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Spartaco n. 84 |
Novembre 2019 |
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Partito democratico, 5 stelle, Lega Nemici di operai, immigrati e minoranze Abbasso lUnione Europea! Serve un partito operaio rivoluzionario multietnico
Il 5 settembre, sotto lo sguardo solenne di Mattarella, l’ex premier Giuseppe Conte si è passato la campanella onorifica di primo ministro dalla mano destra alla mano sinistra. Ed ecco il governo “del cambiamento” di Lega e Movimento 5 stelle (M5s), rimpiazzato dal governo “di novità” di M5s e Partito democratico (Pd).
La crisi di governo provocata dalla Lega per ribaltare gli equilibri interni al governo gialloverde, si è rivelata un’occasione d’oro per gli euro-imperialisti e i settori decisivi della borghesia italiana, che hanno colto la palla al balzo per mettere in sella un governo più ossequioso verso l’Unione Europea (Ue) e la Nato. Al meeting del G7 di Biarritz in agosto i capi di Stato di Francia, Germania e Stati Uniti, si sono sperticati nelle lodi a Conte e alla formazione di un nuovo governo col Pd. I mercati finanziari hanno sostenuto i titoli di Stato italiani e la borsa di Milano si è impennata, proprio mentre le statistiche mostravano un ulteriore arretramento dell’economia e l’aumento della disoccupazione! Dopo la formazione del governo Pd-M5s, i media borghesi hanno decantato la nuova luna di miele tra Italia e Ue. Il reazionario clero cattolico, per bocca di papa Bergoglio, ha benedetto l’unione. La consumazione del matrimonio sarà una finanziaria di austerità e il tentativo di imporre ulteriori “riforme” ai danni della classe operaia, degli immigrati e dei poveri. L’obiettivo del nuovo governo è di garantire la continuità delle politiche di austerità imposte dall’Ue.
Il 5 settembre, sotto lo sguardo solenne di Mattarella, l’ex premier Giuseppe Conte si è passato la campanella onorifica di primo ministro dalla mano destra alla mano sinistra. Ed ecco il governo “del cambiamento” di Lega e Movimento 5 stelle (M5s), rimpiazzato dal governo “di novità” di M5s e Partito democratico (Pd).
La crisi di governo provocata dalla Lega per ribaltare gli equilibri interni al governo gialloverde, si è rivelata un’occasione d’oro per gli euro-imperialisti e i settori decisivi della borghesia italiana, che hanno colto la palla al balzo per mettere in sella un governo più ossequioso verso l’Unione Europea (Ue) e la Nato. Al meeting del G7 di Biarritz in agosto i capi di Stato di Francia, Germania e Stati Uniti, si sono sperticati nelle lodi a Conte e alla formazione di un nuovo governo col Pd. I mercati finanziari hanno sostenuto i titoli di Stato italiani e la borsa di Milano si è impennata, proprio mentre le statistiche mostravano un ulteriore arretramento dell’economia e l’aumento della disoccupazione! Dopo la formazione del governo Pd-M5s, i media borghesi hanno decantato la nuova luna di miele tra Italia e Ue. Il reazionario clero cattolico, per bocca di papa Bergoglio, ha benedetto l’unione. La consumazione del matrimonio sarà una finanziaria di austerità e il tentativo di imporre ulteriori “riforme” ai danni della classe operaia, degli immigrati e dei poveri. L’obiettivo del nuovo governo è di garantire la continuità delle politiche di austerità imposte dall’Ue.
Il nuovo governo, come i 65 che lo hanno preceduto nella storia repubblicana, è un comitato d’affari della classe dominante: nemico degli operai, degli immigrati e delle minoranze. Il Pd, il M5s e la Lega di Salvini sono tutti partiti degli sfruttatori capitalisti e il loro obiettivo è quello di soggiogare e sfruttare la classe operaia, soffocarne le lotte e calpestare i diritti degli immigrati e delle minoranze. La differenza tra il Pd e Salvini è che mentre Salvini gode a spargere immondizia razzista, Zingaretti e soci indossano la maschera ipocrita della umanità e dell’accoglienza. Inoltre il Pd grazie alle sua retorica progressista, ha il sostegno di grosse fette della burocrazia traditrice che dirige i sindacati e che cercherà di tenere a freno gli operai come ha fatto con il Jobs Act o con la legge Fornero dei governi Renzi e Monti.
Pd-M5s: un matrimonio “made in Eu”
La decisione del M5s di disfarsi temporaneamente dell’alleanza con la destra leghista e della sua postura populista per formare un governo con il Pd, al momento il principale partito dell’establishment borghese, risponde all’attuale imperativo categorico della borghesia italiana: sostenere l’alleanza imperialista dell’Unione Europea e pagare il debito pubblico fino all’ultimo centesimo. Come ha indicato un editoriale de la Repubblica (30 agosto):
“Perché il percorso accidentato che ancora separa i contraenti dall’altare si possa dignitosamente completare è indispensabile lavorare da subito, che il tempo è pochissimo, sugli elementi che uniscono. Tra questi, senza stilare elenchi di buoni propositi innocui, c’è l’esigenza di ripristinare patti e ponti con l’Europa, abbandonando le scorciatoie pericolose imboccate sulla via del Cremlino o sul concetto altrettanto pericoloso di sovranismo”.
L’Ue è un insieme di trattati volti a massimizzare i profitti, aumentando lo sfruttamento degli operai di tutto il continente. Per gli imperialisti europei, con in testa Germania e Francia e con l’Italia sul sedile posteriore, questa alleanza reazionaria è uno strumento che serve ad aumentare la propria competitività rispetto ai rivali imperialisti negli Usa e in Giappone, e a rafforzare il giogo imposto ai Paesi più deboli. Parallelamente l’Ue fa anche da appendice della Nato e garantisce lauti profitti alla borghesia imperialista americana. Gli interessi nazionali conflittuali dei diversi imperialismi minacciano costantemente l’alleanza.
La natura dell’Ue è stata dimostrata dallo stupro della Grecia (Paese che oggi ha meno sovranità nazionale di quanta non ne abbia il Messico neocoloniale) o dalla devastazione subita dall’Irlanda dopo la crisi del 2008-2009 o ancora dalla trasformazione della Polonia e degli altri Paesi dell’Europa orientale in bacini di manodopera supersfruttata. E’ stata dimostrata anche dal crollo delle condizioni di vita e di lavoro del proletariato negli stessi centri imperialisti, dall’Italia alla Germania. In Italia, i salari sono così bassi che persino gli stipendi base degli insegnanti pubblici sono al di sotto del livello di povertà per una famiglia di tre persone. La disoccupazione è alle stelle e milioni di operai vivono alla mercé di contratti interinali, sempre con il cappio di cooperative e agenzie intorno al collo.
La Lci si è sempre opposta per principio all’Ue e all’introduzione dell’euro, strumento economico e finanziario con cui gli imperialisti tedeschi e francesi hanno soggiogato le economie dei Paesi più deboli. La borghesia italiana ha partecipato a titolo proprio al saccheggio dell’Europa orientale e meridionale, ma è uscita sconfitta dalla competizione economica con i suoi più potenti rivali europei. Come abbiamo scritto in “Fuori l’Italia dall’Unione Europea!” (Spartaco n. 80, 25 marzo 2017):
“La classe operaia deve battersi per l’uscita dell’Italia dall’Unione Europea e dall’euro. L’uscita dell’Italia potrebbe far crollare l’Ue e questo sarebbe un vantaggio per tutti i lavoratori e per gli oppressi e un duro colpo per i padroni. La fine dell’Ue non significherebbe la fine del capitalismo internazionale, dello sfruttamento e del razzismo intrinseci a questo sistema di produzione, ma faciliterebbe la lotta di classe dei lavoratori d’Europa, mostrando più chiaramente che il nemico principale contro cui combattere sono i ‘loro’ sfruttatori nazionali.”
Il fatto che l’Ue sia rimasta in piedi così a lungo è responsabilità principale delle burocrazie sindacali che hanno spinto gli operai a sostenere la costruzione di una presunta “Europa sociale”, aiutando le borghesie imperialiste col rifiuto di organizzare il tipo di lotta di classe che avrebbe potuto sconfiggere le misure antisindacali di austerità imposte dai capitalisti. In questo ruolo, i burocrati sindacali hanno ricevuto l’aiuto cruciale delle organizzazioni riformiste di “sinistra” come Rifondazione comunista e altri, che negli anni cruciali della creazione dell’Ue e dell’euro, cantavano le lodi di una “Europa sociale” possibile se loro fossero stati al timone.
La politica dei liberali e dei gruppi riformisti consiste nell’illudere che l’Ue sia una formazione sovranazionale, storicamente più avanzata e progressista rispetto ai singoli Stati nazionali: un’Europa in cui i confini sarebbero spalancati e che avrebbe pacificamente travalicato i conflitti tra potenze imperialiste che segnarono il Ventesimo secolo. Per questo affermano che qualsiasi rivendicazione di uscita dall’Ue rappresenta un “ritorno” agli Stati nazionali, come se con la creazione dell’Ue gli Stati nazionali fossero “scomparsi” e non fosse stato invece rafforzato il potere degli Stati nazionali imperialisti.
L’Ue non è un super Stato paneuropeo, e non esiste una “cittadinanza” europea. L’Ue si basa sulla sospensione temporanea dei controlli interni sui movimenti di capitale, che serve a facilitare il saccheggio imperialista dei Paesi economicamente più deboli dalla Grecia all’Est Europa. Gli accordi di Schengen non hanno mai significato la libertà di movimento delle persone.
La nostra opposizione all’Ue fa parte integrante della nostra prospettiva marxista rivoluzionaria: il rovesciamento rivoluzionario del capitalismo a scala mondiale per opera della classe operaia, che si tradurrà in un balzo in avanti qualitativo della produttività del lavoro umano e nel superamento delle divisioni di classe nella società. Abbasso l’Unione Europea! Per gli Stati uniti socialisti d’Europa, uniti su base volontaria!
L’ascesa del populismo reazionario
I tradimenti dei riformisti e della burocrazia sindacale hanno contribuito alla crescita delle forze populiste di destra che hanno gioco facile a presentarsi come la voce della rabbia popolare contro l’austerità e le élite finanziarie, incanalandola nell’idea che, al di fuori di una ristretta “casta” di politicanti corrotti e di una manciata di miliardari, il “popolo”, gli “italiani”, hanno interessi in comune.
Il populismo può assumere diversi colori politici: dalle forze populiste di destra come il M5s, fautrici di un revanscismo nazionalista ferocemente anti immigrati, fino al populismo di sinistra di gruppi come Potere al popolo, formazione nata da una costola dell’amministrazione capitalista di Luigi de Magistris a Napoli e fondata in opposizione esplicita a qualsiasi richiamo alla classe operaia.
Ma in tutti i casi il populismo serve a mascherare la divisione fondamentale della società in classi ostili i cui interessi materiali sono inevitabilmente contrapposti, al fine di paralizzare gli operai e difendere gli interessi degli sfruttatori capitalisti. Il populismo è ostile alla mobilitazione indipendente degli operai in quanto classe e alla loro organizzazione nei sindacati.
La divisione fondamentale della società capitalista non è tra il “popolo” e la “casta”, ma tra la classe operaia che per sopravvivere deve vendere la propria forzalavoro e la classe capitalista che possiede i mezzi di produzione: le fabbriche, le miniere, i mezzi di trasporto ecc. Gli operai, con l’arma dello sciopero, hanno la forza di arrestare il flusso dei profitti e sono l’unica classe della società che ha non soltanto la forza sociale, ma l’interesse oggettivo ad espropriare i capitalisti e a riorganizzare la società su basi socialiste internazionali.
Gli strati sociali eterogenei che stanno tra gli operai e i capitalisti (studenti, professionisti, artigiani, negozianti, contadini ecc.) formano la piccola borghesia. Questi strati non possiedono né forza, né coesione sociale e da soli non possono offrire alcuna alternativa al capitalismo. E’ su questi strati, anch’essi duramente colpiti dalle crisi economiche e sociali, che fa leva il populismo borghese. Se la classe operaia, con una direzione e un programma rivoluzionari, mostrasse la determinazione a liberare la società dalle sue crisi economiche e sociali, i settori più oppressi della piccola borghesia, al momento attratti verso il populismo reazionario, graviterebbero invece verso gli operai in lotta.
Pieni diritti di cittadinanza per tutti gli immigrati!
Il Pd e i suoi servitori nella burocrazia sindacale e nella cosiddetta sinistra hanno ipocritamente presentato il nuovo governo come un argine al razzismo della Lega e ai decreti sicurezza di Salvini e Di Maio. La verità è che le politiche anti immigrati di Lega e M5s erano in totale continuità con quelle del Pd e dei precedenti governi di centrosinistra a partire dal governo Prodi che nel 1998, con l’appoggio di Rifondazione comunista, introdusse la legge Turco-Napolitano, capostipite delle attuali leggi razziste, fino ad arrivare al decreto Minniti-Orlando del 2017. Ancora nella campagna elettorale del 2017 il Pd si vantava di aver ridotto del 70 percento gli sbarchi di immigrati:
“va ricordata l’approvazione del decreto migranti a inizio anno, con [sic] ha portato a una stretta sui rimpatri; il 2 febbraio, invece, viene firmato un memorandum con il primo ministro libico Fayez Al-Serraj per il contrasto ai flussi migratori clandestini, i cui punti salienti sono stati il maggiore controllo dei confini libici e il supporto tecnico agli organismi locali che si occupano di contrastare il traffico di esseri umani. Uno dei punti chiave per la riduzione dei flussi è stata inoltre la creazione di centri in Africa dove identificare i migranti.” (democratica.com, 23 dicembre 2017).
Tornato al governo con il M5s, il Pd ha lasciato praticamente intatti i decreti sicurezza e anzi ha introdotto delle misure per accelerare le deportazioni e allargare il numero dei Paesi neocoloniali verso cui gli immigrati possono essere deportati. Da ministro degli Esteri, Di Maio ha cercato di darsi arie ancor più anti immigrati di Salvini, accusandolo che “negli ultimi quattordici mesi è stato tutto fermo sui rimpatri, siamo ancora all’anno zero” e sostenendo che a differenza di Salvini lui “non urla ma fa i fatti”. Presto il governo riaprirà il Cpr di via Corelli a Milano, una delle galere etniche decretate dal governo Gentiloni e ristrutturata sotto quello di Salvini. Il tutto è una ripetizione di quello che è già successo con la legge Bossi-Fini contro gli immigrati, approvata nel 2002 e poi conservata dal governo di Unione/Rifondazione e dai successivi governi del Pd. Il fatto che il Pd a volte parli di “accoglienza” è perché la borghesia è consapevole del fatto che in Italia, specialmente a causa del bassissimo tasso di natalità, ha bisogno di importare centinaia di migliaia di lavoratori ogni anno, che spera di utilizzare per i lavori peggiori, malpagati, senza diritti e sotto la minaccia costante di deportazione qualora non fossero più utili per generare profitti.
Il governo giallo-verde prendeva in ostaggio le navi cariche di immigrati per cercare di ottenere dalla Germania e dalla Francia una riallocazione dei profughi. Quando era all’opposizione, il Pd parlava di “porti aperti” e di “accoglienza”, ma l’obiettivo è lo stesso: controllare saldamente i flussi migratori e disfarsi del maggior numero possibile di immigrati attraverso accordi con la Francia, la Germania e gli altri Paesi dell’Ue. Entrambi i governi cercano di imporre ai Paesi semicoloniali del Nordafrica, in particolare alla Libia, di fare da gendarmi anti immigrati dell’Italia e fomentano le divisioni etniche in seno al proletariato, parlando chi di “invasione” di immigrati chi di “problema immigrazione”.
Le centinaia di migliaia di persone che cercano disperatamente di emigrare verso l’Europa sono un prodotto diretto del giogo imperialista imposto al mondo neocoloniale. Le potenze imperialiste più avanzate hanno sistematicamente saccheggiato interi continenti e devastato Paesi (dall’Afghanistan, al Medio Oriente, all’Africa) con delle guerre sanguinose condotte direttamente o per interposta persona. In questo modo hanno imposto delle condizioni di vita disumane alla stragrande maggioranza degli abitanti del pianeta.
L’imperialismo non è una specifica politica che possa essere resa più umana da governi diversi, ma come ha spiegato il rivoluzionario russo V.I. Lenin è la “fase suprema del capitalismo”.
“L’imperialismo è dunque il capitalismo giunto a quella fase di sviluppo, in cui si è formato il dominio dei monopoli e del capitale finanziario, l’esportazione di capitale ha acquistato grande importanza, è cominciata la ripartizione del mondo tra i trust internazionali, ed è già compiuta la ripartizione dell’intera superficie terrestre tra i più grandi paesi capitalistici” (L’imperialismo, 1916).
Chiedere agli stessi governi capitalisti, che deliberatamente creano queste condizioni a vantaggio dei propri monopoli finanziari, che “aprano i porti” e “accolgano” gli immigrati, serve solo a ingannare le masse, a suscitare l’illusione che gli imperialisti possano adottare una politica “umanitaria”. L’idea stessa che gli imperialisti possano “aprire i confini” rinunciando al controllo miliare sui propri territori, dimostra quanto queste illusioni siano profonde. L’abolizione dei confini tra le nazioni sarà possibile solo dopo che la classe operaia avrà espropriato la borghesia e costruito un’economia collettivizzata e pianificata a scala internazionale.
Sotto il capitalismo non può esistere nessuna politica “progressista” sull’immigrazione e non sta sicuramente ai comunisti diffondere tali menzogne. Quello che è necessario fare è organizzare la forza sociale del proletariato per abbattere il sistema capitalista e portare gli operai al potere. Per aumentare l’unità, la solidarietà e la capacità combattiva della nostra classe, noi facciamo appello al movimento operaio affinché si mobiliti in difesa degli immigrati, contro le deportazioni, le detenzioni nei Cpr e si batta per i pieni diritti di cittadinanza per tutti gli immigrati. Per contrastare il tentativo dei capitalisti di usare gli operai immigrati privi di diritti come strumento contro il movimento operaio, rivendichiamo che gli operai immigrati siano integrati nei sindacati e godano di tutti i diritti e protezioni dei loro compagni di lavoro. Per contrastare le azioni terroriste dei fascisti contro gli immigrati e i rom, facciamo appello a mobilitazioni di massa incentrate sui sindacati e su tutte le vittime potenziali dei fascisti per schiacciarli.
“Tutti tranne Salvini”: il nuovo mantra della collaborazione di classe
Il segretario della Cgil Landini ha lodato il nuovo governo “antifascista e antirazzista”. Rifondazione comunista (Prc) ha sostenuto la formazione del governo Pd/M5s per “mandare Salvini all’opposizione” e poi gli ha dato una specie di appoggio critico, sostenendo che “la nuova maggioranza va incalzata da una sinistra che non sia subalterna e mantenga la propria autonomia”.
Alcuni gruppi che si pretendono marxisti, come il Partito comunista dei lavoratori (Pcl) o Sinistra classe rivoluzione (Scr) e che formalmente sono contro il nuovo governo, basano la loro opposizione sul fatto che questo governo non è abbastanza “di sinistra” per poter contrastare in modo efficace la Lega e rischia di “spianare la strada” ad un ritorno di Salvini al governo. Il capo del Pcl, Marco Ferrando, si è subito unito al coro esprimendo “soddisfazione per la caduta agostana di Matteo Salvini, il ministro più reazionario del dopoguerra” ma mettendo in guardia sulle prospettive di un nuovo governo Pd/M5s, perché:
“La base di consenso su cui il governo poggia è ristretta, a fronte della tenuta del blocco sociale reazionario. (…) Un governo della borghesia liberale, nella situazione di crisi sociale, spiana spesso la strada allo sfondamento reazionario; ciò che è accaduto coi governi di centrosinistra a guida Pd che sono stati un carburante dell’ascesa populista, e dello stesso Salvini. Lasciare a Salvini il monopolio dell’opposizione può dunque allargare il suo spazio di crescita e di rilancio”. (“Il nuovo scenario politico”, 11 settembre 2019, pclavoratori.it)
Come alternativa al governo Pd/M5s, il Pcl propugna “il rilancio di una mobilitazione di massa indipendente [che solo] può consentire al movimento operaio di agire come fattore politico, disgregare il blocco sociale reazionario, ricomporre attorno a sé un blocco sociale alternativo” (“La crisi del governo Conte. Per un’alternativa di classe contro la destra”, 10 agosto 2019, pclavoratori.it).
Presentare la “destra” come espressione di un “blocco sociale reazionario”, qualitativamente differente dal Pd, è una menzogna che serve ad abbellire la natura del Pd e della “sinistra” capitalista come “progressisti”. Parlare di un “blocco sociale alternativo” contrapposto al “blocco sociale reazionario”, non è altro che una ripetizione del classico tradimento riformista che consiste nell’appoggiare una mitologica ala “progressista” degli sfruttatori capitalisti contro la loro ala “reazionaria”. Il risultato della politica del Pcl è solo quello di legare gli strati più coscienti degli operai ai loro sfruttatori, ostacolando la costruzione di un partito operaio rivoluzionario.
L’intera storia del Pcl e dei suoi precursori è consistita in un sordido appoggio elettorale ai governi capitalisti “progressisti”. Nei quindici anni trascorsi all’interno di Rifondazione comunista, i dirigenti del Pcl hanno fatto appello a votare per le coalizioni capitaliste di fronte popolare dell’Ulivo e dell’Unione, esortando gli operai a “partecipare in prima linea alla campagna elettorale del partito e alla lotta cruciale contro la destra”, anche votando i candidati del Partito popolare italiano (i resti della Democrazia cristiana) “in particolari situazioni dove è necessario sconfiggere un candidato fascista o reazionario” (gennaio 1995). Anche dopo aver lasciato la barca che affondava del Prc, il Pcl ha appoggiato l’elezione di candidati capitalisti come Giuliano Pisapia a Milano e Luigi de Magistris a Napoli nel 2011.
Da parte sua, Sinistra classe rivoluzione arriva alla conclusione (“Conte-Bis: I lavoratori non hanno governi amici”, 13 settembre, rivoluzione.red) che “i lavoratori non possono avere, oggi in Italia, dei governi amici” (nostra sottolineatura). Ma basta spostarsi in Gran Bretagna, dove i compagni di Scr nella Tendenza marxista internazionale (Tmi) propugnano la formazione di un governo amico, facendo appello a cacciare i tories di Boris Johnson e votare al loro posto un governo laburista capeggiato da Jeremy Corbyn. Sotto la guida della “sinistra” laburista di Corbyn, il Labour sta facendo da punta di lancia della campagna borghese a difesa dell’Unione Europea, che punta a rovesciare il risultato del referendum della Brexit, tradendo gli interessi della classe operaia.
Solo “ieri” in Grecia, i sostenitori della Tmi hanno appoggiato con entusiasmo la formazione del governo di Syriza, un partito borghese che ha svenduto il Paese alla troika, imponendo al popolo greco le politiche affamatrici dettate dall’Ue e dal Fondo monetario internazionale.
E “domani” in Italia, Scr non mancherà all’occasione di sostenere qualche altro “governo amico” capitalista, come ha fatto in tutta la sua storia con il sostegno elettorale alle coalizioni di fronte popolare dell’Ulivo o dell’Unione e votando direttamente per politicanti capitalisti “progressisti”. La politica di Scr punta all’elezione di un governo “di sinistra” che nazionalizzi i “vertici dell’economia”, mantenendo i corpi di uomini armati (polizia, esercito, tribunali) che difendono il sistema dello sfruttamento capitalista.
L’essenza della democrazia borghese, di cui parlamenti e governi sono istituzioni chiave, consiste nello stabilire di tanto in tanto quali membri della classe dominante debbano opprimere e calpestare i lavoratori e i poveri. La democrazia borghese è una democrazia per i ricchi, una maschera della dittatura del capitale. Noi comunisti sosteniamo che gli operai non devono mai partecipare ad un governo dello Stato capitalista o sostenerlo politicamente, né devono assumere o candidarsi a cariche esecutive dello Stato, come sindaco, presidente e affini. Pur difendendo tutti i diritti democratici strappati sotto il capitalismo, noi spartachisti lottiamo per costruire un partito operaio che sia capace di portare a termine una rivoluzione socialista, l’unico modo per sostituire al parlamentarismo borghese la democrazia operaia sovietica. I soviet, o consigli sono organismi di lavoro degli operai, insieme legislativi ed esecutivi che rappresentano “Un nuovo tipo di Stato, un tipo nuovo e superiore di democrazia, una forma della dittatura del proletariato, il modo di gestire lo Stato senza la borghesia e contro la borghesia (Lenin, “Lettera agli operai nordamericani”, 1918).
Serve un partito operaio rivoluzionario multietnico
La politica delle direzioni sindacali filocapitaliste ha portato solo gigantesche sconfitte. Negli ultimi decenni, lo smantellamento dei servizi sociali, la precarizzazione della forza-lavoro e il continuo abbattimento dei salari e delle condizioni di vita degli operai si sono tradotti direttamente nell’aumento dei profitti per i padroni. Povertà e disoccupazione hanno colpito più duramente gli immigrati, le donne e i giovani, specialmente nelle regioni più povere del Sud, spingendoli sempre più nei confini soffocanti della famiglia. I padroni, ne hanno tratto un ulteriore vantaggio, sfruttando l’esistenza di un serbatoio di lavoratori in miseria per peggiorare le condizioni di tutti e per fomentare divisioni razziste tra lavoratori italiani e immigrati, tra settentrionali e meridionali, tra giovani precari e operai anziani “tutelati”.
Per poter lottare efficacemente per i diritti di tutti i lavoratori, la classe operaia deve schierarsi in difesa dei diritti delle donne, degli immigrati e delle minoranze, di tutti coloro che sono oppressi dalla società capitalista. Per ribaltare il declino del movimento sindacale serve una direzione dei sindacati che si basi sulla lotta di classe e che si batta per sindacalizzare tutti i lavoratori che non sono sindacalizzati; perché tutti facciano orari decenti, con condizioni e salari contrattuali. Bisogna lottare per salari uguali a parità di lavoro e per dei programmi di assunzioni e di formazione sotto controllo sindacale che consentano l’accesso ai posti di lavoro qualificati alle donne, ai giovani e alle minoranze oppresse (rom, immigrati, ecc.)
Gli operai devono contare solo sulle loro forze e sui metodi della lotta di classe per conquistare forti aumenti salariali, il controllo sindacale sulla sicurezza sul lavoro, sulle assunzioni e sui licenziamenti. Una direzione di lotta di classe prenderebbe di petto la questione della disoccupazione e della sotto occupazione croniche, lottando per un sostanziale accorciamento dell’orario lavorativo a parità di salario, in modo da ripartire i posti di lavoro tra tutta la manodopera disponibile. Ad ogni modo, anche solo per soddisfare i bisogni basilari dell’esistenza (un lavoro decente, sanità e istruzione di qualità, gratuite e laiche; case decenti e a prezzi ragionevoli e mezzi di trasporto pubblici), c’è bisogno di uno Stato operaio con un’economia pianificata e collettivizzata volta a soddisfare i bisogni della società e non a riempire i portafogli dei padroni.
Per poter attuare questo compito storico, agli operai serve un partito rivoluzionario, un tribuno del popolo che si basi sugli operai più coscienti e capaci di organizzare il proletariato in difesa di tutte le vittime dell’oppressione capitalista. Il compito più urgente è la costruzione di un partito operaio multietnico che includa tra i suoi militanti e i suoi dirigenti una proporzione decisiva di operai di origine immigrata e di membri delle minoranze oppresse. Un partito di questo tipo sarebbe legato ad una direzione di lotta di classe dei sindacati, forgiata in una lotta inconciliabile al nazionalismo e alla fedeltà allo Stato che contraddistingue il riformismo. Unitevi a noi nella lotta per costruire il partito operaio rivoluzionario che è indispensabile per spazzare via l’intero sistema capitalista in putrefazione, con la rivoluzione socialista internazionale.
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