aprire le frontiere, le grandi potenze agevolano la penetrazione dei capitali imperialisti, eliminando di fatto ogni forma di sovranità nazionale nei paesi dipendenti.

La politica della sinistra socialdemocratica e dei burocrati sindacali che sostengono di poter trasformare la “fortezza Europa” in una “Europa sociale” è stata decisiva nel legare la classe operaia a questo progetto imperialista. Questo ha fatto il gioco delle forze razziste e fasciste (come Ukip in Gran Bretagna, la Lega Nord in Italia, Alba dorata in Grecia o il Fronte nazionale francese) cui è stato lasciato il monopolio della crescente opposizione all’Unione Europea e che lo hanno sfruttato aggressivamente tentando di additare gli immigrati a capro espiatorio delle ricorrenti crisi economiche endemiche al modo di produzione capitalistico.

Per gli Stati uniti socialisti d’Europa!

La Lega comunista internazionale si è sempre opposta all’Unione Europea dal punto di vista del proletariato. La nostra opposizione all’Ue e all’euro sono state confermate dalla storia: basta vedere la devastazione economica della Grecia o il destino dei paesi più poveri dell’Europa dell’Est, trasformati in riserve di sfruttamento per i capitalisti, a cominciare da quelli tedeschi e francesi.

L’Unione Europea è un consorzio di stati capitalisti che ha lo scopo di massimizzare lo sfruttamento della classe operaia, il dominio economico e la sottomissione dei paesi poveri, come la Grecia, alle potenze imperialiste, principalmente alla Germania. Il nostro punto di partenza è l’opposizione proletaria internazionalista a tutto l’edificio dell’Ue. I nostri compagni in Grecia chiedono l’uscita della Grecia dall’Ue. La Spartacist League/Britain appoggia l’uscita dall’Ue al prossimo referendum. L’uscita dall’Ue e dall’euro non significa certo la fine dello sfruttamento o della sottomissione agli imperialisti. Ma sarebbe un duro colpo per il club dei banchieri e dei padroni e metterebbe la classe operaia, in particolare in Grecia, in una condizione migliore per lottare per i suoi interessi. Il nostro programma è per delle rivoluzioni proletarie che esproprino gli sfruttatori capitalisti e realizzino gli Stati Uniti socialisti d’Europa.

Il movimento marxista ha sempre riconosciuto il ruolo di potenziale avanguardia dei lavoratori stranieri. Nel 1866, quando i padroni delle industrie tessili britanniche cercarono di assumere lavoratori belgi, francesi, svizzeri e tedeschi a salari inferiori, l’Associazione internazionale dei lavoratori mobilitò gli operai per sconfiggere questi tentativi. In una lettera, Karl Marx osservava:

“É una questione d’onore per i lavoratori tedeschi dimostrare agli altri paesi che, come i loro fratelli in Francia, Belgio e Svizzera, sanno come difendere gli interessi comuni della loro classe e non diventeranno obbedienti mercenari del capitale nella sua lotta contro i lavoratori” (“Un avvertimento”, 4 maggio 1866).

Scrivendo sulla Comune di Parigi del 1871, il primo esempio della classe operaia al potere, Marx sottolineva che “la Comune ammise tutti gli stranieri all’onore di morire per una causa immortale” (La guerra civile in Francia). La Comune nominò ministro del lavoro un operaio tedesco, Leo Frankel e conferì a due comunardi polacchi l’onore di guidare la difesa di Parigi.

Anche noi della Lega comunista internazionale vediamo nei lavoratori immigrati che fanno parte della classe operaia multietnica d’Europa un legame vivente con gli sfruttati e gli oppressi nei loro paesi d’origine. Rappresentano un anello vitale per la nostra prospettiva della rivoluzione permanente. L’unico modo per spezzare le catene del dominio imperialista e della povertà nei paesi coloniali è la lotta per la dittatura del proletariato. Bisogna legare tra loro la lotta contro l’imperialismo e i suoi dispotici fantocci in Medio Oriente con la prospettiva di una federazione socialista di tutta la regione, che a sua volta si deve collegare alla lotta per il potere operaio negli Stati Uniti e nei paesi imperialisti d’Europa.

La creazione di un’Europa socialista, in congiunzione con delle rivoluzioni proletarie negli altri centri imperialisti e nei paesi del mondo sottosviluppato, consentirebbe la creazione di un’economia pianificata a scala internazionale ed un’enorme espansione delle forze produttive di tutti i paesi. Solo in questo modo si potrà eliminare la povertà, sospingendo lo sviluppo della civiltà umana a livelli mai raggiunti. Le guerre, la povertà, l’emigrazione forzata e le frontiere nazionali, diventeranno relitti di un passato lontano.

Per questo la Lega comunista internazionale si batte per riforgiare la Quarta internazionale, partito mondiale della rivoluzione socialista.

 

Spartaco N. 78

Spartaco 79

Aprile 2016

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