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Spartaco n. 75

Gennaio 2012

Governo Monti: “unità nazionale” contro le masse lavoratrici

Serve una nuova classe al potere: gli operai!

Lotta di classe contro l’austerità capitalista!

L’articolo che pubblichiamo a seguito è stato scritto agli inizi di ottobre. Nel frattempo, il governo Berlusconi è stato defenestrato dai principali potentati economici italiani e internazionali e sostituito col governo di Mario Monti, agente della grande finanza italiana ed europea fortemente voluto dal Partito democratico e sostenuto in parlamento da una maggioranza di “unità nazionale”. Il governo Monti gode anche dell’appoggio della burocrazia sindacale, che è costretta a fare una parvenza di opposizione alle brutali misure antioperaie del governo (come lo sciopero generale proforma di 3 ore a dicembre) ma che appoggia la fondamentale operazione, che consiste nell'assicurare i capitalisti industriali e finanziari che il debito pubblico dello Stato italiano verrà onorato, se possibile fino all’ultimo euro, facendo pagare gli operai, i lavoratori, le donne e gli immigrati. Se i vari Camusso, Bonanni e soci si fanno sentire è solo per consigliare al governo le vie per evitare un'esplosione sociale. Le accanite battaglie difensive di settori della classe operaia contro gli attacchi dei capitalisti, come le mobilitazioni dei metalmeccanici, degli operai della Fincantieri, dei licenziati della Servirail Wagons Lits o degli operai immigrati dell’Esselunga, per ora sono state mantenute isolate e frammentate da una burocrazia sindacale impegnata a mantenere la pace sociale. Le dure lotte alla Fincantieri sono state continuamente incanalate in appelli illusori ad un intervento a favore dei lavoratori delle istituzioni borghesi e del presidente Napolitano. Gli 800 licenziati della Wagon Lits hanno protestato per mesi senza che fosse organizzata nemmeno un’ora di sciopero nelle ferrovie. La lotta degli operai immigrati dell’Esselunga di Limito (Mi), licenziati per aver aderito al Si Cobas, è stata boicottata dalle burocrazie confederali.

Le misure di austerità del governo hanno scatenato la legittima rabbia di vasti settori della piccola borghesia (taxisti, camionisti e agricoltori in Sicilia), particolarmente colpiti dagli aumenti di prezzi e tasse e dalle “liberalizzazioni”. In queste proteste si è vista una crescente influenza di forze di destra (dalla Lega Nord agli autonomisti siciliani) e persino dei fascisti di Forza nuova. Una mobilitazione di lotta di classe del proletariato contro l’austerità capitalista e l’Unione Europea attirerebbe dalla sua parte vasti settori della piccola borghesia. Invece l’appoggio della burocrazia sindacale e riformista al governo spiana la strada a tutte le forze reazionarie.

La manovra del nuovo governo fa impallidire quelle approvate dal governo Berlusconi, contro cui ci sono state mobilitazioni di massa il 6 settembre e il 15 ottobre, ed è fatta di misure che colpiscono più duramente chi è più povero, come l’aumento dell’Iva, la reintroduzione dell’Ici (per i lavoratori, non certo per il clero), i tagli all’assistenza sanitaria, l’aumento netto di 6 anni e più dell’età pensionabile, ecc. Il governo inizia adesso la fase II, in cui cercherà di puntellare i profitti dei capitalisti stracciando i contratti nazionali, facilitando i licenziamenti e minando altre conquiste operaie. Nel 2012, senza considerare le future manovre che il governo cercherà inevitabilmente di imporre, si prevede la perdita di almeno ottocentomila posti di lavoro e una riduzione netta dei redditi di qualche migliaio di euro a famiglia. Queste misure colpiranno duramente gli strati più oppressi della popolazione: le donne, ricacciate nella famiglia a sostituire i servizi sociali smantellati; gli immigrati, che assieme al posto di lavoro rischiano la deportazione e sono vittime di crescenti violenze razziste; i giovani del Sud, di cui solo il 30 percento circa ha un lavoro.

La stampa borghese ha omaggiato il governo dell’etichetta di “tecnico” per dargli un tono di imparzialità accademica. La verità è che i suoi ministri sono avvoltoi capitalisti, come il ministro Passera (ex amministratore delegato di Banca Intesa) oppure uomini del Vaticano e degli altri potentati finanziari e militari imperialisti (come ad esempio il ministro della Difesa di Paola, ex presidente del Comitato militare della Nato che ha diretto i massacri coloniali in Afghanistan, Libano e Libia). Con la formula del governo “tecnico”, il Partito democratico spera forse di sfuggire alla responsabilità della devastazione delle vite di milioni di lavoratori, che potrebbe pagare in termini elettorali. Ma il Pd, che è un partito capitalista anche se conta sull’appoggio della maggioranza della burocrazia sindacale, ha dimostrato per l’ennesima volta di essere persino più efficace della destra, quando si tratta di affamare la popolazione con misure antioperaie.

Esclusa dalle aule parlamentari, Rifondazione comunista (Prc) si oppone tiepidamente al governo Monti e alla sua “macelleria sociale”. Ma la sua opposizione si muove entro limiti assai stretti, perché tutta l’esistenza del Prc si basa sulla ricerca di un’alleanza con il Partito democratico e i presunti settori progressisti della classe capitalista, che il Prc vorrebbe realizzare in tempo per le prossime tornate elettorali.

Anche i gruppi a sinistra del Prc, come il Partito comunista dei lavoratori (Pcl) non hanno fatto mancare il loro appoggio elettorale al Partito democratico o all’Italia dei valori, un altro partito borghese (alle ultime elezioni il Pcl ha votato Pisapia e De Magistris). Dopo la nomina di Monti, Rifondazione ha richiesto la formazione di un “patto di consultazione” tra le forze che intendevano opporsi al nuovo governo (estendendo l'invito a Sinistra e libertà, all'Italia dei valori e se possibile anche a pezzi del Pd), l'anticamera di una futura alleanza elettorale e governativa. Il giorno dopo il capo del Partito comunista dei lavoratori Marco Ferrando si è precipitato a dichiarare su Liberazione la “adesione incondizionata” del suo partito a questo blocco frontepopulista. Da quando esiste, il Pcl e i suoi precursori non hanno fatto altro che cercare un nido all'ombra del Prc e del suo “centrosinistra”. Per quindici anni hanno fatto parte di questo partito, mentre sosteneva o partecipava a governi antioperai. E da quando ne sono usciti, non fanno altro che invocare “poli di classe”, “parlamenti delle sinistre” con le code del Pd. Un filo conduttore lega l’intero “centrosinistra” italiano: quello della collaborazione di classe che unisce il Pd borghese (pilastro del governo Monti), attraverso Rifondazione che cerca organicamente un’alleanza col Pd, fino al Pcl e soci che invocano alleanze con Rifondazione (e votano i candidati del Pd).

Rifondazione e Pcl fanno parte anche della coalizione “No debito”, che propone una serie di ricette illusorie che dovrebbero lasciare intatto il sistema capitalista (e l'edificio imperialista dell'Unione Europea) evitando però che la crisi ricada del tutto sui lavoratori. Tra queste ricette vi sono una moratoria sul debito pubblico, la nazionalizzazione delle banche in crisi, misure fiscali che ripartiscano il debito, il tutto coronato dalla richiesta di una “rivoluzione per la democrazia”, di quella democrazia capitalista che è sempre stata la migliore maschera della dittatura di una classe ristretta di padroni, che non si tratta di nient’altro che di “parole che servono a nascondere la verità, servono a occultare il fatto che la proprietà dei mezzi di produzione rimane nelle mani degli sfruttatori” (Lenin, “Democrazia e dittatura”, 1918). Anche il Pcl ha sottoscritto l’appello ad una “rivoluzione per la democrazia” (definendola una “rivendicazione avanzata”). Questo dimostra che quando parla di “governo dei lavoratori” il Pcl non intende altro che un governo “delle sinistre” che gestisca un capitalismo veramente “democratico”. Intanto la crisi mette in luce per l’ennesima volta il fatto che i governi, anche nei paesi più “democratici” non sono nient’altro che i comitati d’affari collettivi della classe capitalista.

Dopo la caduta del governo Berlusconi, Rifondazione ha adottato i toni di un nazionalismo becero, organizzando manifestazioni di fronte all'ambasciata tedesca e pubblicando comunicati stampa patriottardi in cui sostiene che il governo Monti rappresenta “il più servile atto di sudditanza al governo tedesco che si sia mai visto dal fascismo ad oggi (…) L’Italia, nel 150° anniversario dell'unità, non meritava di essere trasformata dal governo in un protettorato tedesco” (rifondazione.it, 24 dicembre). Nei periodi di crisi economica acuta (e nelle guerre), i socialsciovinisti (socialisti a parole, sciovinisti nei fatti) come Ferrero e soci, si schierano invariabilmente dalla parte dei propri padroni capitalisti “nazionali”. In un articolo intitolato “L'ordine di Berlino regna in Europa”, trasudante patriottismo, strali contro “la destra prussiana” e appelli alla sovranità nazionale, Ferrero ha intimato a Monti che “la smetta di fare il cameriere della Merkel e dica chiaramente che non restituiamo i capitali alle banche tedesche” (Liberazione, 10 dicembre). Certo Ferrero non intima a Monti di non pagare i debiti (ben più grassi) dello Stato italiano verso Banca Intesa, Unicredit o le centinaia di famiglie capitaliste italiane che mungono da sempre il debito pubblico! E non ha niente da dire sul fatto che i capitalisti italiani e il loro governo imperialista strozzano con i debiti e sfruttano i paesi coloniali del “terzo mondo”. Non per niente, quando Rifondazione faceva parte del governo Prodi, Ferrero era ministro del Welfare, dove si è distinto appoggiando missioni di guerra imperialiste e leggi razziste (il primo “Pacchetto sicurezza” antiromeni). Le messe in scena nazionaliste del Prc servono solo a inculcare negli operai la menzogna che esiste un interesse nazionale comune tra sfruttati e sfruttatori italiani. Da parte nostra, sappiamo che gli operai non hanno nazione e che il compito principale del proletariato italiano è quello di combattere i capitalisti italiani e di unirsi ai suoi fratelli e sorelle di classe tedeschi e immigrati per rovesciare l'intero edificio degli Stati nazionali capitalisti.

Ora che il monopolio dell’opposizione parlamentare è nelle mani della Lega Nord e che anche Rifondazione incoraggia il nazionalismo, assistiamo ad una crescita rapida della reazione razzista. La Lega Nord ha lanciato una violenta campagna razzista contro gli immigrati e la popolazione del Sud, che si è riflessa in una serie di violenze razziste, come i pogrom contro i campi rom a Torino o l'omicidio di due immigrati senegalesi da parte di un fascista di Casa Pound a Firenze. Il movimento operaio deve difendere gli immigrati e i rom dalle violenze razziste, non con appelli futili e suicidi all’intervento della polizia, ma con mobilitazioni e squadre di difesa. Contro la divisione che tende a fare degli immigrati il capro espiatorio della crisi, bisogna battersi per i pieni diritti di cittadinanza per tutti coloro che vivono in questo paese!

Le crisi economiche e le rivalità nazionali possono essere eliminate solo mettendo fine ad un sistema in cui la produzione dei beni necessari alla vita, che avviene a scala internazionale e coinvolge l’intera società, è monopolizzata da una classe ristretta di sfruttatori che punta esclusivamente ai propri profitti privati e che mantiene la società in uno stato di anarchia e di criminale disorganizzazione. La trasformazione socialista dell’economia richiede il rovesciamento del capitalismo con una rivoluzione proletaria e il passaggio del potere a consigli operai, poiché la classe operaia è l’unica forza nella società che ha l’interesse e la capacità di riorganizzare l’economia su basi egualitarie e socialiste.


Milano, 8 ottobre 2011 - A tre anni dallo scoppio di una crisi economica che non ha eguali dai tempi della Grande depressione, ci troviamo alla vigilia di una nuova recessione, che per i lavoratori e gli oppressi di tutto il mondo rischia d'essere ancora più terribile di quella del 2008-2009. La vantata “ripresa” non ha portato né lavoro, né crescita economica: in Italia, negli ultimi tre anni sono stati persi circa 560 mila posti di lavoro e i lavoratori precari sono quasi quattro milioni. Negli Stati Uniti, 45 milioni di persone vivono grazie a buonipasto statali.

Tre anni fa, quando la crisi diventò evidente, i governi capitalisti si sono precipitati a spendere migliaia di miliardi di euro per salvare i truffatori della finanza mondiale, le cui frodi hanno innescato il crollo. Adesso presentano il conto agli operai e agli oppressi con dei piani d'austerità selvaggia, tagli a salari e servizi sociali, aumenti delle tasse e distruzione di molte conquiste sindacali.

In Italia, il governo Berlusconi ha fatto approvare dal parlamento una manovra da 54 miliardi di euro, che sommata alle precedenti supera i 130 miliardi tra aumenti di imposte e tagli alle spese, ed è di gran lunga la più pesante del dopoguerra. L’effetto negli anni sarà drammatico e condannerà interi settori della popolazione alla povertà, ad una gioventù di disoccupazione e precarietà e ad una vecchiaia miserabile. La manovra colpisce i settori più poveri della popolazione con l’incremento dell’Iva e i pesanti tagli agli enti locali che erogano servizi sociali. Colpisce i lavoratori del pubblico impiego con un effettivo blocco del turnover, degli aumenti salariali e col congelamento delle liquidazioni. Colpisce le donne (aumento dell’età della pensione a 65 anni) e gli immigrati, le cui rimesse saranno tassate del due percento. Invece non sfiora nemmeno con un dito (come è ovvio, perché lo Stato non è nient’altro che il loro comitato esecutivo) industriali, banchieri e preti. La Chiesa si è inferocita quando la stampa ha fatto notare le sue gigantesche esenzioni fiscali. Secondo un’inchiesta della rivista il mondo, la piovra vaticana, tra esenzioni e finanziamenti, riceve come minimo 4 miliardi di euro l’anno dallo Stato, possiede il ventidue percento di tutto il patrimonio immobiliare italiano e con le sue banche gestisce direttamente un capitale di 6 miliardi. L’opposizione “di sinistra”, che implora una “tassa patrimoniale” ma striscia davanti alle tonache, evita come la peste persino rivendicazioni democratiche come la separazione di Stato e Chiesa e l’espropriazione del Vaticano.

I capitalisti hanno approfittato della crisi per cercare di smantellare anche le conquiste delle lotte operaie del passato. Dopo che Fiat ed altre aziende hanno rigettato il sistema di contrattazione nazionale, introducendo feroci misure antisindacali, il governo ha approfittato della manovra per minare i contratti nazionali e l’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori. Marchionne e i governanti capitalisti vorrebbero operai senza sindacati, senza diritti, senza pensioni, e con uno stipendio che basta a sopravvivere per produrre profitti e per crescere una nuova generazione di sfruttati che li sostituiscano quando muoiono.

Bisogna lottare a tutti i costi

In tutta Europa, l'austerità è stata accolta con scioperi e proteste anche giganteschi in difesa del livello di vita dei lavoratori. In Grecia il governo ha annunciato ad una popolazione allo stremo l’intenzione di ridurre del 20 percento i dipendenti pubblici (circa 150 mila lavoratori), con 30 mila licenziamenti immediati. I salari sono già stati tagliati del 30 percento in un anno. In Grecia ci sono stati almeno 13 scioperi generali. Le masse operaie hanno dimostrato la loro combattività, ma i loro dirigenti sono finora riusciti a incanalare la rabbia in una politica di pressione sul Parlamento: chiedono ai capitalisti greci di opporsi ai diktat dei loro più potenti partner tedeschi e francesi. Questa collaborazione di classe su base nazionalista è una ricetta per la demoralizzazione e la sconfitta. Gli alleati del proletariato greco non sono gli sfruttatori greci, ma gli altri lavoratori d’Europa e del mondo. Un sollevamento proletario in Grecia potrebbe scatenare ondate di lotta di classe in tutta Europa.

Anche in Italia il proletariato ha dimostrato di voler lottare contro gli effetti della crisi capitalista e la manovra del governo, con lo sciopero del 6 settembre, quando milioni di lavoratori hanno incrociato le braccia. Quando il 3 ottobre a Genova gli operai della Fincantieri hanno occupato la fabbrica e bloccato le strade contro la minaccia di licenziamenti, sono stati salutati col pugno chiuso da ferrovieri e automobilisti.

Ma le lotte sono paralizzate dalle direzioni riformiste, che accettano l'austerità capitalista come se fosse una legge inevitabile di natura e invece di basarsi sulle esigenze della classe operaia, si accontentano di implorare, che “anche i ricchi piangano”, per usare lo slogan di Rifondazione comunista, cioè che i governanti diano almeno una parvenza di “equità” ai sacrifici, che rendano accettabile per i lavoratori un salasso colossale.

Una maggioranza dei capitalisti italiani e internazionali è convinta che il governo Berlusconi sia troppo discreditato e incapace di realizzare le misure richieste dall’Unione Europea e dalle banche. Dal Financial Times, al Vaticano, alla Confindustria, i potenti chiedono a gran voce che Berlusconi faccia il lavoro sporco o se ne vada. E’ convinzione comune che un governo centrato sul Partito democratico (Pd) sarebbe più efficace per bastonare i lavoratori. Da parte sua il Pd ha già detto di condividere tutti i diktat della Bce (taglio delle pensioni, licenziamenti di dipendenti pubblici, austerità finanziaria). Anche la direzione della Cgil non è contraria a minare la contrattazione nazionale (accordo del 28 giugno) ed è favorevole a pesanti misure di austerità purché i sacrifici siano più “equi”. La “cacciata di Berlusconi” è l’obiettivo che lega il Pd alla “sinistra radicale”, da Rifondazione al Partito comunista dei lavoratori (Pcl), con Marco Ferrando che tuona: “Primo compito: via Berlusconi” dal Giornale comunista dei lavoratori (n.4, agosto 2011), preparando il terreno per un futuro governo capitalista “di sinistra”.

Sono stati i governi di centrosinistra, sostenuti anche da Rifondazione comunista a fare da battistrada ai più duri attacchi alle condizioni di vita dei lavoratori, dalla legge razzista Turco-Napolitano (ora il capo dello Stato osannato da tutta la sinistra) che ha creato i centri di detenzione ed espulsione per gli immigrati, al Patto Treu che ha introdotto il precariato, alle leggi anti sciopero, ai tagli alle pensioni e a varie avventure militari imperialiste.

Ma i governanti e i loro luogotenenti nella classe operaia non possono eliminare la lotta di classe che nasce dal conflitto di interessi inconciliabile tra i lavoratori e i propri sfruttatori. Per combattere la disoccupazione di massa è necessario dividere tutto il lavoro esistente, senza riduzioni di salario, tra tutta la manodopera disponibile. Per proteggere i livelli di vita attuali, già in caduta libera, è necessaria una scala mobile dei salari che compensi a pieno l’inflazione. Per smascherare lo sfruttamento, le frodi e i furti dei banchieri e degli industriali la classe operaia deve rivendicare che i capitalisti aprano i loro libri contabili (quelli veri). Mentre gli imperialisti chiedono lo smantellamento delle aziende statali, il proletariato deve battersi per l’espropriazione delle proprietà produttive della classe capitalista nel suo insieme e la realizzazione di un’economia pianificata e governata dalla classe operaia. Un governo operaio in Italia, ripudierebbe immediatamente il debito imperialista. Un tale atto richiederebbe un appello diretto al proletariato degli altri paesi europei: dalla Grecia alla Spagna, dalla Germania alla Francia, a venire a difesa dei loro compagni di classe contro le forze unite delle borghesie europee. O si lotta o si fa la fame! Chi lavora deve governare!

No alla collaborazione di classe

Dopo la sconfitta elettorale che l'ha estromessa dal parlamento, Rifondazione comunista si arrabatta per tornarci e promuove “grandi alleanze democratiche” con il Pd, l'Italia dei Valori, e persino Casini e Fini. Le alleanze (elettorali o di governo), di Rifondazione col Pd e con altri partiti borghesi, sono un tradimento degli interessi della classe operaia e degli oppressi, perché incatenano i lavoratori ai loro sfruttatori, per di più nel momento in cui questi ultimi preparano anni di sanguinosa austerità. Storicamente, queste coalizioni di “fronte popolare” hanno sempre portato la classe operaia alla sconfitta. Noi della Lega trotskista d'Italia ci siamo sempre opposti a qualsiasi sostegno politico e a qualsiasi voto a simili coalizioni di fronte popolare e ai partiti che ne fanno parte.

Al contrario, la maggior parte della sinistra, anche quelli che si autodefiniscono “comunisti” o “trotskisti”, ha appoggiato sistematicamente la politica di collaborazione di classe con la borghesia con la scusa di “battere la destra”.

Oggi il Pcl rivendica la sua ostilità al Pd e condanna Rifondazione per i suoi continui appelli ad un “fronte democratico” con i banchieri e con il Pd. Ma lo scorso maggio, dopo aver elucidato i suoi sostenitori sul fatto che a Milano Pisapia era appoggiato dalle “classi dominanti e i poteri del territorio”, cioè da “soggetti come il banchiere Profumo o Cesare Romiti”, il Pcl ha dato “indicazione di voto per Pisapia e De Magistris nei ballottaggi: l'unico modo, sul terreno elettorale, per concorrere alla sconfitta politica di Berlusconi , del suo governo, e dei suoi candidati reazionari, come chiede la totalità del popolo della sinistra” (“Votare Pisapia e De Magistris, ma senza alcuna illusione”, 26 maggio). La giunta Pisapia non ha tardato a realizzare le sue prime “promesse”: ha nominato assessore al bilancio il democristiano Bruno Tabacci, assieme ad altri due assessori della Curia, ha annunciato privatizzazioni e aumentato del 50 percento il biglietto dei trasporti pubblici.

Non c'è niente di nuovo in tutto questo: per chi credete che abbia votato il Pcl, la sedicente “sinistra che non tradisce” negli ultimi quindici anni, quando era parte integrante di Rifondazione comunista? Per gente come il pretore Sansa a Genova, l'industriale Illy a Trieste, il chierichetto Rutelli a Roma, il democristiano Martinazzoli in Lombardia (e per le alleanze del Prc con Ulivo e Unione). La loro prospettiva politica era e rimane quella di un “governo delle sinistre” basato sul mantenimento del sistema capitalista e dello sfruttamento di classe. Nel corso degli anni l’hanno variamente ribattezzato “polo di classe anticapitalista” o “governo dei lavoratori”, e la sua geometria è mutata ad includere i vari raggruppamenti frontepopulisti a sinistra dei Ds e del Pd. Ma la sostanza rimane quella di un’impossibile riforma dello Stato capitalista a vantaggio dei lavoratori.

Illusioni nella “democrazia” capitalista

Questa prospettiva è condivisa da gran parte della “sinistra” italiana. Il dirigente Fiom Cremaschi ha lanciato un appello a costruire uno “spazio politico” a sinistra del Pd, che rimetta insieme i rottami del vecchio centrosinistra (Pdci, Rifondazione e le sue code) per fare da contrappeso al Pd. Il nuovo “spazio politico”, sostenuto con entusiasmo da Pcl, Falcemartello, Sinistra Critica e molti altri, si basa su di un appello intitolato “Dobbiamo fermarli! Noi il debito non lo paghiamo! 5 proposte per un fronte comune contro il governo unico delle banche”. Questo appello si limita a denunciare la “speculazione finanziaria e il potere bancario”, i privilegi della “casta” dei politici e della “malavita”, cioè quelle che i riformisti considerano le “storture” del capitalismo, ma non menziona neppure una volta parole come socialismo, comunismo o capitalismo (per non parlare della necessità di rovesciarlo). Per i riformisti correggere queste “storture” del capitalismo sarebbe sufficiente per uscire dalla crisi. Ma le crisi economiche e le truffe finanziarie sono intrinseche al normale funzionamento dell'economia capitalista, non una patologia provocata dagli speculatori o dalla destra neoliberista.

Il Pcl si vanta che finalmente tutti i riformisti hanno abbracciato la sua rivendicazione della “nazionalizzazione delle banche”. Nei periodi di crisi la “nazionalizzazione delle banche” non è in nessun modo una misura anticapitalista, ma uno dei possibili strumenti per salvare l’intero sistema dal fallimento. Non a caso, tre anni fa il governo americano ha praticamente nazionalizzato alcune delle principali finanziarie coinvolte nella crisi e quello islandese gran parte del sistema bancario.

L’altra ricetta “anticrisi” proposta dall’appello è una “vera e propria moratoria”, cioé una sospensione temporanea del pagamento degli interessi del debito pubblico. Un governo rivoluzionario, basato su organismi di potere proletario, rigetterebbe immediatamente tutti i debiti imperialisti. Ma mantenendo il dominio della borghesia, che questi riformisti non mettono in discussione, il ripudio del debito pubblico si risolve in una “bancarotta controllata” del tipo di ciò che è successo in Islanda. Sinistra critica, in un articolo intitolato “Non paghiamo noi il loro debito” (6 ottobre), oltre a indicare a modello proprio l’Islanda, spiega che per loro si tratta semplicemente di “formare una Commissione indipendente che analizzi il debito, la sua composizione e quale parte è legittima e quale no” e si preoccupi di “come evitare la fuga di risorse, cioè di non scivolare nella cosiddetta inaffidabilità” verso i mercati finanziari!

Impossibilitato a salvare le banche, il governo islandese ha sospeso il pagamento del debito estero e ha svalutato la Corona del 80 percento. Dopo la svalutazione, la borghesia islandese ha ripreso ad esportare, ma il suo “miracolo” è avvenuto sulla pelle dei lavoratori, con un crollo del Pil, un calo del 18 percento del reddito disponibile e una disoccupazione salita dall’1 al 10 percento.

Ma la rivendicazione culminante dell’appello “Dobbiamo fermarli”, consiste in: “Una rivoluzione per la democrazia. Bisogna partire dalla lotta a fondo alla corruzione e a tutti i privilegi di casta, per riconquistare il diritto a decidere e a partecipare affermando ed estendendo i diritti garantiti dalla Costituzione. (...) Si dovrà tornare a un sistema democratico proporzionale per l’elezione delle rappresentanze con la riduzione del numero dei parlamentari.”

Il diritto fondamentale che la Costituzione italiana garantisce è il diritto alla proprietà privata capitalista, il diritto da parte di un pugno di proprietari a sfruttare e reprimere il proletariato, con tutte le forme di oppressione che questo comporta. Le ricette riformiste contro la crisi consistono tutte in implorazioni allo Stato capitalista a tassare i ricchi, contrastare l’evasione fiscale o combattere la corruzione. L’unico risultato è quello di rafforzare le illusioni in quello che Marx chiamava il “comitato esecutivo centrale” dei capitalisti.

I marxisti, al contrario, hanno sempre lottato per convincere gli operai che sotto il capitalismo, la più perfetta democrazia non è che la più perfetta maschera della schiavitù salariata. Come scrisse il rivoluzionario russo V.I. Lenin:

“Parlare di democrazia pura, di democrazia in generale, di uguaglianza, libertà, universalità, mentre gli operai e tutti i lavoratori vengono affamati, spogliati, condotti alla rovina e all’esaurimento non solo dalla schiavitù salariata, capitalistica, ma anche da quattro anni di una guerra di rapina, mentre i capitalisti e gli speculatori continuano a detenere la ‘proprietà’ estorta e l’apparato ‘già pronto’ del potere statale, significa prendersi gioco dei lavoratori e degli sfruttati. Suyhbignifica rompere bruscamente con le verità fondamentali del marxismo (…). Ma i marxisti, i comunisti, la denunciano e rivelano agli operai e alle masse lavoratrici la pura e semplice verità: di fatto, la repubblica democratica, l’Assemblea costituente, il suffragio universale, ecc. sono la dittatura della borghesia, e per emancipare il lavoro dall’oppressione del capitale non c’è altra via che la sostituzione di questa dittatura con la dittatura del proletariato. Solo la dittatura del proletariato può emancipare l’umanità dall’oppressione del capitale, dalla menzogna, dalla falsità, dall’ipocrisia della democrazia borghese, che è la democrazia per i ricchi, e instaurare la democrazia per i poveri. (Lenin, “‘Democrazia’ e dittatura”, dicembre 1918).

In mezzo a milioni di disoccupati, le grandi aziende e le banche sono sedute su montagne di denaro. Ma non si riuscirà a mettere le mani su questo denaro facendo appello alle autorità fiscali dello Stato capitalista, il cui scopo è quello di garantire e difendere gli interessi della borghesia. Per “far pagare i ricchi”, la classe operaia deve distruggere il dominio della borghesia e instaurare il suo potere di classe, un potere basato non sul parlamento borghese ma su organismi di potere operaio, come i consigli di fabbrica o i soviet.

Abbasso l’Unione Europea imperialista! Per gli Stati Uniti socialisti d’Europa!

Nell'ultimo anno in Europa si sono susseguite delle crisi dei debiti statali che hanno portato intere nazioni sull'orlo della bancarotta. Al “piano di salvataggio” della Grecia (un enorme trasferimento di denaro dai lavoratori greci e degli altri paesi d’Europa, nelle tasche dei banchieri francesi, tedeschi, italiani ecc.), sono seguite misure simili per il Portogallo e l’Irlanda. Ma nessun piano di salvataggio ha sinora arginato la crisi dell'eurozona: la Grecia è di fatto già in bancarotta mentre il contagio si è allargato alla Spagna e all'Italia, minacciando l’intera impalcatura dell’Ue.

L’Ue è un consorzio capitalista instabile, concepito per rafforzare le borghesie europee (e tra queste soprattutto le più potenti, quella tedesca e quella francese), nella lotta con i loro rivali imperialisti negli Usa e nel Giappone. Un consorzio reazionario rivolto interamente contro le classi operaie d’Europa e gli immigrati.

Al centro delle contraddizioni dell'Unione Europea è il fatto che il mantenimento di una moneta comune richiede un potere statale comune. Questo è semplicemente impossibile sotto il capitalismo, che si basa su Stati nazionali dominati da classi capitaliste rivali. La Lega comunista internazionale ha da tempo smentito le illusioni secondo cui l'Unione Europea avrebbe potuto creare le condizioni per un pacifico sviluppo di un'unica entità statale europea sotto il capitalismo. In una dichiarazione sul Trattato di Maastricht, che pose le basi per l'euro, abbiamo scritto:

“Dal momento che il capitalismo è organizzato sulla base di Stati nazionali particolari, e proprio questa è la causa delle ripetute guerre imperialiste per ridividere il mondo, è impossibile tenere insieme uno Stato borghese paneuropeo stabile. Un ‘super Stato’ imperialista europeo può essere realizzato con i metodi di Adolf Hitler, non con quelli di Jacques Delors, l'architetto socialdemocratico francese di Maastricht”. (“Per un'Europa operaia! Per la rivoluzione socialista!” Spartaco n. 51, ottobre 1997)

Come proletari rivoluzionari internazionalisti, ci siamo sempre opposti alla Ue come un blocco commerciale imperialista, a differenza delle organizzazioni socialdemocratiche che hanno appoggiato l'Unione Europea, chiedendone il rafforzamento economico e militare contro gli Stati Uniti. Rifondazione comunista è stata tra i principali fautori dell'Unione Europea e all'epoca del primo governo Prodi appoggiò l’eurotassa, destinata a pagare il prezzo dell'ingresso nell'euro.

La risposta marxista non sta nell'appoggio al manicomio imperialista dell'Ue, né nel protezionismo sciovinista nazionale, ma nella prospettiva internazionalista proletaria della costruzione di Stati Uniti socialisti d'Europa, basati sul rovesciamento del capitalismo e il potere del proletariato. L'unificazione delle industrie d'Europa (e non solo) e delle loro tecnologie, su di una base collettivizzata e pianificata al di là delle frontiere nazionali, è una necessità ineluttabile e vitale per l'ulteriore sviluppo della civiltà umana, perché metterebbe fine al caos, all'anarchia, alle guerre commerciali e alle crisi dell'attuale manicomio capitalista che è diventato questo continente. La condizione affinché ciò avvenga è il rovesciamento delle classi dominanti capitaliste e l'instaurazione del potere statale proletario nei principali paesi del continente.

L’attuale crisi economica nei paesi capitalisti contrasta fortemente con la situazione in Cina, dove le industrie centrali alla produzione sono collettivizzate. Nel momento in cui i governi americani ed europei salvavano i capitalisti finanziari facendo pagare i lavoratori, Pechino ha massicciamente incanalato investimenti nello sviluppo di infrastrutture e capacità produttiva. Di fronte a un numero crescente di scioperi e proteste, il regime ha aumentato il reddito di lavoratori e contadini. Tuttavia, il regime stalinista della Cina mina le conquiste sociali della Rivoluzione del 1949 conciliando con l'imperialismo e promuovendo “riforme di mercato” che rafforzano le forze controrivoluzionarie interne. Nella sua “partnership” con il capitale mondiale, la burocrazia di Pechino sovvenziona l'imperialismo americano attraverso i suoi enormi investimenti in buoni del tesoro Usa, che, tra l'altro, sono utilizzati per finanziare l'occupazione dell'Iraq e dell'Afghanistan. Come trotskisti, siamo per la difesa militare incondizionata dello stato operaio deformato cinese contro l'imperialismo e la controrivoluzione interna. Allo stesso tempo, sappiamo che la difesa e l'estensione internazionale delle conquiste rimanenti della Rivoluzione cinese del 1949 richiedono una rivoluzione politica proletaria che sostituisca i burocrati stalinisti con una direzione rivoluzionaria internazionalista e un regime di democrazia operaia.

Il protezionismo, un veleno mortale per gli operai

Il governo ha moltiplicato le misure razziste per presentare i lavoratori immigrati come i responsabili della disoccupazione o dei tagli all’assistenza sociale. A questi tentativi di dividere ed indebolire la classe operaia bisogna rispondere lottando per i pieni diritti di cittadinanza per tutti quelli che vivono in questo paese, che abbiano o non abbiano un lavoro. Inoltre, il movimento operaio deve lottare per ottenere uguale salario a uguale lavoro; per la sindacalizzazione di tutti i lavoratori immigrati; per opporsi al diluvio di misure razziste che colpiscono gli immigrati in ogni aspetto della vita.

Tutte le crisi sono accompagnate da ondate di nazionalismo, sciovinismo e razzismo con cui i capitalisti cercano di suscitare un clima di “unità nazionale” necessario a far ingoiare i sacrifici agli operai. In Italia, il principale spacciatore di retorica nazionalista non è tanto il governo (che include i razzisti secessionisti della Lega Nord), ma il Pd e il suo Presidente della Repubblica, tra sventolio di tricolori e inni nazionali.

Allo sciovinismo nazionalista si uniscono anche i burocrati sindacali e i partiti riformisti che propongono il fronte comune con i capitalisti per la difesa della competitività e dei profitti delle aziende nazionali. Così ad esempio, il segretario del Prc Ferrero, ha attaccato il governo di destra accusandolo di non essere abbastanza patriottico:

“Il nodo vero è che questa manovra è devastante per l’Italia ma molto utile per la Germania che ha interesse ad avere nell’Italia una fornitrice di semilavorati di qualità a basso costo per le sue industrie. Evidentemente l’asse Tremonti – Bossi a questo ci sta portando: a diventare una enclave cinese della Baviera. Andrebbero processati per tradimento”. (Ufficio stampa Prc-SE, 11 agosto 2011)

Il protezionismo è un veleno mortale per la classe operaia, spingendo i lavoratori a rivendicare che siano protetti i capitalisti che li sfruttano, spinge all'unione tra il proletariato e la borghesia, contro i suoi rivali capitalisti e contro gli operai nei paesi stranieri. E’ l'esatto contrario della lotta di classe contro la propria borghesia e dell'unità internazionale dei lavoratori, iscritta 150 anni fa nelle parole del Manifesto del partito comunista: “Operai di tutto il mondo, unitevi”!

Il nazionalismo è intrinseco al sistema capitalista, che agisce scagliando una classe capitalista nazionale contro un'altra, creando costantemente nuove ineguaglianze e nuove crisi. D'altro canto, il carattere internazionale della classe operaia gli da potenzialmente un'enorme superiorità sulla borghesia, a patto che classe operaia coordini le lotte dei lavoratori dei vari paesi al di sopra dei confini nazionali. E' proprio questo che i burocrati sindacali rifiutano di fare, perché sono fedeli al sistema capitalista basato sullo sfruttamento di classe. Al contrario, una strategia basata sulla lotta di classe vuol dire mobilitare la forza sociale dei sindacati nella lotta per soddisfare i bisogni immediati delle masse lavoratrici, indipendentemente dagli interessi della borghesia nazionale e contro questi interessi.

Per un’economia socialista pianificata

Al neoliberismo del Pd, Rifondazione e soci non hanno altro da contrapporre che il mito borghese del keynesismo, dell'intervento della “mano pubblica” per salvare il capitalismo dalle crisi da lui stesso provocate, stimolando le imprese capitaliste con forti investimenti finanziati dal debito pubblico e dalle tasse sui lavoratori. Il mito liberale secondo cui le dottrine di Keynes abbiano fatto uscire il mondo dalla Grande depressione degli anni Trenta sono molto radicate, ma la politica di lavori pubblici introdotta dal New Deal di Roosevelt non poté risollevare affatto gli Stati Uniti dalla crisi in cui precipitarono di nuovo dopo pochi anni. In realtà, ciò che ha fatto uscire il mondo occidentale dalla depressione è stata l'espansione delle “opere pubbliche” durante la Seconda guerra mondiale, dove per opere pubbliche si intendevano: navi da guerra, carri armati, bombe.

I cicli economici di espansionecrisi sono prodotti diretti del sistema capitalistico fondato sulla produzione per il profitto. I capitalisti investono nell’espansione della capacità produttiva con il presupposto che l’incremento di beni prodotti (auto, case, ecc.) possa essere venduto almeno al saggio attuale di profitto. Tuttavia, durante i periodi di espansione il saggio medio del profitto tende a cadere. Questa situazione porta in ultima analisi a crisi di sovrapproduzione, poiché i capitalisti producono più beni e servizi di quelli che possono essere venduti ad un saggio di profitto soddisfacente. Così si ripete lo spettacolo di masse di lavoratori che perdono il lavoro e sono gettati nella miseria perché si è prodotto troppo. Come descritto da Marx ed Engels nel Manifesto:

“La società si trova improvvisamente ricacciata in uno stato di momentanea barbarie; una carestia, una guerra generale di sterminio sembrano averle tolto tutti i mezzi di sussistenza; l'industria, il commercio sembrano annientati, e perché? Perché la società possiede troppa civiltà, troppi mezzi di sussistenza, troppa industria, troppo commercio. (…) Con quale mezzo riesce la borghesia a superare le crisi? Per un verso, distruggendo forzatamente una grande quantità di forze produttive; per un altro verso, conquistando nuovi mercati e sfruttando più intensamente i mercati già esistenti. Con quale mezzo dunque? Preparando crisi più estese e più violente e riducendo i mezzi per prevenire le crisi”.

Quale è allora la risposta che alla crisi deve dare la classe operaia? La risposta è una sola, semplice e radicale. La classe operaia deve sottrarre ai capitalisti le risorse produttive della società: fabbriche, sistemi di trasporto, generazione di energia e costruire una società che usi queste risorse non più come strumento di produzione di profitti per i capitalisti individuali, ma come leva per soddisfare tutte le esigenze materiali e culturali delle masse lavoratrici e per determinare un superiore livello di sviluppo economico e sociale. Serve un'economia collettivizzata e pianificata democraticamente a scala internazionale, al di sopra delle asfittiche barriere degli Stati nazionali imposte dalla borghesia.

Molti considerano utopica questa prospettiva, in questo periodo di demoralizzazione politica. Dopo la distruzione dell’Unione Sovietica la borghesia e i suoi propagandisti socialdemocratici hanno sommerso per decenni i lavoratori di menzogne sulla cosiddetta morte del comunismo. Ma è l'unica via d'uscita da questo sistema sociale completamente marcio. La collettivizzazione dei mezzi di produzione in Unione Sovietica funzionava, nonostante il suo isolamento, circondata com'era dagli imperialisti, e nonostante il fatto che si ritrovò rapidamente sotto il tallone di una burocrazia nazionalista traditrice. La burocrazia stalinista aveva strappato dalle mani degli operai il potere politico e il diritto di discutere attivamente il destino della società. Ha tradito le lotte operaie nel mondo cercando di rappacificarsi con l'imperialismo mondiale. Tutti questi crimini minarono dall'interno l'Urss, spianando alla fine la strada alla distruzione dell'Unione Sovietica.

A differenza del passato oggi non ci sono più militanti comunisti dichiarati che abbiano una base significativa nei sindacati. Ma è inevitabile che vi sia una radicalizzazione delle lotte e che emergano nuovi dirigenti altrettanto combattivi di quelli di un tempo. Nuove battaglie getteranno le basi per rilanciare ed estendere i sindacati, con una nuova direzione di lotta di classe che salirà alla ribalta. Ma la militanza da sola non basta. I lavoratori, per prevalere contro i loro sfruttatori, devono essere armati con un programma politico marxista che leghi le lotte dei lavoratori alla lotta per costruire un partito operaio multirazziale che la faccia finita con tutto questo sistema di schiavitù salariata attraverso la rivoluzione socialista. A questo obiettivo lavoriamo noi della Lega trotskista d'Italia/Lega comunista internazionale.

 

Spartaco N. 75

Spartaco 75

Gennaio 2012

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