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Spartaco n. 67

Marzo 2006

L’Unione/Rifondazione verso un governo di “lacrime e sangue”

Elezioni 2006
Nessuna alternativa per i lavoratori

Nessun voto a Unione e Rifondazione!

Il quinquennio buio di Berlusconi, Fini e Bossi sembra volgere al termine. Il desiderio di sbatterli fuori dai palazzi del potere è pienamente comprensibile. E’ questo, più che la fiducia in Prodi e nei suoi alleati, a spingere moltissimi lavoratori e giovani a votare la coalizione capitalista dell’Unione: l’idea che pur essendo capeggiato da un rottame democristiano, un ex banchiere amico del Vaticano, che ha realizzato in passato finanziarie di lacrime e sangue, spedizioni imperialiste, precarietà e leggi razziste, il centrosinistra sia comunque un “male minore”.

Ma qualsiasi appoggio politico ed elettorale all’Unione e Rifondazione si contrappone alla lotta per difendere gli interessi dei lavoratori. Non può esserci nessuna unità politica tra gli operai e i partiti dei loro sfruttatori. Per poter difendere i loro interessi immediati e lottare contro l’intero sistema dello sfruttamento, del razzismo e della guerra imperialista, gli operai possono contare solo sulla loro forza, sulla loro organizzazione e sulla loro coscienza. Possono fare affidamento solo sulla lotta di classe e non sulla collaborazione di classe con i capitalisti. Per farlo devono rendersi completamente indipendenti da tutti i partiti della classe dominante, sia che si presentino nei panni dei falchi di destra che in quelli delle colombe dell’Unione. Un voto alla coalizione di Prodi, comunque lo si giustifichi, è un voto di fiducia ad una coalizione capitalista che dichiara apertamente di difendere gli interessi della classe dominante, tanto nel suo programma quanto nella sua composizione sociale (un fronte popolare che include rappresentanti diretti della classe capitalista e partiti socialdemocratici). Da un lato servirebbe a subordinare direttamente le organizzazioni operaie, specialmente i sindacati, agli interessi degli alleati borghesi. Dall’altro consentirebbe ai partiti socialdemocratici cui fanno riferimento i lavoratori di giustificare ogni tradimento con la scusa di dover mantenere la coalizione per cacciare la destra.

Nonostante le loro differenziazioni, quasi tutte le organizzazioni della sinistra riformista appoggiano questa politica di collaborazione di classe. Dalle correnti “critiche” di Rifondazione, come Falcemartello o Progetto comunista che definisce il centrosinistra “un’Unione di banchieri”, ma ne appoggiano col voto l’ascesa al governo, fino ai “disobbedienti” i cui leader si sono uniti armi e bagagli a Rifondazione e all’Unione. Un copione dove non mancano scontri furibondi e colpi di scena, ma in cui tutti restano in definitiva all’ombra di Prodi e dei diktat dei capitalisti che comandano la coalizione del centrosinistra.

Qualunque sia l’esito delle elezioni del prossimo aprile, ci troveremo di fronte ad un governo capitalista che sarà nemico dei lavoratori, delle donne e degli immigrati e che gestirà gli interessi della classe dominante, tanto all’interno quanto a scala internazionale. Come trotskisti ci opponiamo per principio a dare qualsiasi sostegno politico all’Unione e a votare i partiti che ne fanno parte o che l’appoggiano, inclusa Rifondazione comunista che è uno dei suoi pilastri essenziali.

L’unica alternativa a questa politica di asservimento dei lavoratori ai capitalisti attraverso i partiti socialdemocratici passa per la costruzione di un partito operaio rivoluzionario, un partito che si basi sull’indipendenza di classe degli operai, che ne mobiliti la forza sociale nella lotta di classe alla testa di tutti gli strati oppressi della società, donne, immigrati, minoranze, nella prospettiva di una rivoluzione socialista. E’ con una battaglia politica contro le attuali direzioni traditrici del movimento operaio, una battaglia per riconquistare le giovani generazioni alle idee del marxismo e alla causa della lotta rivoluzionaria che si aprirà la strada ad una nuova ascesa della lotta proletaria per rovesciare il capitalismo. E’ per questo che ci battiamo noi della Lega trotskista d’Italia.

Unione/Rifondazione: nessuna alternativa per i lavoratori

Sia il centrodestra che l’Unione/Rifondazione cercano di difendere e amministrare il sistema capitalista, anche se con metodi diversi. La distruzione controrivoluzionaria dell’Unione Sovietica e la fine della Guerra fredda hanno consentito ai capitalisti italiani di liberarsi del vecchio, costoso sistema di potere centrato sulla Democrazia cristiana e sull’esclusione del Pci dal governo in un ruolo di opposizione leale. Al suo posto si sono sforzati di creare un meccanismo di alternanza borghese in cui governi di destra siano sostituiti una volta logorati da governi di “sinistra”, che ricorrano alla “concertazione” con i burocrati sindacali. Questo meccanismo ha consentito di minare molte conquiste operaie, a partire dalla svendita della scala mobile con gli “accordi di luglio” del 1993, fino alle privatizzazioni massicce, ai tagli di pensioni e sanità e all’introduzione di una flessibilità selvaggia negli anni Novanta. Ma si è scontrato continuamente con la resistenza della classe lavoratrice, che ha impedito di smantellare del tutto lo “Stato sociale” e di svuotare i sindacati della loro forza.

Il governo Berlusconi ha bastonato i lavoratori e introdotto una miriade di leggi reazionarie instaurando un clima sociale in cui sono stati presi di mira diritti e conquiste strappate nelle dure lotte del dopoguerra. Ma la sua politica non è stata solo il prodotto di un delirio reazionario o degli interessi privati del primo ministro. Guerra, razzismo e repressione sono parte integrante del sistema capitalista in cui viviamo, un sistema basato sullo sfruttamento e sull’oppressione.

Pur raccogliendo la rabbia e il disgusto diffusi tra i lavoratori, l’Unione non è affatto un’alternativa allo sfruttamento, al razzismo e all’imperialismo. Al contrario, settori chiave della classe dominante sperano che l’Unione, grazie ai legami di Ds e Prc con la burocrazia sindacale, riesca ad introdurre la ristrutturazione radicale di cui hanno bisogno per competere sullo scenario imperialista, a partire da una drastica riduzione del costo del lavoro. I dirigenti della Cgil hanno preparato il terreno, adottando con una maggioranza schiacciante (l’opposizione centrata sulla Fiom si è limitata a presentare due emendamenti) una linea di “concertazione” col futuro governo Prodi: la stessa “concertazione” grazie alla quale è stata smantellata la scala mobile e sono stati erosi i salari.

A differenza dei precedenti governi dell’Ulivo, un eventuale governo dell’Unione includerebbe direttamente Rifondazione, che in questo modo (oltre a portare voti decisivi) dovrebbe prendersi la responsabilità diretta della politica del governo, rendendo più difficile una replica del “ribaltone” parlamentare del 1998. Grazie all’autorità di Rifondazione sullo strato più combattivo degli operai della Cgil e dei Cobas, sperano di imbrigliare le lotte operaie per qualche anno. Non a caso l’agenzia Moody’s, consulente dei principali potentati imperialisti del mondo, ha recentemente dichiarato che “Un’eventuale vittoria nelle elezioni del prossimo aprile da parte della coalizione di centrosinistra guidata da Romano Prodi potrebbe portare all’Italia le riforme strutturali di cui il Paese ha bisogno (…). Il nuovo governo affronterà il difficile compito di presentare riforme strutturali per incrementare la competitività e raggiungere un consolidamento fiscale (…). Ma gli osservatori sono generalmente d’accordo sul fatto che i cambiamenti siano più probabili sotto un governo di centrosinistra a causa della esperienza presso la Commissione Europea e come primo ministro quando l’Italia si stava preparando ad entrare nella zona dell’euro di Romano Prodi” (www.agenews.it).

L’Unione fa… la forca

Non serve possedere una sfera di cristallo o essere trotskisti per sapere cosa farà un governo di Unione e Rifondazione. Basta non nascondere la verità, che è già sotto gli occhi di tutti. A Bologna, la giunta comunale (che include Prc e Ds) capeggiata dall’ex segretario della Cgil Cofferati, ha lanciato una violenta campagna contro gli immigrati, i rom, i lavavetri, i giovani dei centri sociali. Fedele al suo ruolo di gestore locale degli interessi dei capitalisti, Cofferati ha chiuso e privatizzato asili nido e servizi, provocando una dura mobilitazione dei sindacati dei trasporti, del pubblico impiego e persino delle badanti che sono scese in piazza con pappagalli e padelle. Le proteste organizzate dai giovani dei centri sociali e dagli studenti sono state accolte a suon di manganellate dalla polizia schierata a difesa della giunta “legalitaria” dell’Unione. Cose del genere sono all’ordine del giorno in tante città e comuni governati da giunte di “sinistra”. L’anno scorso la giunta Prc/Ds/Margherita di Sassuolo (Mo) ha mandato centinaia di poliziotti a sgomberare alcune decine di famiglie di lavoratori immigrati (vedi Spartaco n.66, settembre 2005). Lo sgombero ha sicuramente incoraggiato i poliziotti razzisti che a Sassuolo hanno massacrato di botte un immigrato marocchino, tra gli applausi di Lega Nord e soci.

A Milano, l’Unione e il Prc candidano a sindaco l’ex prefetto Bruno Ferrante, che per anni ha svolto il ruolo di sbirro modello del governo Berlusconi. Ha precettato in massa i tranvieri dell’Atm quando hanno “osato” lottare per ottenere il rispetto di un contratto da fame sfidando le leggi antisciopero del governo d’Alema e ha fatto sgomberare manu militari i rom di Via Adda a Milano. “Quando un sbirro diventa sindaco, si chiama Podestà”: un vecchio adagio che fa da sinistro preludio alla politica “legalitaria” dell’Unione.

Il tono dei partiti dell’Unione sulle questioni sociali è certamente diverso da quello dei proclami razzisti della Lega Nord o degli insulti a donne e gay del repubblichino sopravvissuto Tremaglia. E’ anche possibile che un governo dell’Unione mitighi o rovesci parzialmente alcune delle misure più brutali del precedente governo o introduca qualche riforma di facciata. Ma Prodi ha già chiarito che mira a mantenere e “non a cancellare con un colpo di bacchetta magica tutte le pessime leggi varate dalla coalizione di centrodestra (legge 30, legge Moratti, legge Bossi-Fini), ma a procedere a sostituzioni, a trasformazioni” (l’Unità online, 3 marzo).

Tra le prime vittime di questa politica ci saranno proprio i lavoratori immigrati. Pur versando lacrime “umanitarie” sulla sorte degli immigrati, la politica di Unione/Prc consiste nel mantenere il controllo dello Stato capitalista sul serbatoio di manodopera immigrata, più ricattabile, doppiamente sfruttata e priva di diritti di cittadinanza. L’esempio più chiaro è quello dei Cpt. Istituiti dalla legge Turco-Napolitano dell’Ulivo e di Rifondazione, i Cpt sono stati il principale bersaglio delle mobilitazioni antirazziste degli ultimi anni e persino settori della borghesia e dello Stato li ritengono inutili e imbarazzanti. Invece il programma dell’Unione si limita a ventilarne “il superamento”, chiedendo comunque l’introduzione di altri “strumenti efficaci per assicurare l’identificazione degli immigrati e il rimpatrio di quanti vengono legittimamente espulsi”. La realtà della vita per gli immigrati non sarà tanto diversa sotto i governi del centrosinistra o della destra, che riservano loro terrore razzista, povertà, e deportazioni. Pieni diritti di cittadinanza per tutti gli immigrati!

In tutt’Europa le classi capitaliste cercano di fare a pezzi lo “Stato sociale”, di minare il potere dei sindacati e di ridurre il costo del lavoro per competere con i loro rivali imperialisti, Stati Uniti e Giappone. Ma devono fare i conti con una forte resistenza operaia. Di recente, grazie ad un massiccio sciopero dei portuali e a manifestazioni (violentemente represse) l’Unione Europea ha dovuto rimangiarsi il “Pacchetto portuale”, un insieme di misure volte a scardinare il sistema dei contratti sindacali nei porti, che consentirebbe di far lavorare operai assunti con contratti di paesi più poveri a salari da fame. Al contrario, la Direttiva Bolkestein è stata approvata (seppure in forma edulcorata) col voto delle socialdemocrazie europee, Ds compresi. La Direttiva Bolkestein è un parto della Commissione europea capeggiata da Prodi. Una delle credenziali più importanti di Prodi agli occhi dei capitalisti è il suo ruolo nel rafforzamento dell’instabile e reazionario conglomerato capitalista dell’Unione Europea.

Come comunisti rivoluzionari noi ci opponiamo per principio a sostenere qualsiasi coalizione tra gli imperialisti. Il tentativo delle potenze imperialiste europee di costruire un’alleanza che li metta in condizione di meglio competere con i loro rivali imperialisti americani e giapponesi può essere realizzato solo calpestando la classe operaia multietnica d’Europa e i popoli oppressi del mondo semicoloniale.

L’Unione e Rifondazione si presentano come difensori dell’imperialismo italiano in veste “umanitaria” e rivendicano “per il nostro paese una collocazione strategica che lo veda saldamente inserito in Europa, come protagonista delle politiche di integrazione europea, nonché come alleato leale degli Stati Uniti” e rivendicano: “il progetto di difesa europea è essenziale per un’efficace politica di sicurezza nazionale ed un affidabile disegno internazionale” (Programma di governo dell’Unione).

E’ probabile che il prossimo governo dell’Unione ritiri le truppe dall’Iraq (anche se ha già chiarito che ciò avverrà solo “in consultazione con le autorità irachene”, cioè il governo fantoccio degli imperialisti Usa e britannici) magari solo per sostituirle con un dispositivo differente, come le cosiddette “forze di pace” dell’Onu. Ma l’imperialismo non è una politica che possa cambiare cambiando governo, è la natura stessa del mondo moderno, in cui un pugno di nazioni più sviluppate e potenti rivaleggia per il dominio del mondo semicoloniale, dei suoi mercati e delle sue risorse. Il movimento operaio deve opporsi a tutte le avventure imperialiste della propria borghesia e al militarismo borghese, rivolto contro gli operai e i popoli coloniali. Dall’Albania ai Balcani e all’Afghanistan, le forze del centrosinistra hanno già ampiamente dimostrato di essere più che capaci di partecipare alla rapina e al saccheggio imperialisti del mondo. Noi trotskisti ci battiamo per il ritiro immediato e incondizionato di tutte le truppe imperialiste dall’Iraq e difendiamo le azioni direttamente rivolte contro il dispositivo di occupazione e i suoi fantocci, opponendoci invece agli attentati terroristici indiscriminati contro la popolazione civile e al bagno di sangue fratricida su basi etniche o settarie (vedi “Imperialisti: giù le mani dall’Iran”, pag. 32).

Lotta di classe, non collaborazione di classe con i capitalisti

Negli ultimi mesi, migliaia di operai metalmeccanici sono scesi in piazza, bloccando autostrade e stazioni per respingere il tentativo di Federmeccanica di svuotare il contratto nazionale e introdurre ulteriore flessibilità. Federmeccanica ha dovuto cedere su alcuni punti ma le direzioni sindacali hanno fatto ingoiare un misero aumento salariale di 59 euro lordi e l’introduzione di maggiore flessibilità. Sono scesi in lotta anche gli operai aeroportuali, costretti ad ogni passo a scontrarsi con la repressione dello Stato sotto forma delle leggi antisciopero con cui il governo e i padroni vorrebbero ridurli a moderni schiavi salariati senza diritto di parola.

L’unica vera arma dei lavoratori per difendersi e migliorare le loro condizioni sotto il capitalismo è la lotta di classe. Tutto ciò che i lavoratori hanno ottenuto in questa società è stato il frutto di dure lotte e della paura che la borghesia ebbe, per un intero periodo storico, di essere rovesciata ed espropriata come era avvenuto con la Rivoluzione russa dell’ottobre del 1917. Occorre mettere in campo tutta la forza del proletariato multietnico: una forza che non si misura nelle elezioni, ma nelle lotte, negli scioperi e sui picchetti. Ma a differenza del passato, gli operai non vedono, neppure in maniera parziale o deformata, le loro lotte come parte della lotta per la trasformazione socialista del mondo. In molti casi è lontana persino l’idea che questa società si basa sulla lotta di classe tra operai e capitalisti. E’ una delle conseguenze della distruzione dell’Unione Sovietica, che nonostante la degenerazione stalinista era l’erede dell’unica rivoluzione operaia della storia e delle sue enormi conquiste sociali. Una sconfitta che ha rigettato all’indietro la coscienza della classe operaia, che non vede altra possibilità che quella di lottare per limitare i danni e di sostenere dei governi “di sinistra” un po’ meno aggressivi. In questo contesto, la cosa più importante è la costruzione di un’avanguardia rivoluzionaria che conservi e porti agli operai le lezioni storiche della lotta di classe e la coscienza della loro posizione nella società e dei loro compiti storici.

Per poter combattere efficacemente bisogna partire dalla comprensione che la società si divide in due classi fondamentali: la classe capitalista e la classe operaia. I capitalisti possiedono i mezzi di produzione. I lavoratori, per vivere sono costretti a vendere la propria forza-lavoro, ed è il loro lavoro a produrre il plusvalore di cui i capitalisti si appropriano, sotto forma di profitti. La classe operaia è l’unica classe oggettivamente rivoluzionaria della società capitalista. Ha le mani direttamente sui mezzi di produzione (le fabbriche e i mezzi di trasporto del moderno capitalismo industriale) e ha la forza sociale e l’interesse a rovesciare il capitalismo. La classe operaia rimarrà una classe di schiavi salariati, esposta alle crisi dell’economia capitalista, alle guerre e al tentativo continuo di aumentare lo sfruttamento finché non avrà spezzato la macchina statale dei capitalisti e l’avrà sostituita con il potere dei lavoratori, basato su consigli operai e altri organi di classe, collettivizzando tutti i mezzi di produzione e riorganizzando la società a scala internazionale negli interessi di chi lavora e non dei profitti di un pugno di sfruttatori.

Sotto il capitalismo, il governo non è nient’altro che il comitato esecutivo dell’intera classe dominante, un comitato d’affari nazionale. Per difendere il suo potere, la borghesia ha a disposizione lo Stato (un sistema di repressione che ruota attorno alla forza armata di polizia ed esercito) e non esita a ricorrere all’inganno e alla forza.

Sotto il capitalismo la democrazia è una maschera della dittatura della classe dominante. E’ il modo in cui la borghesia cela il suo potere dietro le fattezze del “mandato popolare”. Quali che siano i suoi proclami, qualsiasi governo capitalista serve e difende gli interessi della classe dominante e il suo sistema di sfruttamento. Come scrisse giustamente il dirigente bolscevico V.I. Lenin nel 1917: “Decidere una volta ogni qualche anno qual membro della classe dominante debba opprimere, schiacciare il popolo nel parlamento: ecco la vera essenza del parlamentarismo borghese, non solo nelle monarchie parlamentari costituzionali, ma anche nelle repubbliche più democratiche” (Stato e Rivoluzione).

Progetto comunista, Falcemartello: ruote di scorta del fronte popolare

Dopo aver passato anni a ripetere che Rifondazione doveva “rompere col centro liberale” e creare un “polo autonomo di classe” (col Pdci, i verdi e la sinistra Ds!) e sussurrato nei corridoi delle sezioni che se nel 2006 il Prc fosse entrato al governo, avrebbe comunque difeso “il carattere irrinunciabile dell’opposizione comunista”, il portavoce di Progetto comunista Marco Ferrando... si è candidato personalmente nella coalizione di Prodi. Non solo ha accettato di fare da specchietto per le allodole “trotskista” per raggranellare qualche voto tra gli scontenti e i delusi del Prc. Per candidarsi ha promesso (e mai smentito) che avrebbe votato la fiducia ad un eventuale governo Prodi! Candidando Ferrando la direzione del Prc ha messo in atto la vecchia pratica di cooptare i dirigenti delle “opposizioni” e renderle corresponsabili della sua politica (oltre a riconoscere implicitamente l’importanza del leale lavoro svolto da Progetto comunista che per 15 anni si è impegnato a tenere cucito il Prc).

Cosa ci faceva nelle liste elettorali del Prc/Unione uno che sostiene che l’Unione è al servizio dei banchieri e del Vaticano? Cosa ci faceva uno che afferma che l’Italia partecipa all’occupazione dell’Iraq per difendere i suoi interessi imperialisti, nelle liste di una coalizione filo imperialista, capeggiata dall’ex Presidente della Commissione Europea?

I dirigenti di Progetto comunista hanno sempre presentato i loro tradimenti opportunisti come delle tattiche intelligenti per aumentare la loro influenza, cercando di far dimenticare che il prezzo di questa influenza era l’appoggio elettorale al futuro governo Prodi. La verità è l’esatto contrario: nella società borghese, al di fuori delle epoche rivoluzionarie, la classe operaia è politicamente atomizzata e portata a vedere nel voto la sua espressione politica principale. Agli occhi degli operai, il fatto fondamentale della politica di Progetto comunista sono proprio le sue “indicazioni di voto” per il Prc (e l’Unione), un’affermazione di fiducia nella collaborazione di classe per “cacciare Berlusconi”. Le critiche servono al massimo a concedere una valvola di sfogo e ad illudere che sia possibile una politica differente senza una rottura decisiva con Rifondazione e la sua politica riformista parlamentare.

Nonostante i mass media abbiano ormai conferito a Ferrando il titolo di “trotskista”, la sua politica si contrappone a tutta la lotta dei bolscevichi di Lenin e Trotsky, che condusse alla vittoriosa Rivoluzione d’Ottobre del 1917. Come spiegò Trotsky per un’avanguardia rivoluzionaria l’atteggiamento nei confronti dei fronti popolari è il criterio decisivo, la “questione delle questioni”:

“I centristi di sinistra cercano di presentarlo come una questione tattica o addirittura come una manovra tecnica, così da poter contrabbandare la loro merce all’ombra del Fronte popolare. In realtà il Fronte popolare è la questione centrale per la strategia di classe del proletariato nell’epoca attuale. Fornisce anche il miglior criterio di differenziazione tra bolscevismo e menscevismo. Perché spesso ci si dimentica che il più grande esempio storico di Fronte popolare è la rivoluzione del febbraio 1917. Dal febbraio all’ottobre, i menscevichi e i socialrivoluzionari, che offrono un parallelo molto buono con i ‘comunisti’ e coi socialdemocratici, erano in un’alleanza strettissima e in una coalizione permanente con il partito borghese dei cadetti, con i quali formarono tutta una serie di governi di coalizione. Sotto il segno di questo Fronte popolare si trovava tutta la massa del popolo, compresi i consigli di operai, contadini e soldati. Senza dubbio i bolscevichi presero parte ai consigli. Ma non fecero la minima concessione al Fronte popolare. La loro rivendicazione era quella di rompere questo Fronte popolare, di distruggere l’alleanza coi cadetti, e di creare un vero governo operaio e contadino” (“La sezione olandese e l’Internazionale”, luglio 1936).

I bolscevichi contrapponevano il potere dei soviet, organizzazioni di potere operaio, al fronte popolare capitalista. L’atteggiamento di Progetto comunista è l’esatto contrario: si riassume nel dire ai capi riformisti: rompete col “centro borghese dell’Unione”, oppure… vi appoggeremo ugualmente, anzi, se ce lo permettete, ci candideremo con voi alle elezioni!

Quanto a Falcemartello, un’altra delle tendenze pseudo trotskiste del Prc, per loro l’idea stessa che l’avanguardia rivoluzionaria possa opporsi ai pregiudizi prevalenti nella classe e andare controcorrente rispetto al fronte popolare è un anatema. Votare Rifondazione, Ds e l’Unione è un articolo di fede e cercare di costruire un’avanguardia rivoluzionaria un’eresia “settaria”.

Progetto comunista sostiene, ma solo a parole, l’indipendenza di classe del proletariato dai suoi sfruttatori. Ma in quindici anni trascorsi dentro il Prc ha sempre appoggiato col voto Rifondazione e quindi le coalizioni capitaliste di cui faceva parte. Una forza autenticamente marxista si sforzerebbe di tradurre in pratica, anche sul terreno elettorale, una politica di opposizione al fronte popolare e alla collaborazione di classe. Prima dello scorso congresso del Prc scrivevamo:

“Se Progetto comunista avesse una seria intenzione di mettere in pratica le sue chiacchiere di opposizione al centrosinistra, potrebbe ad esempio presentarsi alle elezioni regionali o alle politiche del 2006 contro le liste Rifondazione/Unione. In quel caso, come comunisti, potremmo considerare di dar loro un sostegno elettorale critico. Ma questo non avverrà. Quello che sta avvenendo invece è che contribuiscono a tenere in piedi Rifondazione mentre questo partito incatena i lavoratori ai capitalisti. Poi cercheranno di aiutare Rifondazione e l’Unione a vincere le elezioni ‘incondizionatamente (anche col ricorso, se necessario, a forme di accordo tecnico-elettorale)’ ed andare al governo” (Spartaco n. 65, febbraio 2005)

Come si suol dire, la realtà si è spinta oltre alla previsione. Non solo Progetto comunista si è accodato a Rifondazione/Unione, ma il suo capo ha cercato di salire sul treno di Prodi con un biglietto (di seconda classe) per Palazzo Madama. Un viaggio che però si è rivelato brevissimo.

Ferrando e l’Unione: sedotto e abbandonato

All’inizio di febbraio i media borghesi (a partire da Libero e dal Corriere della Sera) si sono scatenati in una gazzarra reazionaria volta a spingere Rifondazione a prendere le distanze dagli “estremisti” nelle sue liste (in particolare Francesco Caruso e Marco Ferrando). Cosa ancora più grave, negli stessi giorni la polizia ha lanciato una serie di perquisizioni contro militanti e dirigenti dei Carc (Comitati di Appoggio alla Resistenza - per il Comunismo), impegnati nella presentazione di una loro lista elettorale e gli organizzatori della manifestazione per la Palestina di Roma del 18 gennaio sono stati denunciati per istigazione a delinquere, vilipendio di Stato estero e apologia di reato con l’accusa di aver scandito slogan contro il contingente italiano in Iraq e bruciato bandiere israeliane e americane. Come trotskisti ci opponiamo a questa campagna, con cui si cerca di etichettare come “terrorista” chiunque si opponga all’occupazione imperialista dell’Iraq e al ruolo che vi svolgono le truppe italiane, o critichi la brutale repressione della popolazione palestinese da parte dello Stato sionista.

I settori della borghesia che appoggiano l’Unione hanno sempre fatto pressione sul Prc per ottenere garanzie che una volta al governo il partito non dia segni di cedimento od esitazione quando si tratterà di colpire duramente la sua stessa base sociale. Perciò, quando i capi del centrosinistra hanno chiesto la testa di Ferrando, Bertinotti l’ha consegnata su un vassoio d’argento, tra gli applausi generali (Il Sole 24 ore del 17 febbraio ne ha elogiato “la svolta responsabile”).

La vicenda di Ferrando è ricca di lezioni. In primo luogo dimostra che nel fronte popolare comandano i capitalisti. Bastano un paio di telefonate di Prodi per fare carta straccia delle decisioni del Cpn di Rifondazione e della “sovranità” del partito. E questo non vale solo per l’Unione di Prodi, ma per qualsiasi variante di fronte popolare o di governo socialdemocratico. Basta considerare il governo repubblicano spagnolo del 1936, che comprendeva socialisti, stalinisti, anarchici e il Poum, assieme ad alcuni avvocati e politici borghesi, e che in nome della “alleanza” con la borghesia repubblicana, mantenne la proprietà privata delle fabbriche e delle terre, il dominio coloniale sul Marocco e disarmò sistematicamente la classe operaia.

In secondo luogo dimostra la bancarotta della politica di Falcemartello e Progetto comunista di “riconquistare” Rifondazione alla lotta rivoluzionaria o di “impedirne la deriva”. Rifondazione è dalla nascita un partito socialdemocratico filocapitalista e non ha mai esitato ad appoggiare i governi della borghesia, in una miriade di amministrazioni locali o col decisivo appoggio all’Ulivo tra il 1996 e il 1998. Nessuna “pressione dal basso” cambierà la sua natura. La costruzione di un partito rivoluzionario richiede una lotta per scindere la base operaia dei partiti riformisti come Rifondazione dalla loro direzione filo capitalista. Progetto comunista e Falcemartello fanno l’esatto contrario: con le loro “critiche” e con il loro sostegno al fronte popolare e a Rifondazione incatenano alla collaborazione di classe i settori più avanzati del movimento operaio. Persino dopo la sua esclusione dalle liste del Prc, Ferrando promette: “Noi faremo la campagna elettorale per Rifondazione sulla base di un programma autonomo del partito, non per l’Unione. Naturalmente, portando voti al nostro partito, contribuiremo alla sconfitta di Berlusconi che noi vogliamo incondizionatamente” e anzi che “ci assumeremo come sinistra anticapitalista e rivoluzionaria del partito, la responsabilità di fare una campagna elettorale parallela (…) su una proposta programmatica ‘per’ e ‘del’ partito, che metta al centro le ragioni dei lavoratori, dei precari e dei disoccupati” (www.dilloadalice.it n.94, 1 marzo 2006). Proprio quello che serve per racimolare voti per l’Unione tra i delusi e gli scontenti dal programma capitalista di Prodi e soci.

Progetto comunista: la collaborazione di classe nel midollo

Sin dalla sua nascita negli anni Settanta, la tendenza di Ferrando si è separata dal trotskismo per la sua determinazione a dare un “sostegno critico” alle elezioni ai partiti operai (riformisti) in seno ai fronti popolari capitalisti (e più concretamente di votare il Pci negli anni in cui cercava un Compromesso storico con la Democrazia cristiana e appoggiava i governi di “unità nazionale” che avevano scatenato una caccia alle streghe contro la sinistra “extraparlamentare”). Il voto ai “partiti operai” dei fronti popolari in effetti è un sostegno a queste coalizioni capitaliste, perché sono questi stessi partiti che ne formano la spina dorsale e perché un voto per loro è un voto per le coalizioni di cui fanno parte.

Negli anni Ottanta condivisero il sostegno alla controrivoluzione “democratica” negli Stati operai deformati, unendosi al coro della “solidarietà con Solidarnosc”, il “sindacato” giallo della Cia e del Vaticano che fu lo strumento della controrivoluzione capitalista in Polonia. Il sostegno alla “controrivoluzione” democratica nell’Europa dell’Est fu il biglietto d’ingresso per un’intera generazione di ex rivoluzionari nel campo della propria borghesia. Non è un caso che i dirigenti di Progetto comunista, pur essendo consapevoli che la distruzione controrivoluzionaria dell’Unione Sovietica è stata una sconfitta storica della classe operaia, vi abbiano visto soprattutto una chance per esercitare qualche “influenza” sulla socialdemocrazia. Come per i Ds e Rifondazione il crollo dell’Urss ha spalancato la strada del governo, per Ferrando e gli pseudo trotskisti, ha aperto le porte della “grande politica” parlamentare. Ferrando lo spiega esplicitamente nella sua autobiografia (L’altra Rifondazione, 2003):

“La vittoria della controrivoluzione borghese nell’URSS e nell’est europeo è indubbiamente una sconfitta storica del proletariato internazionale (...). Tuttavia se cogliamo questi avvenimenti dal punto di vista di una prospettiva storica rivoluzionaria il crollo dello stalinismo è una sorta di liberazione che inaugura una nuova epoca: libera il campo da una mostruosità e da un equivoco gigantesco (…). I termini di costruzione oggi di una direzione alternativa per il movimento operaio in occidente sono storicamente più avanzati di quanto non fossero prima del crollo dello stalinismo”.

Per Ferrando, la distruzione controrivoluzionaria dell’Urss ha aperto “uno scenario incomparabilmente più favorevole che nella fase storica precedente”. Lo scenario sarà “incomparabilmente più favorevole” per le sue ambizioni parlamentari, non certo per la lotta di classe rivoluzionaria, poiché la distruzione dell’Urss e il clima di “morte del comunismo” instaurato dalla borghesia (con l’aiuto di forze come il Prc), sembra precludere, agli occhi delle masse sfruttate, la strada della rivoluzione sociale.

Negli anni Novanta Progetto comunista ha esteso il suo “sostegno critico” agli stessi rappresentanti della classe capitalista (vedi Spartaco n.65), politica che è culminata nella (fallita) candidatura di Ferrando nelle liste del Prc/Unione. Ma il riformismo parlamentarista di Progetto comunista non si esprime solo nel sostegno alle coalizioni capitaliste come quella dell’Unione ma nelle sue stesse basi programmatiche che trovano la loro espressione nella formula del “polo autonomo di classe”, in cui Progetto comunista fa appello “a tutte le forze e tendenze politiche di sinistra che sono state in questi anni dalla parte dei movimenti e che, per semplificare, hanno sostenuto il referendum del Prc sull’Articolo 18 (Sinistra DS, PdCI, Verdi)” chiedendogli di “rompere con il Centro liberale e di unire nell’azione le proprie forze per candidarsi a dirigere la lotta contro Berlusconi e preparare un’alternativa vera” (Mozione 3 del VI Congresso del Prc). Come abbiamo già spiegato il “polo autonomo di classe” è un mini fronte popolare un po’ più di sinistra:

“Primo: non è affatto ‘di classe’. Non si può neppure parlare seriamente di un’opposizione di classe che includa partiti della classe capitalista, come sono, da cima a fondo, i Verdi, che non hanno nessuna radice nel movimento operaio e sostengono esplicitamente il sistema sociale capitalista. Già questo dimostra come il ‘polo di classe’ di Progetto comunista, va in direzione opposta rispetto alla lotta di classe. Non è nient’altro che una versione in sedicesimo (e temporaneamente all’opposizione) della stessa collaborazione di classe di Rifondazione con la borghesia ‘progressista’ che dicono di voler contrastare (…). Il ‘polo autonomo di classe’ della Mozione 3 è un blocco politico che ha come comune denominatore quello di determinare la caduta del governo Berlusconi con delle lotte di massa, sostituendolo non con l’Ulivo/Unione ma con un ‘programma di alternativa vera’; un ‘governo di alternativa’ che ‘cancelli l’intera stagione di controriforme’ e attui una politica di redistribuzione dei redditi e nazionalizzazioni delle industrie in crisi. ‘L’alternativa è anticapitalistica o non è’, recita la Mozione 3. Ma non si può costruire un blocco politico ‘anticapitalista’ con forze nessuna delle quali ha un programma ‘anticapitalista’” (Spartaco n.65).

Sulla scia della candidatura di Ferrando, Progetto comunista si è spaccato in due. Un settore, capeggiato dal direttore del giornale Francesco Ricci, ha condannato come “inaccettabile” la scelta di Ferrando, denunciando il fatto che:

il compromesso più grave stava nell’impegno preso da Ferrando a votare la fiducia a Prodi. Su quest’ultimo punto Bertinotti è stato molto chiaro, come hanno riportato tutti i giornali. La candidatura di Ferrando - come ogni altra - ha come presupposto l’impegno a disciplinarsi: non saranno ammessi ‘voti in dissenso’ col gruppo parlamentare, cioè con le indicazioni di Bertinotti” (www.progettocomunista.org, 24 gennaio 2006).

Inizialmente il nuovo gruppo (che ha mantenuto il nome di Progetto comunista – Rifondare l’opposizione dei lavoratori, Pc-Rol), si è limitato a criticare il metodo con cui era stata decisa la candidatura di Ferrando, anzi il suo portavoce Ricci ha addirittura cercato di prendere il posto di Ferrando nelle liste del Prc:

“non abbiamo contestato l’apertura delle liste alle minoranze (nonostante l’apertura sia avvenuta in modo irrisorio). Abbiamo contestato che per quanto riguarda la rappresentanza di Progetto Comunista (Terza Mozione al congresso) la scelta sia stata operata direttamente dalla Segreteria nazionale in accordo con una parte del gruppo dirigente (Ferrando e Grisolia), alle spalle dei membri dell’organismo deputato alla scelta (…). Quando siamo venuti a sapere di una trattativa che durava da mesi, all’oscuro dei dirigenti e di tutti i militanti della nostra organizzazione, abbiamo provocatoriamente avanzato una candidatura alternativa a quella ‘autonominatasi’ di Marco Ferrando, quella di Francesco Ricci, a nome appunto della maggioranza dei membri dell’organismo titolato alla scelta” (ibidem).

In seguito Pc-Rol ha cercato di demarcarsi da Ferrando accusandolo giustamente di esser salito sul carro dell’Unione e facendo appello a non dare “nessun sostegno, politico o elettorale, al governo dell’Unione” (anche se, come è tipico dei centristi, non fanno un appello esplicito a non votare Rifondazione, in modo da tenersi aperte tutte le porte, anzi lanciano l’ennesimo “Appello per una vera rifondazione comunista”). Pc-Rol si è anche spinto più in là di Ferrando nel dichiarare di voler lanciare un “processo costituente di una nuova forza comunista e rivoluzionaria” (www.progettocomunista.org, 2 marzo 2006).

Anche se Ricci è un opportunista dalla testa ai piedi (lo dimostra tra l’altro il fatto che non ha esitato, negli organismi dirigenti del Prc, a fare un blocco con la destra bertinottiana per escludere Ferrando dalle liste elettorali), Pc-Rol cerca di attingere al profondo bacino di malcontento che esiste nelle file del Prc e della sinistra, sapendo che non ci sarà molto futuro per una sedicente “opposizione trotskista” in seno ad un partito di un governo anti operaio. Ma dal punto di vista programmatico, Pc-Rol non ha nulla da contrapporre alla trentennale politica di collaborazione di classe di Ferrando. Ricci e soci sono stati tra i principali artefici della politica di “sostegno critico” di Progetto comunista a fronti popolari e candidati borghesi, e se oggi flirtano con vaghi appelli all’astensione, rivendicano comunque di essere “i legittimi continuatori delle ragioni stesse per cui nacque Progetto Comunista” (www.progettocomunista.org, 27 febbraio 2006).

L’esito della politica di Ferrando non è semplicemente il frutto di errori tattici o di un tradimento personale. E’ la concretizzazione del “sostegno critico” ai fronti popolari capitalisti. Settori della borghesia ritengono che la partecipazione del Prc sia utile a tenere sotto controllo gli operai e la direzione del Prc ha cooptato a sua volta i dirigenti delle “opposizioni” interne per coprirsi a sinistra e renderli corresponsabili della sua politica. Progetto comunista perciò è passato dal semplice sostegno elettorale alla partecipazione diretta alle elezioni parlamentari nelle file del fronte popolare di Prodi. La candidatura di Ferrando è la logica conseguenza di questa politica (che in situazioni storiche diverse ha portato gli pseudo rivoluzionari a prendere persino incarichi ministeriali in governi capitalisti).

Mantenendo le stesse premesse programmatiche, Pc-Rol è destinato a ripetere la stessa parabola di Ferrando non appena se ne presenterà l’occasione (magari con un fronte popolare un po’ meno ributtante di quello di Prodi e Rutelli).

Per lottare seriamente per la rivoluzione socialista, bisogna andare alle radici programmatiche della bancarotta dello pseudotrotskismo di Progetto comunista e studiare il programma della Lega comunista internazionale e la sua lotta per costruire un partito rivoluzionario internazionale capace di portare gli operai al potere e riforgiare una Quarta internazionale degna di questo nome.

 

Spartaco N. 67

Spartaco 67

Marzo 2006

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L’Unione/Rifondazione verso un governo di “lacrime e sangue”

Elezioni 2006
Nessuna alternativa per i lavoratori

Nessun voto a Unione e Rifondazione!

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Abbasso il ricatto nucleare imperialista!

Imperialisti: giù le mani dall’Iran!

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Lo sciopero dei trasporti a New York

Potere dei sindacati e collaborazione di classe

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Appello alla solidarietà con i lavoratori di New York

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Stato, Chiesa e oppressione delle donne

Difendere il diritto d’aborto!

Unione/Rifondazione in ginocchio dal papa

(Pagine di Donne e Rivoluzione)

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Elizabeth King Robertson (1951-2005)

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Carc/Lista comunista: orfani del fronte popolare

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Comunicato del Comitato di difesa sociale e proletaria in difesa dei Carc

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Da Berlino a Mosca

La lotta della Lci contro la controrivoluzione capitalista

Per nuove rivoluzioni d’Ottobre!

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Venezuela: nazionalismo populista contro rivoluzione proletaria

La campagna della Casa Bianca contro Chávez