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Spartaco n. 79

Aprile 2016

Il comunismo e la famiglia

L’approccio marxista alla liberazione delle donne

(Pagine di Donne e Rivoluzione)

Nella Dichiarazione di principi e alcuni elementi di programma della Lega comunista internazionale (quartinternazionalista) abbiamo esposto il nostro compito di “costruire dei partiti leninisti come sezioni nazionali di un’internazionale centralista-democratica il cui scopo è di condurre la classe operaia alla vittoria attraverso rivoluzioni socialiste in tutto il mondo” (Bollettino di supplemento a Spartaco, aprile 1998). Solo con la presa del potere, il proletariato può porre fine al sistema capitalista e aprire la strada ad un mondo senza sfruttamento né oppressione. Una componente decisiva della nostra prospettiva è la lotta per l’emancipazione delle donne, la cui oppressione risale alla nascita stessa della proprietà privata e non può essere eliminata senza l’abolizione della divisione in classi della società.

La Dichiarazione spiega che il nostro obiettivo ultimo è la creazione di una nuova società, una società comunista:

“la vittoria del proletariato a scala mondiale metterebbe al servizio dei bisogni umani un’abbondanza materiale inimmaginabile, porrebbe le basi per eliminare le classi sociali e sradicare la disuguaglianza sociale basata sul sesso e l'abolizione stessa del significato sociale di razza, nazione e etnia. Per la prima volta il genere umano prenderà in mano le redini della storia, e controllerà la sua creatura, la società, liberando potenzialità umane sinora inconcepibili, e portando ad un colossale avanzamento della civiltà. Solo allora sarà possibile realizzare il libero sviluppo di ogni individuo come condizione per il libero sviluppo di tutti”.

In passato, la maggioranza delle tendenze che si definivano marxiste condividevano l’obiettivo di una società comunista, anche quando erano in disaccordo su tutto il resto. Ma dopo il crollo dell’Unione Sovietica nel 1991-92 non è più così. La Lci è sola nel sostenere la prospettiva del comunismo a scala mondiale, nel senso spiegato per la prima volta da Karl Marx e Friedrich Engels.

Il clima ideologico della “morte del comunismo” si è tradotto nel predominio di idee false e restrittive sul significato del marxismo. Nel senso comune, il comunismo è stato ridotto al livellamento economico (l’eguaglianza a un modesto livello di redditi e consumi), basato sulla proprietà statale delle risorse economiche. Al contrario, la base materiale della realizzazione del programma marxista risiede nel superamento della penuria economica tramite l’incremento della produttività del lavoro. Perché si realizzi pienamente serviranno diverse generazioni di sviluppo socialista in un’economia collettivizzata su scala mondiale. Allora si svilupperà una società in cui lo Stato (lo speciale apparato di coercizione che difende l’ordinamento della classe dominante con dei corpi di uomini armati), si sarà estinto; in cui le appartenenze nazionali saranno scomparse e in cui l’istituzione della famiglia, la sorgente principale dell’oppressione delle donne, sarà stata sostituita da strumenti collettivi per crescere e socializzare i bambini e dalla più compiuta libertà di relazioni tra i sessi.

Il marxismo e la “natura umana”

In passato, anche quegli intellettuali che consideravano inaccettabile o irrealizzabile una simile società, sapevano tuttavia che era proprio questo che i marxisti chiamavano comunismo. Per esempio, ne Il disagio della civiltà (1930), una presentazione divulgativa della sua concezione del mondo, Sigmund Freud tratteggiò una breve critica del comunismo. Non vi sono prove che Freud avesse studiato le opere di Marx ed Engels, né quelle di Lenin e degli altri dirigenti bolscevichi. La sua comprensione (e il suo fraintendimento) del comunismo erano condivisi da molti intellettuali europei e americani dell’epoca, indipendentemente dalle convinzioni politiche.

Freud basava la sua critica del comunismo sull’idea che “la tendenza aggressiva sia nell’uomo una disposizione pulsionale originaria e indipendente”. Ne concludeva che il progetto comunista di società armonica andrebbe contro la natura umana:

“Non è affar mio la critica economica del sistema comunista; non posso sapere se l’abolizione della proprietà privata sia opportuna e proficua. Ma sono in grado di riconoscere che la sua premessa psicologica è un’illusione priva di fondamento. Con l’abolizione della proprietà privata si toglie al desiderio umano di aggressione uno dei suoi strumenti, certamente uno strumento forte ma, altrettanto certamente, non il più forte. Quanto alle differenze di potere e prestigio, che l’aggressività sfrutta a proprio uso, nulla è stato in esse mutato, nulla cambia nell’essenza dell’aggressione (...). Se si sopprime il diritto personale ai beni materiali, il privilegio rimane nelle relazioni sessuali, ove diviene inevitabilmente fonte di grandissima invidia e rabbiosa ostilità tra esseri umani che per altri rispetti sono stati messi alla pari. Se si abbattesse anche questo ostacolo giungendo alla completa liberazione della vita sessuale, se si abolisse cioè la famiglia, cellula germinale della civiltà, pur non potendosi prevedere le nuove vie che imboccherebbe l’evoluzione della civiltà una cosa sarebbe certa, che questo lato incancellabile della natura umana la seguirà anche colà.”

Freud aveva giustamente compreso che, nella visione comunista della società del futuro, la famiglia si sarebbe estinta e ci sarebbe stata una “completa liberazione della vita sessuale”. L’errore della sua concezione consisteva nel fatto che i marxisti non ritengono sia possibile la semplice aboli-zione della famiglia. Le funzioni necessarie che essa svolge, specialmente la crescita e l’educazione delle future generazioni, devono essere sostituite con dei modi socializzati per crescere i bambini e svolgere i lavori domestici.

Benché Freud non possieda più l’autorità ideologica di un tempo, resta diffusa l’idea che la “natura umana” renda impossibile un mondo comunista, anche se nella fattispecie le spiegazioni possono differire. Noi marxisti da parte nostra ribadiamo che è la penuria materiale a generare la feroce corsa al possesso di risorse insufficienti. Per questo il comunismo diverrà possibile solo in condizioni di abbondanza materiale finora sconosciute, accompagnate da un gigantesco balzo in avanti del livello culturale della società. É l’esistenza delle classi, espressa oggi nella forma dell’ordine capitalista-imperialista in decadenza, che infesta la società umana con brutalità e violenza. Come spiegò lo scrittore marxista Isaac Deutscher nel suo discorso su “L’uomo socialista” (1967), “Homo homini lupus è il grido di battaglia contro il progresso e il socialismo della gente che agita lo spettro dell’eterno lupus umano nell’interesse del lupus reale e sanguinario dell’imperialismo contemporaneo”. [enfasi originali]

Freud invece considerava la “aggressività innata” nelle relazioni tra i sessi il problema fondamentale della natura umana. E quindi? La patologia sociale associata a quella che Freud percepiva come rivalità sessuale, avrebbe poca ragion d’essere in una società comunista completamente libera, in cui la vita sessuale sarà indipendente dall’accesso al cibo, all’abitazione, all’educazione e alle comodità, indipendente dalla possibilità di soddisfare i bisogni della vita quotidiana. Quando la famiglia si sarà estinta, assieme allo Stato e alle classi sociali, sostituita dall’educazione collettiva dei bambini, una nuova psicologia e una nuova cultura si svilupperanno tra coloro che cresceranno nelle nuove condizioni. I valori sociali patriacali (“mia” moglie, i “miei” figli) scompariranno assieme al sistema oppressivo che li ha generati. Le relazioni dei bambini tra loro e con le persone che li educheranno e guideranno saranno multiformi, complesse e dinamiche. É l’istituzione della famiglia che lega il sesso e l’amore alla proprietà, conferendo il marchio del “peccato” a tutto ciò che esula dalle pastoie della monogamia eterosessuale.

Sotto il capitalismo, la famiglia, connessa da un intreccio di fili al funzionamento fondamentale del “libero mercato” economico, è il principale meccanismo dell’oppressione delle donne e dei giovani. La famiglia, lo Stato e la religione organizzata sono i tre oppressivi pilastri su cui si regge l’ordinamento capitalista. Nei paesi del terzo mondo, la povertà e un’ancestrale arretratezza, fomentate dal dominio imperialista, conducono inesorabilmente a pratiche oppressive come il velo, il prezzo delle spose e la mutilazione genitale femminile.

Si potrebbe credere che nelle società capitaliste avanzate come gli Stati Uniti, la vita personale sia più complicata, più vicina a sceneggiati tipo Modern Family o Transparent che ai telefilm degli anni Cinquanta, stile Papà ha ragione. Ma le scelte personali sono sempre condizionate dalle leggi, dai meccanismi economici e dai pregiudizi della società divisa in classi, specialmente per i lavoratori e per i poveri. La sostituzione della famiglia con istituzioni collettive è l’aspetto più radicale del programma comunista e comporterà i cambiamenti più profondi e fondamentali della vita quotidiana, anche quella dei bambini.

I nostri oppositori nella sinistra e la caccia alle streghe sessuofoba

Oggigiorno non incontriamo praticamente più la visione di una società priva dell’istituzione oppressiva della famiglia, neppure tra la maggioranza di coloro che sostengono di promuovere il marxismo, il socialismo e la liberazione delle donne. Sono decenni che gli stalinisti, abbracciando il dogma anti-marxista del “socialismo in un paese solo”, hanno abbandonato la concezione della necessità di una società socialista a scala mondiale per realizzare appieno la liberazione umana, anche per le donne. Una delle conseguenze fu la riabilitazione da parte degli stalinisti della famiglia oppressiva come baluardo “socialista”. Abbiamo approfondito questa materia in “La Rivoluzione russa e l’emancipazione delle donne” (Spartacist, edizione inglese n. 59, primavera 2006).

Altri presunti marxisti contemporanei, alcuni sedicenti trotskisti, si limitano ad accodarsi alla dottrina femminista (borghese) prevalente, quando si occupano della questione della liberazione delle donne, accettando implicitamente le istituzioni della famiglia e dello Stato capitalista. Ne troviamo un esempio nel loro odio nei confronti della Spartacist League negli Usa e della Lci, a causa della nostra difesa dei diritti della North American Man/Boy Love Association (Nambla) [Associazione nordamericana per l’amore tra uomini e ragazzi], un’organizzazione che rivendica la legalizzazione delle relazioni sessuali consensuali tra adulti e giovani, e di altri che sono stati perseguitati per simili “deviazioni” sessuali. La Lci ha coerentemente contrastato l’intervento governativo nella vita privata e rivendica la cancellazione di tutte le leggi contro i “crimini senza vittime”, attività consensuali come la prostituzione, l’uso di droghe o la pornografia.

Le invettive contro Nambla di molti radicali e femministe esprimono i “valori famigliari” propugnati dai politicanti e dai demagoghi della borghesia. Sono decenni ormai che è in atto una multiforme controffensiva sessuofoba sponsorizzata dal governo: odio verso gli omosessuali, caccia alle streghe ai danni dei lavoratori dell’educazione, divieti di distribuire anticoncenzionali e di insegnare educazione sessuale ai giovani, che culmina nell’incarcerazione dei “devianti”. Questo assalto reazionario è stato accompagnato dal terrorismo extra-legale, come gli attentati dinamitardi che hanno preso di mira le cliniche che praticano aborti. Questa persecuzione mira in gran parte a rafforzare lo Stato borghese che irreggimenta la popolazione e a diffondere il panico per allontanare l’attenzione dalla reale brutalità che è la vita in questa società contorta, bigotta e razzista.

In passato, in vari articoli, abbiamo esplorato diversi esempi di come possa essere ambigua la vita sessuale, in una società deformata dalla diseguglianza di classe e dall’oppressione razziale e sessuale, che genera brutture e sofferenze. Abbiamo sempre sostenuto che l’abuso dei bambini è un crimine crudele e orrendo, ma che molti contatti sessuali sono del tutto consensuali e innocui. Chi mescola deliberatamente tutto, dalle carezze reciproche tra fratelli al crimine efferato dello stupro di un bambino da parte di un adulto, crea un clima di isteria sessuofoba in cui i responsabili delle vere violenze sui bambini spesso se la cavano. Abbiamo evidenziato che le inclinazioni sessuali di una specie di mammiferi gregari come l’homo sapiens, si lasciano ingabbiare a fatica nella rigida monogamia eterosessuale decretata dalla morale borghese.

Per garantire un minimo di protezione dalla persecuzione statale ai giovani che vogliono fare sesso (o anche semplicemente sexting), ci opponiamo alle leggi reazionarie sulla “età del consenso”, con cui lo Stato decreta un’età arbitraria alla quale si può fare sesso (età che comunque cambia a seconda delle leggi di ciascuna epoca e paese). La nostra bussola in queste materie è l’opposizione allo Stato capitalista e ai suoi tentativi di rafforzare e mantenere l’ordinamento borghese, basato sullo sfruttamento. Concretizziamo così nelle condizioni attuali il nostro obiettivo: la completa liberazione sessuale di tutti, inclusi bambini e adolescenti, in un futuro comunista. Questo è importante soprattutto per i giovani adulti, che oggi si trovano a dover trascorrere gli anni successivi alla pubertà incatenati alla dipendenza dai genitori. Chiediamo uno stipendio pieno per tutti gli studenti, che renda i giovani davvero indipendenti dalla famiglia, come parte del nostro programma di educazione gratuita e di qualità per tutti.

In netto contrasto, l’International socialist organization (Iso) rifiuta di chiedere l’abolizione delle leggi in vigore sull’età del consenso. In un articolo intitolato “I giovani, la sessualità e la sinistra”, Sherry Wolf, un pezzo grosso dell’Iso, ha agitato il forcone contro David Thorstad, un sostenitore di Nambla, accusandolo di essere “il più rumoroso tra i vecchi difensori della pederastia nella sinistra” (socialistworker.org, 2 marzo 2010). Citando il suo libro, Sexuality and Socialism: History, Politics and Theory of LGBT Liberation (Haymarket Books, 2009) ha detto: “É impossibile che un bambino esprima un vero consenso a un uomo di 30 anni, senza lasciarsi condizionare dalla disuguaglianza di potere”. L’articolo di Wolf continua: “Nella nostra società, adulti e bambini non sono alla pari sul piano emotivo, fisico, sociale o economico. I bambini e gli adolescenti più giovani non hanno la maturità, l’esperienza o il potere di prendere decisioni davvero libere sui loro rapporti con gli adulti. Senza queste, non esiste vero consenso”.

“Decisioni davvero libere”? A questa stregua nemmeno la maggior parte delle relazioni tra adulti soddisfano questo criterio di consenso. In pratica Wolf affida tutti i minori di 18 anni e i loro partner al potere dello Stato borghese. L’unico principio guida per qualsiasi relazione sessuale dev’essere quello del consenso effettivo: vale a dire, del reciproco accordo e comprensione tra le persone coinvolte, indipendentemente dall’età, dal genere o dalle preferenze sessuali.

Il fatto che l’Iso abbandoni i giovani nelle mani dello status quo sessuale oppressivo ne riflette l’adattamento ai pregiudizi dell’ordinamento capitalista e agli atteggiamenti retrogradi della popolazione. In ultima analisi, questo deriva dalla storica opposizione dell’Iso a qualsiasi prospettiva di mobilitazione rivoluzionaria della classe operaia per la presa del potere statale, per la creazione di uno Stato operaio (la dittatura del proletariato) e per la creazione delle basi di una società comunista. Per l’Iso il socialismo è più o meno un’estensione cumulativa della “democrazia” a tutti i settori degli oppressi, di cui la classe operaia sarebbe uno dei tanti. L’Iso cerca di fare pressione sui capitalisti perché riformino il loro ordine di sfruttamento. La sua prospettiva per la liberazione delle donne riflette la stessa commovente fiducia nel potere delle riforme.

Perché i marxisti non sono femministi

É interessante notare che negli ultimi anni, l’Iso ha iniziato una discussione sulle teorie della liberazione femminile nelle pagine del suo giornale, il Socialist Worker. Sembra che ciò si debba al desiderio di abbandonare la tradizionale opposizione al femminismo in quanto ideologia borghese per appropriarsi dell’etichetta del femminismo o del “femminismo socialista”. Per esempio, durante una presentazione tenuta a Socialism, la conferenza dell’Iso del 2013 (riprodotta in “Marxismo, femminismo e lotta per la liberazione”, socialistworker.org, 10 luglio 2013), Abbie Bakan (che all’epoca era una nota esponente dei Canadian International Socialists, cugini politici dell’Iso), spiega: “La pretesa teorica secondo cui può esistere un approccio marxista coerente favorevole alla ‘liberazione delle donne’ ma contrapposto al ‘femminismo’ è priva di senso.”

La recente adozione esplicita del “femminismo socialista” da parte dell’Iso non è che un differente involucro dello stesso contenuto liberale. Ad ogni modo, ci dà la possibilità di riaffermare la storica posizione marxista sulla famiglia e di sottolineare quanto l’emancipazione delle donne sia fondamentale e inseparabile dalla rivoluzione socialista. Contrariamente a quanto sostiene l’ideologia femminista, la piena eguaglianza legale non può trascendere l’oppressione delle donne, le cui radici si trovano nella famiglia e nella proprietà privata.

Noi abbiamo sempre insistito sul fatto che marxismo e femminismo sono storicamente nemici politici. Questa affermazione richiede una spiegazione. Negli Stati Uniti e in altri paesi, è comune usare il termine “femminista” come sinonimo dell’idea che uomini e donne dovrebbero essere uguali. Ma il femminismo, nell’opporsi alla diseguaglianza, accetta i confini della società capitalista attuale. Come ideologia il femminismo nacque alla fine del diciannovesimo secolo, come riflesso delle aspirazioni di uno strato di donne della borghesia e della piccola borghesia, che reclamavano l’accesso alle prerogative della loro classe: la proprietà e la trasmissione ereditaria, le professioni e il diritto di voto. I marxisti vogliono molto di più di quest’idea restrittiva della “uguaglianza di genere”.

Noi marxisti sappiamo che la liberazione delle donne non può avvenire senza la liberazione dell’intera specie umana dallo sfruttamento e dall’oppressione: questo è il nostro obiettivo. Esso venne ben formulato più di un secolo fa in La donna e il socialismo (1879), un classico del marxismo scritto da August Bebel, venerato dirigente del Partito socialdemocratico tedesco. Nelle sue varie edizioni, quest’opera fu letta da generazioni di milioni di operai fino alla Prima guerra mondiale. Non troverete una simile ricchezza visionaria in nessuno degli scritti dell’Iso su questo argomento:

“La donna sceglierà la sua attività lavorativa in quel campo che meglio risponde alle sue inclinazioni, al suo talento e ai suoi desideri, e lavorerà in condizioni identiche a quelle dell’uomo. Operaia in qualche industria o mestiere, di lì ad un’ora essa diventa educatrice e maestra, per esercitare subito dopo qualche arte od occuparsi di qualche scienza. Per compiere dopo ancora qualche funzione amministrativa” (La donna e il socialismo, nostra traduzione).

La descrizione di Bebel della natura appagante del lavoro in una società socialista, è importante specialmente perche vale sia per le donne sia per gli uomini. Questo fa capire la ragione essenziale per cui marxismo e femminismo si escludono e sono anzi antitetici. Le femministe considerano come fondamentale la divisione della società in donne e uomini, mentre i socialisti sanno che gli operai, uomini e donne, devono lottare insieme per porre fine all’oppressione e al comune sfruttamento da parte della classe capitalista.

Falsificazione del pensiero di Marx

Nel quadro della svolta teorica verso il “femminismo socialista”, l’Iso promuove il libro di Lise Vogel, Marxism and the Oppression of Women: Toward a Unitary Theory (Haymarket Books, 2013). Pubblicata nel 1983, quest’opera è stata ristampata nell’ambito della Serie Historical Materialism con l’introduzione elogiativa di due accademici sostenitori dell’ultra-riformista New Socialist Group. L’audience “socialista femminista” cui si rivolgeva Vogel era già praticamente svanita trent’anni fa. Ma poiché Vogel si presenta come la rappresentante del polo marxista tra gli intellettuali o nel movimento “socialista femminista”, pubblicarne il libro oggi è in sintonia con la politica dell’Iso.

Nel capitolo introduttivo, Vogel prende una posizione di equidistanza tanto dalle femministe non marxiste quanto dai marxisti non femministi. Si pone come obiettivo principale l’analisi della natura dell’oppressione delle donne nel quadro della struttura e delle dinamiche del sistema economico capitalista. La sua presentazione delle idee di Marx ed Engels è confusa, pomposa e contraddittoria. Si concentra principalmente sul rapporto tra il lavoro domestico, casalingo e la riproduzione generazionale della forza-lavoro. Per Vogel, l’oppressione delle donne è basata strettamente sul lavoro domestico (non retribuito) delle donne. Affermando che “la categoria di ‘famiglia’... è carente come punto di partenza analitico”, dimostra di ignorare le questioni più ampie sul ruolo della famiglia nell’oppressione delle donne e dei bambini e la sua importanza come pilastro fondamentale dell’ordinamento capitalista. La famiglia serve ad atomizzare la classe operaia, a diffondere l’individualismo borghese che fa da barriera alla solidarietà di classe.

Mentre lei stessa presenta una visione restrittiva dell’oppressione delle donne, Vogel accusa falsamente Engels di essere un “determinista economico”, limitandosi ad ignorare il lato culturale e sociale della ricca argomentazione di Engels ne L’origine della famiglia, della proprietà privata e dello Stato (1884). Tanto per fare un esempio, si lamenta per il fatto che Engels “non lega chiaramente lo sviluppo di una sfera speciale associata alla riproduzione della forza-lavoro all’emergere della società di classe, o almeno della società capitalista”. Qui sembra intendere che Engels non dimostra come lo sviluppo della società di classe abbia condizionato il ruolo delle donne nella crescita dei bambini. Ma questo è semplicemente falso.

Ne L’origine della famiglia, della proprietà privata e dello Stato, Engels descrive lo sviluppo della famiglia a partire dall’originaria divisione in classi della società nell’epoca neolitica. Basandosi sulle informazioni allora disponibili, Engels fece ampio uso della ricerca pionieristica condotta da Lewis Henry Morgan tra gli irochesi dello Stato di New York, per capire le antiche società pre-classiste. Engels descrisse come l’invenzione dell’agricoltura abbia creato un surplus sociale che per la prima volta consentì lo sviluppo di una classe dirigente oziosa che viveva del lavoro altrui. La famiglia, e in particolare la monogamia delle donne, era necessaria per garantire l’ordinato passaggio della proprietà e del potere agli eredi del patriarca, alle generazioni successive della classe dominante. Se è vero che oggi si sa molto di più sui primi periodi della società umana rispetto all’epoca di Engels, la sua concezione ha fondamentalmente superato la prova del tempo.

Vogel non analizza il ruolo sociale della famiglia per la classe operaia sotto il capitalismo, che consiste nel crescere le nuove generazioni di schiavi salariati. Nel Capitale Marx spiegò che il costo della forza-lavoro è determinato dal costo del mantenimento e della riproduzione dell’operaio: le spese per la sua vita quotidiana, il costo del suo addestramento e del mantenimento della moglie e dei figli. Per accrescere i propri profitti il capitalista cerca di ridurre il costo del lavoro: non solo il salario del lavoratore, ma anche i servizi come la pubblica istruzione e la sanità, necessari al mantenimento del proletariato.

A volte le femministe criticano alcuni aspetti della famiglia, ma solo per lamentarsi dei “ruoli di genere”, come se il problema nascesse da chi deve lavare i piatti o dare il biberon al bambino. É l’istituzione della famiglia che, fin dall’infanzia, socializza le persone in modo che si comportino secondo norme precise, rispettino l’autorità e si abituino all’obbedienza e alla deferenza, abitudini molto utili ai profitti dei capitalisti. La famiglia è insostituibile per la borghesia come serbatoio della piccola proprietà privata e in alcuni casi della piccola produzione e fa da freno ideologico alla presa di coscienza sociale. Vogel ignora tutte queste questioni e si concentra solo sul “lavoro domestico” non retribuito delle donne.

L’obiettivo ultimo

Ancor più debole è la posizione di Vogel per quanto riguarda l’obiettivo ultimo della liberazione delle donne. Lo si capisce specialmente da ciò che omette. Vogel separa l’emancipazione delle donne dal superamento della scarsità economica e dalla sostituzione del lavoro alienato (nella fabbrica come nella casa) col lavoro creativo fonte di soddisfacimento. L’obiettivo ultimo di una società comunista e i mezzi per realizzarla sfuggono dai confini intellettuali del “femminismo socialista” di Vogel.

Nello spiegare la loro adesione ad una concezione materialista della società e del cambiamento sociale, Marx ed Engels non si riferivano solo al capitalismo e alle società classiste che lo avevano preceduto (come il feudalesimo). Fornirono anche la concezione materialista di una futura società senza classi. In effetti, fu proprio questa la loro divergenza fondamentale con le principali correnti socialiste dell’inizio del diciannovesimo secolo, cioè gli owenisti, i fourieristi e i saint-simoniani, riassunte da Engels ne Il socialismo dall’utopia alla scienza (che in origine faceva parte della sua polemica del 1878, Anti-Dühring). Marx ed Engels capivano che una società socialista, concepita come stadio iniziale del comunismo, richiede un livello di produttività del lavoro molto più elevata persino di quella degli attuali paesi capitalisti più avanzati. Ciò richiede una continua espansione delle conoscenze scientifiche e delle applicazioni tecnologiche.

Vogel non ha questa concezione. Lo si vede specialmente da come parla della Russia sovietica delle origini. Esprimendo grande apprezzamento per la concezione e per l’impegno di Lenin verso il superamento dell’oppressione delle donne, ne cita con approvazione il discorso del 1919, “I compiti del movimento operaio femminile nella repubblica dei Soviet”:

“Voi tutte sapete che, anche quando esiste una piena eguaglianza di diritti, quest’oppressione della donna continua in effetti a sussistere, perché sulla donna cade tutto il peso del lavoro domestico che, nella maggior parte dei casi, è il lavoro meno produttivo, più pesante, più barbaro. É un lavoro estremamente meschino che non può, neanche in minima misura, contribuire allo sviluppo della donna.

Perseguendo l’ideale socialista, noi vogliamo lottare per la completa realizzazione del socialismo e qui un vasto campo di lavoro si apre dinanzi alle donne. Oggi ci prepariamo seriamente a sbarazzare il terreno su cui edificare il socialismo, ma l’edificazione del socialismo comincerà soltanto quando, dopo aver realizzato l’uguaglianza completa della donna, ci accingeremo al nuovo lavoro insieme alla donna, liberata da un’attività meschina, degradante, improduttiva.”

Vogel sostiene erroneamente che quella di Lenin era una voce che gridava nel deserto. Afferma che il principale ostacolo al superamento dell’oppressione delle donne nell’originaria Russia sovietica era ideologico: i valori patriarcali prevalenti tra gli uomini, operai e contadini, e una presunta indifferenza alla liberazione delle donne da parte dei quadri, in maggioranza uomini, del partito bolscevico. Scrive Vogel:

“Le osservazioni di Lenin sullo sciovinismo maschilista non acquistarono mai forma programmatica e la campagna contro l’arretratezza ideologica maschile restò nel migliore dei casi un tema di secondo piano nella pratica bolscevica. Ciononostante, le sue affermazioni sul problema furono una testimonianza molto rara della sua serietà: i contributi teorici di Lenin non riuscirono a lasciare un’impressione durevole”.

In verità, il governo sovietico mise in campo sforzi enormi per sollevare le donne della classe operaia dal peso dei lavori domestici e dalla cura dei figli, istituendo cucine, lavanderie, asili e altre strutture collettive. Sia i bolscevichi che l’Internazionale comunista costituirono degli speciali dipartimenti per il lavoro tra le donne. Nell’originario Stato operaio sovietico, lo Zhenotdel era attivo sia nelle regioni europee che in quelle dell’Asia centrale.

I limiti delle politiche emancipazioniste del governo comunista di V.I. Lenin e Leon Trotsky non erano ideologici ma nascevano dalle condizioni oggettive: la povertà di risorse materiali aggravata da anni di guerra imperialista e di guerra civile. In un articolo del 1923 intitolato “Dalla vecchia famiglia alla nuova”, che nel 1924 fu incluso nella raccolta Rivoluzione e vita quotidiana (un’opera che Vogel non menziona neppure), Trotsky spiegò:

“La preparazione fisica per le condizioni della vita e della famiglia nuova non possono anche in questo caso essere separate essenzialmente dal lavoro più generale della costruzione del socialismo. Lo Stato operaio deve diventare più ricco in modo da affrontare seriamente il problema dell’educazione pubblica dei ragazzi, della liberazione della famiglia dal fardello della cucina e dell’educazione pubblica dei bambini; cio è impensabile, inconcepibile senza un miglioramento sensibile di tutta la nostra economia. Abbiamo bisogno di fare grandi passi avanti in campo economico e solo se riusciamo a farli potremo liberare la famiglia dalle funzioni e dei lavori che ora la opprimono e la disintegrano. Il bucato dev’essere fatto in una lavanderia pubblica, i pasti debbono essere consumati in ristoranti pubblici, e le riparazione dei vestiti debbono esser fatte in laboratori pubblici. I figli debbano essere educati da buoni insegnanti che abbiano una vocazione reale per questo lavoro”.

La povertà era la sorgente di un’altra importante area di diseguaglianza tra uomini e donne nella prima Russia sovietica (cosa vera, peraltro, in ogni Stato operaio economicamente arretrato). Parliamo della mancanza di manodopera altamente qualificata, dotata di conoscenze avanzate e capacità tecniche. Gli operai qualificati dell’industria e i membri dell’intelligencja tecnica (ingegneri, architetti, ecc.) dovevano essere pagati di più degli operai non qualificati, anche se le differenze salariali erano molto inferiori che nei paesi capitalisti. Questo strato meglio retribuito della forza-lavoro, eredità del minuscolo settore capitalista moderno della Russia zarista, era formato in prevalenza da uomini. Anche se lo Stato operaio delle origini si sforzò di correggere questo problema, gli mancavano le risorse materiali per educare e addestrare come conduttrici di macchine o ingegneri un numero di donne sufficiente ad ovviare al predominio maschile nel settore.

Vogel conclude il suo libro con una previsione su come avverrà la transizione al comunismo dopo il rovesciamento del capitalismo:

“Di fronte alla terribile realtà dell’oppressione delle donne, i socialisti utopisti del diciannovesimo secolo invocarono l’abolizione della famiglia. La loro drastica rivendicazione continua tutt’ora a trovare dei sostenitori tra i socialisti. Al suo posto, il materialismo storico pone invece il difficile compito di ridurre e simultaneamente redistribuire il lavoro domestico, rendendolo parte integrante della produzione sociale della società comunista. Come lo Stato non viene ‘abolito’, ma si estingue, così deve estinguersi il lavoro domestico. La corretta gestione del lavoro domestico e del lavoro femminile durante la transizione al comunismo è dunque un problema decisivo per la società socialista, non fosse altro perché solo così si possono stabilire e conservare le condizioni economiche, politiche ed ideologiche di un’autentica liberazione delle donne. In questo processo, anche la famiglia, nella sua particolare forma storica di unità sociale consanguinea volta alla riproduzione di forza-lavoro da sfruttare in seno alla società divisa in classi, è destinata ad estinguersi, e con essa scompariranno sia i rapporti famigliari patriarcali, sia l’oppressione delle donne.” [enfasi nell’originale]

Ma come si potrà realizzare la riduzione e redistribuzione del lavoro domestico? Nel corso della transizione dalla dittatura del proletariato al comunismo compiuto, la trasformazione della famiglia sarà un corollario dell’espansione della produzione e della maggior abbondanza. La sua estinzione, o disintegrazione, è frutto del successo economico. In questo processo, essa verrà rimpiazzata da nuovi modi di vita che saranno incomparabilmente più ricchi, più umani e più appaganti. Ci sarà senz’altro bisogno di sviluppare alcune regole nel corso di questa trasformazione, man mano che le persone sperimenteranno modi di vita nuovi. Nel periodo di transizione, sarà compito del collettivo democratico degli operai, il soviet, sviluppare delle alternative e guidare il processo.

Vogel non pone la domanda fondamentale: se le donne verranno liberate dall’abbrutimento del lavoro domestico, dove le condurrà la loro liberazione? La riduzione del tempo speso a svolgere lavori domestici sarà forse correlata ad un aumento complementare delle ore trascorse al lavoro: due ore di meno a lavare vestiti e pavimenti, due ore di più alla catena di montaggio? Non è certo questa la concezione marxista della liberazione delle donne.

La sostituzione del lavoro domestico e della cura dei bambini con istituzioni collettive è un aspetto del cambiamento fondamentale del rapporto tra produzione e tempo di lavoro. In un’economia socialista pianificata, ogni tipo di attività economica, dalla produzione di acciaio e computer al lavaggio degli abiti, dei pavimenti e dei mobili, sarà oggetto di un rapido e costante incremento della produzione per unità di lavoro impiegato. Molto prima che si realizzi una società comunista, gran parte dei lavori domestici saranno automatizzati. Più in generale, assisteremo ad una costante diminuzione del tempo totale di lavoro necessario alla produzione e al mantenimento dei mezzi di consumo e dei mezzi di produzione.

In una società compiutamente comunista, gran parte del tempo sarà l’equivalente di quello che oggi chiamiamo “tempo libero”. Il lavoro necessario assorbirà così poco tempo ed energie, che gli individui lo offriranno volentieri alla collettività. Ognuno avrà a disposizione il tempo e le rirsorse materiali e culturali necessarie a svolgere un lavoro creativo e appagante. Nei Grundrisse (1857), Marx menzionò la composizione di musica come un esempio di lavoro veramente libero.

Nel 2005 Sharon Smith, una figura di spicco dell’Iso e sedicente teorica, scrisse un libro dal titolo Women and Socialism: Essays on Women’s Liberation (Haymarket Books), una cui riedizione rivista ed allargata dovrebbe uscire quest’anno. Un estratto della nuova edizione, “Theorizing Women’s Oppression: Domestic Labor and Women’s Oppression”, pubblicato dalla International Socialist Review (marzo 2013), delinea quello che secondo l’Iso è il suo nuovo approccio al femminismo. Le “teorie” di Smith si rifanno ampiamente al concetto di lavoro domestico non retribuito come base dell’oppressione delle donne, sviluppato da Lise Vogel.

Smith comincia col criticare Karl Marx e Friedrich Engels, passaporto indispensabile per l’ambiente femminista piccolo-borghese: “il modo in cui Marx ed Engels trattano l’oppressione delle donne contiene elementi spesso contradditori, alcuni sfidano a fondo lo status quo di genere, altri invece lo rispecchiano”. Anche più dura è la critica di Smith verso la rivoluzione bolscevica russa del 1917, un evento che i liberali, femministi o meno, considerano nel migliore dei casi un esperimento utopico e fallimentare, nel peggiore l’atto di nascita di uno Stato di polizia totalitario.

Accarezzando i pregiudizi anticomunisti, Smith sostiene che i bolscevichi appoggiassero il ruolo tradizionale delle donne, elevando la maternità al grado di supremo dovere sociale: “Nonostante le enormi realizzazioni della Rivoluzione russa del 1917, come la legalizzazione dell’aborto e del divorzio, il diritto di votare e di candidarsi a cariche pubbliche e l’abolizione delle leggi che criminalizzavano la prostituzione e l’omosessualità, essa non seppe produrre una teoria che sfidasse le norme naturali eterosessuali o la supremazia della predestinazione materna delle donne”. Smith cita poi John Riddell, uno storico di sinistra i cui scritti vengono spesso pubblicati sulla International Socialist Review dell’Iso: “In quel periodo le comuniste consideravano la gravidanza come una responsabilità sociale e cercavano di aiutare ‘le povere donne che desideravano sperimentare la maternità come gioia suprema’”.

Con una citazione fuori contesto, Smith e Riddell falsificano la dottrina e la pratica dei bolscevichi. I bolscevichi vedevano nella sostituzione della famiglia con strutture collettive, non un distante obiettivo della futura società comunista ma un programma da attuare nei fatti nello Stato operaio sovietico russo. Alexandra Kollontai, una delle dirigenti del lavoro bolscevico tra le donne, chiedeva che le istituzioni socializzate si facessero completamente carico dei bambini e del loro benessere fisico e psicologico sin dall’infanzia. Parlando di fronte al primo congresso pan-russo delle donne, nel 1918, essa affermò:

“Poco a poco la società si sta facendo carico di tutti gli impegni che prima gravavano sui genitori.... Già esistono case per i neonati, asili infantili, giardini d'infanzia, colonie e case per i bambini, infermerie e sanatori per gli infermi, ristoranti, mense per gli scolari, testi scolastici gratuiti, vestiti e scarpe per i bambini degli istituti d'istruzione. Tutto ciò non dimostra sufficientemente che il bambino esce dalla stretta cornice familiare, passando il peso della sua crescita e della sua educazione dai genitori alla collettività?” (La famiglia e lo Stato comunista, nostra traduzione)

In una società socialista, gli insegnanti e gli assistenti degli asili nido e delle scuole materne sarebbero uomini e donne. Solo così si eliminerà l’ancestrale divisione del lavoro tra uomini e donne nella cura dei bambini.

Il modo in cui Kollontai concepiva la famiglia del futuro non era insolito per i dirigenti bolscevichi. In Women, the State and Revolution: Soviet Family Policy and Social Life, 1917-1936 (Cambridge University Press, 1993), Wendy Goldman, una studiosa americana con simpatie femministe liberali, scrive che Alexander Goikhbarg, il principale autore del primo Codice legale sul matrimonio, la famiglia e la custodia, del 1918: “incoraggiava i genitori a rigettare ‘l’amore restrittivo e irrazionale per i figli’. Pensava che l’educazione dei bambini da parte dello Stato avrebbe ‘dato risultati molto migliori dell’approccio privato, individuale, antiscientifico ed irrazionale di singoli genitori ‘amorevoli’ ma ignoranti.’” I bolscevichi volevano liberare non solo le donne dall’angustia del lavoro domestico e dal dominio patriarcale, ma anche i bambini dagli effetti spesso negativi dell’autorità dei genitori.

I bolscevichi e la cura collettiva dei bambini

Riecheggiando Vogel, Smith scrive:

“Se la funzione economica della famiglia operaia, così cruciale nella riproduzione della forza-lavoro per il sistema capitalista, che allo stesso tempo costituisce la radice sociale di tutta l’oppressione delle donne, fosse eliminata, si potrebbero creare le basi materiali per la liberazione delle donne. Questo esito può iniziare a materializzarsi solo eliminando il sistema capitalista e sostituendolo con una società socialista che socializzi il lavoro domestico in precedenza assegnato alle donne.”

L’uso che fa Smith del termine “lavoro domestico” è ambiguo. Intende solo il lavoro domestico e la cura fisica dei bambini piccoli? Che dire allora del “lavoro domestico” implicato in quello che oggi chiamano l’essere genitori? Smith non lo dice. Ignora semplicemente la questione dei rapporti interpersonali tra una madre e il suo bambino: ascoltarlo e parlargli dei suoi problemi, dei suoi desideri e delle sue paure. Insegnargli le prime parole o i rudimenti dell’igiene e della sicurezza. Giocarci. Aiutarlo con i compiti. Ma non considerando queste interazioni come un terreno di azione collettiva, l’idea di socialismo di Smith è del tutto compatibile con la conservazione della famiglia, eccezion fatta per il lavoro domestico.

Perché rimanere ambigui su una materia tanto importante? L’Iso cerca di attrarre giovani idealisti della sinistra liberale, presentando loro una versione di “marxismo” ritagliata su misura per le loro idee e i loro pregiudizi. Questa organizzazione non prende quasi mai, su qualsiasi questione, una posizione che sia veramente impopolare nell’ambiente radical liberale americano. Le giovani con una mentalità femminista troverebbero molto attraente l’idea di una vita famigliare senza lavori domestici. Ma dover rinunciare alla casa di proprietà della famiglia, all’attaccamento esclusivo ai “propri” bambini? L’audience piccolo-borghese cui si rivolge Smith inorridisce di fronte al programma bolscevico di trasformazione della vita quotidiana con modi di vita collettivi. Come scrisse Kollontai:

“La lavoratrice, divenuta combattente sociale per la grande causa della liberazione dei lavoratori, deve sapere che non vi è motivo perché persistano le vecchie divisioni. Questi sono i miei figli, cui riservo tutte le mie attenzioni materne e il mio amore. Questi sono i tuoi figli, questi i figli del vicino, di loro non mi importa. Che siano pure più affamati dei miei, che abbiano più freddo, non mi importa dei figli altrui! Oggi la madre operaia consapevole deve imparare a non far distinzioni tra tuo e mio, a ricordare che sono solo i nostri figli, figli della Russia operaia, comunista”. [enfasi originali, nostra traduzione]

Ancora nel 1929, il Partito comunista russo (Pc) continuava a rivendicare l’estinzione della famiglia, nonostante l’ascesa al potere politico cinque anni prima di una casta burocratica conservatrice capeggiata da J.V. Stalin. Ma come abbiamo scritto in “La rivoluzione russa e l’emancipazione della donna” (Spartacist, edizione inglese n. 59, primavera 2006), “Nel 1936-37, quando la degenerazione del Pc russo fu completata, la dottrina stalinista sentenziò che si trattava di un ‘errore grossolano’ e chiese la ‘ricostruzione della famiglia su di una nuova base socialista!’”

La famiglia come costrutto sociale

Se Smith e Riddell sostengono falsamente che il primo regime bolscevico appoggiasse il ruolo tradizionale delle donne come principali responsabili della cura dei figli, Goldman li critica al contrario per non averlo fatto:

“I bolscevichi davano poca importanza al profondo legame emotivo tra genitori e figli. Pensavano di potere relegare a dipendenti pubblici stipendiati gran parte delle attenzioni necessarie ai bambini, anche nell’infanzia. Tendevano a sminuire l’importanza del legame affettivo tra madre e figlio per la sopravvivenza dei neonati e per il loro sviluppo durante la prima infanzia, anche se sarebbe bastata una rudimentale conoscenza del lavoro degli orfanotrofi prerivoluzionari per rivelare lo sconvolgente, bassissimo tasso di sopravvivenza dei neonati che vivevano in queste istituzioni e gli ostacoli frapposti al sano sviluppo dei bambini”.

Il paragone non ha senso. Il trattamento e la sorte dei bambini più piccoli nei miserabili orfanotrofi della Russia zarista non si può in alcun modo paragonare all’educazione collettiva dei bambini in una società rivoluzionaria. Uno Stato operaio, specialmente in un paese economicamente avanzato, avrebbe a sua disposizione le risorse umane e materiali necessarie a fornire ai bambini un’educazione migliore sotto ogni aspetto rispetto a quella di una madre nel quadro domestico di una famiglia privata.

I bolscevichi inoltre ponevano un forte accento sulla salute e sul benessere della madre e del bambino. Lo Statuto dei lavoratori del 1918 garantiva una pausa retribuita di almeno trenta minuti ogni tre ore per l’allattamento. L’assistenza alla maternità, introdotta quello stesso anno, garantiva un permesso di maternità di otto settimane a salario pieno, pause per l’allattamento e strutture per consentire alle donne di riposare sul posto di lavoro, assistenza gratuita prima e dopo il parto e sostegno finanziario. Questo programma, con la sua rete di reparti di maternità, di consultori, di luoghi di allattamento, di asili, di case per le madri e i bambini, fu tra le donne probabilmente la più popolare di tutte le innovazioni introdotte dal regime sovietico.

Le femministe, americane e non solo, condannano l’affermazione secondo cui “la biologia determina il destino”, vedendovi un’espressione di sciovinismo maschilista. Eppure Goldman da per scontato che delle donne (o degli uomini) che non hanno una relazione biologica con dei neonati o dei bambini in tenera età, non possano sviluppare sentimenti protettivi nei loro confronti simili a quelli della madre biologica. Forse i genitori di bambini adottivi sono di un’altra opinione. Ma anche le attuali procedure di adozione negli Usa si basano sull’idea che i bambini possono essere amati e curati soltanto in una “famiglia”, sia essa formata da padre e madre biologici, da genitori adottivi o da genitori gay o transgender. Lungi dall’essere una legge di natura, l’idea che l’educazione dei bambini sia possibile solo nel quadro della famiglia è un costrutto sociale.

Quando gli essere umani vivevano come cacciatori-raccoglitori (vale a dire, per la maggior parte dei 200 mila anni da cui esiste la nostra specie), l’unità fondamentale dell’esistenza umana non era la “coppia” ma la banda o la tribù. Un esempio non lontano venne raccolto dalle testimonianze dei missionari gesuiti tra il popolo cacciatore dei naskapi del Labrador. Come raccontò Eleanor Burke Leacock nella sua bella introduzione all’Origine della famiglia, della proprietà privata e dello Stato (International Publishers, 1972), i gesuiti si lamentavano della libertà sessuale delle donne naskapi, dicendo ad un uomo che “nemmeno lui era sicuro che suo figlio, lì presente, fosse davvero figlio suo”. La risposta del naskapi parla da sola: “Voi siete pazzi. Voi francesi amate solo i figli vostri, ma noi amiamo tutti i bambini della nostra tribù”.

La scomparsa delle classi e della proprietà privata sotto il comunismo porterebbe inevitabilmente con sé la completa libertà nelle relazioni sessuali e la scomparsa di qualsiasi concetto di legittimità o illegittimità dei figli. Ciascuno avrebbe accesso a tutti i vantaggi della società per il fatto stesso di essere un cittadino del soviet internazionale.

La famiglia, veicolo dell’ideologia borghese

Vogel e Smith limitano implicitamente alle attività fisiche la loro definizione di lavoro domestico. Smith ad esempio scrive: “Le responsabilità quotidiane della famiglia ruotano ancora attorno al cibo, al vestiario, alle pulizie e alla cura dei propri membri, una responsabilità che ricade ancora in gran parte sulle donne”. Ma la crescita dei bambini in vista del loro ingresso nel mercato del lavoro non è come l’allevamento di agnelli e vitelli per il mercato del bestiame. La riproduzione della forza-lavoro umana non ha solo carattere biologico, ma anche sociale, vale a dire ideologico. Anche portare un bambino in chiesa o al catechismo è una forma di lavoro domestico importante per il mantenimento del sistema capitalista. Così come portare un bambino a vedere un film che esalta i “valori famigliari”, il patriottismo, ecc. La famiglia è la principale istituzione tramite cui le varie forme di ideologia borghese vengono trasmesse da una generazione alla successiva.

L’Abc del comunismo (1919), scritto da due bolscevichi di primo piano, Nikolai Bukharin e Evgeny Preobrazhensky, spiegava che l’esigua minoranza dei capitalisti non può dominare la classe operaia solo con l’uso della forza fisica e della coercizione esercitata da polizia ed esercito. Il mantenimento del sistema capitalista richiede anche la forza delle idee:

“La borghesia sa bene di non poter reprimere le masse operaie colla sola forza bruta. Pensa perciò che bisogna tessere una sottile ragnatela intorno al cervello di questa gente. (...) Con questo spirito lo Stato capitalista educa tecnici, maestri di scuola e professori borghesi, preti e vescovi, scribacchini e giornalisti borghesi, perché provvedano a rincretinire e addomesticare il proletariato.”

Bukharin e Preobrazhensky indicavano tre principali istituzioni tramite cui si mantiene il dominio ideologico borghese: il sistema scolastico, la Chiesa e la stampa, che oggi include i mass media, i film, la televisione e internet.

Nei paesi capitalisti avanzati, dove i bambini sono considerati di proprietà dei genitori, la famiglia ha un rapporto diverso con ciascuna di queste istituzioni. Dall’età di cinque o sei anni i bambini hanno l’obbligo legale di frequentare la scuola (pubblica o privata) e quelli più piccoli spesso frequentano le scuole materne. Fin da piccolissimi i bambini guardano la televisione, sotto il controllo di qualche genitore, di solito la madre, che sceglie i programmi. A differenza degli insegnanti e dei produttori televisivi, i preti non hanno accesso diretto ai bambini (negli Usa, come in altri paesi, sono i genitori a decidere se i figli devono essere o meno sottoposti a indottrinamento religioso). Almeno all’inizio, questo indottrinamento viene imposto ai bambini contro il loro desiderio personale. Probabilmente non esiste un solo bambino di quattro o cinque anni sulla faccia della terra che non preferisca giocare con altri bambini piuttosto che partecipare a una cerimonia religiosa.

Prendiamo un bambino di dieci anni i cui genitori sono cattolici praticanti. Va in chiesa da quando è nato. Frequenta una scuola cattolica al posto di quella pubblica (o in aggiunta). A casa sente dire le preghiere prima dei pasti e conosce molte espressioni quotidiane di fede religiosa. É possibile che aderirà al credo e alle dottrine cattoliche, almeno fino all’età in cui sarà affrancato dall’autorità dei genitori.

Prendiamo invece un bambino di dieci anni i cui genitori non sono religiosi. La sua conoscenza della religione si limita a ciò che ha imparato a scuola e a qualche informazione dalla televisione, dai film o da discussioni con altri bambini cresciuti in un ambiente religioso. Quasi sicuramente il bambino sarà irreligioso. Ma il fatto di essere irreligioso non rende un bambino immune da altre forme, probabilmente più “progressiste” di ideologia borghese. Un bambino cresciuto da genitori che aderiscono ad un “umanismo laico” probabilmente sosterrà il liberalismo politico negli Stati Uniti o la socialdemocrazia in Europa occidentale e forse anche l’élitismo intellettuale. Esiste anche una corrente atea libertaria (associata a Ayn Rand) che glorifica l’individualismo egoista e il “libero mercato” capitalista. La religione non è l’unica forma di ideologia borghese reazionaria.

Oltre alle donne, la famiglia opprime anche i bambini e deforma parecchio la coscienza degli uomini. Questa fondamentale verità sociale è ignorata, se non negata, dalle femministe liberali e “socialiste”. Per loro, ammettere che l’oppressione dei bambini è intrinseca alla famiglia significherebbe (colmo dell’orrore!) criticare il comportamento socialmente condizionato delle donne nel loro ruolo di madri. Le sedicenti marxiste come Vogel e Smith, che diffondono la tesi per cui il lavoro domestico è la base dell’oppressione delle donne, considerano il ruolo delle madri nei confronti dei figli come esclusivamente benefico.

Contro la repressione sessuale dei bambini

Le tante femministe che condannano gli abusi fisici dei bambini, sono di fatto indifferenti agli abusi psicologici di cui questi sono vittime. Tanto per fare un esempio, i figli di genitori fondamentalisti cristiani (cattolici o protestanti poco importa) subiscono una tortura mentale per convincerli che andranno all’inferno se si comportano male.

Molto più diffusa e psicologicamente dannosa è la repressione sessuale dei bambini che si estende fino all’adolescenza. La società capitalista tende a punire le espressioni di sessualità dei bambini fin dalla nascita. Anche i genitori più aperti non possono mettere i figli al riparo dall’ideologia moralista e sessuofoba che pervade la società americana, a partire dai reparti rosa e azzurri separati di Toys “R” Us (ndr negozi di giocattoli), fino alla proibizione della nudità in pubblico e alla demonizzazione di qualsiasi attività sessuale dei bambini, compresa la masturbazione. Più dei padri sono le madri, per il ruolo principale che svolgono nell’accudire i bambini piccoli, ad iniziare il processo di repressione sessuale, insegnando ai bambini a vergognarsi dei loro corpi e a sopprimere la naturale curiosità.

Anche August Bebel, uno dei principali dirigenti della socialdemocrazia tedesca al passaggio tra il diciannovesimo e il ventesimo secolo, sembra un libertario estremista sul piano sessuale a confronto delle attuali “femministe socialiste”. Ne La donna e il socialismo (1879) insisteva:

La soddisfazione dell’istinto sessuale è questione personale di ogni individuo, precisamente come il soddisfacimento di qualunque altro istinto naturale. L’uno non deve rendere conto all’altro, e chi non vi è chiamato non ci si deve immischiare. (...) Il semplice fatto che spariranno l’alone di mistero e l’imbarazzato moralismo che oggi circondano delle faccende del tutto naturali garantirà delle relazioni tra i sessi più naturali rispetto a quelle prevalenti oggigiorno”. [enfasi originali, nostra traduzione]

Si possono leggere centinaia di pagine delle odierne “femministe socialiste” senza trovare mai scritto che la società socialista consentirà a tutti di soddisfare meglio i propri bisogni e desideri sessuali.

Il futuro comunista

Sotto il comunismo, le persone saranno veramente libere di plasmare e modificare i loro rapporti personali. Evidentemente, non si tratta di una libertà assoluta. La specie umana non può trascendere la sua costituzione biologica e i suoi rapporti con l’ambiente naturale. Anche l’uomo e la donna comunisti invecchieranno e moriranno. L’umanità comunista non può cancellare il passato e ricostruire una società totalmente nuova. L’umanità comunista erediterà l’intero patrimonio culturale accumulato nella storia della nostra specie, nel bene come nel male. Non possiamo conoscere le pratiche sessuali della società comunista, che si svilupperanno nel futuro. Qualsiasi previsione, per non dire prescrizione, porterebbe l’impronta degli atteggiamenti, dei valori e dei pregiudizi determinati da una società repressiva e dalla divisione in classi.

Una differenza fondamentale tra il marxismo e il femmismo, che si professi liberale o socialista, sta nel fatto che il nostro obiettivo ultimo non è l’eguaglianza di genere in quanto tale, ma uno sviluppo progressista dell’insieme della specie umana. L’educazione collettiva dei bambini in condizioni di abbondanza materiale e di ricchezza culturale produrrà degli esseri umani le cui capacità mentali e il cui benessere psicologico saranno molto superiori agli individui che popolano la nostra società povera, oppressiva e divisa in classi. In un discorso del 1932 sulla Rivoluzione russa, pubblicato in “In difesa dell’Ottobre” (Fourth International, luglio-agosto 1947), Leon Trotsky disse:

“É vero che più di una volta l’umanità ha generato dei giganti di pensiero e azione che svettano sui loro contemporanei. La razza umana può andar fiera dei suoi Aristotele, Shakespeare, Darwin, Beethoven, Goethe, Marx, Edison e Lenin. Ma perché sono così rari? Soprattutto perché, senza quasi eccezione, sono sorti dalle classi medie e superiori. Con qualche rara eccezione, le scintille di genio nelle profondità oppresse del popolo vengono soffocate prima di divenire fiamma. Ma anche perché il processo della creazione, dello sviluppo e dell’educazione degli esseri umani resta com’era una attività essenzialmente casuale, non illuminata dalla teoria né dalla pratica, che sfugge alla coscienza e alla volontà...

Una volta eliminate le forze anarchiche dalla società l’uomo si metterà al lavoro su sé stesso, col mortaio e il pestello del chimico. Per la prima volta l’umanità vedrà in sé stessa una materia grezza, o almeno un semilavorato fisico e psicologico. Anche in questo campo, il socialismo comporterà un balzo dal regno della necessità al regno della libertà: l’uomo contemporaneo, con tutte le sue contraddizioni e i suoi squilibri, aprirà la strada ad una razza nuova e più felice.”

(Tradotto da Workers Vanguard n.1068 e n.1069 del 15 e 29 maggio 2015)

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