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Spartaco n. 66

Settembre 2005

Chiese, opere di carità e soldi della Cia

La truffa dei Social Forum

Se la campagna “Consegniamo la povertà alla storia” mettesse sia pur minimamente in discussione la piaga della povertà dei popoli dell’Africa, credete che Tony Blair e Gordon Brown l’appoggerebbero? I macellai dell’Iraq stanno cercando di rinnovare agli occhi dell’elettorato la popolarità del Partito laburista e dell’imperialismo britannico insozzato di sangue. Dietro di loro sfila un corteo di personaggi famosi, di istituti religiosi di beneficenza, di Ong (Organizzazioni non governative) e di burocrati sindacali e riformisti (non ultimo il Socialist Workers Party [Swp, Partito socialista dei lavoratori]): sono i campioni della pagliacciata chiamata “Make Poverty History”.

Non tutti hanno abboccato all’improvviso amore per i poveri che ha colto Tony Blair e Gordon Brown. Una lettera pubblicata dal Glasgow Herald (6 giugno) ha fatto notare di traverso che “la sincerità del desiderio di Gordon Brown di sradicare la povertà è pari alla sua volontà di marciare per le strade di Edimburgo alla testa di una manifestazione di banchieri, finanzieri e giocatori di borsa, con uno striscione con scritto ‘Viva la rivoluzione cubana’”! Per non parlare dell’ipocrisia degli aiuti imperialisti al “terzo mondo”, per cui sono ancora valide le parole scritte nel 1845 da Engels sulle istituzioni benefiche della borghesia. Attaccò la borghesia inglese dicendole: “Come se il proletariato potesse essere soddisfatto che prima lo succhiate a sangue, per poter poi sfogare su di lui le vostre compiaciute, farisaiche voglie di beneficenza, e apparire agli occhi del mondo come dei grandi benefattori dell’umanità, quando a colui che avete dissanguato date la centesima parte di ciò che gli spetta!” (La situazione della classe operaia in Inghilterra). “Succhiare il sangue” delle masse lavoratrici e degli oppressi di tutto il mondo è esattamente il lavoro del G8.

Per chi invece vuole protestare contro il G8 senza cantare in coro “We are the world” lo Stato ha pronto il pugno d’acciaio della repressione. Per mesi la stampa tabloid e i mass media hanno riecheggiato la voce della polizia, spargendo la paura degli “anarchici” violenti che avrebbero attaccato il vertice del G8. E’ stato mobilitato un esercito di 10.000 poliziotti. L’hotel a cinque stelle di Gleaneagles dove si sono tenuti gli incontri è stato circondato da cinque miglia di filo spinato e sembra che delle portaerei Usa cariche di marines incrociassero al largo delle coste occidentali della Scozia.

Ecco i metodi che i governanti capitalisti utilizzano con chi protesta contro il loro dominio: repressione di Stato e cooptazione politica. Tra i principali meccanismi di cooptazione delle proteste “antiglobalizzazione” vi sono il Forum sociale mondiale (Fsm) e il Forum sociale europeo (Fse), che sono stati capeggiati e organizzati più o meno dalle stesse forze che sono alla testa di “Make Poverty History”. A partire dal 2001, questi Social Forum sono stati usati per deviare l’ondata di proteste di massa (contro il G8, l’Organizzazione mondiale per il commercio, il Fmi e le altre agenzie imperialiste) che ha avuto come simbolo le manifestazioni di Seattle del 1999. L’obiettivo era quello di impedire che i giovani di sinistra si scontrassero in piazza con le forze dello Stato capitalista, incanalandoli verso la “alternativa democratica” del riformismo parlamentare, pur continuando a fingere che tutti questi dibattiti da salotto fossero “non parlamentari”. Invece di essere affrontati a colpi di lacrimogeni, idranti e pallottole, come era successo a Genova nel 2001, i vari Fsm e Fse sono stati sostenuti e finanziati da varie agenzie dei governi imperialisti.

Questo perché i Social Forum e il cosiddetto movimento “anticapitalista” non costituiscono fondamentalmente nessuna minaccia per il dominio capitalista. I loro organizzatori accettano il mito dominante del mondo “postsovietico”: la lotta di classe contro l’ordinamento capitalista è una cosa del passato, la classe operaia è irrilevante come fattore di trasformazione sociale e il massimo che si può fare è dare un volto “umano” al sistema. La verità invece è che il sistema capitalista dipende oggi più che mai dalla classe operaia, che ha il potere di rovesciarlo. Per farlo serve che la classe operaia prenda coscienza del fatto che i suoi interessi sono incompatibili con quelli dei capitalisti. I Social Forum sono un ostacolo per questa presa di coscienza di classe.

Social Forum finanziati dallo Stato

Il Forum sociale mondiale e quello europeo sono stati tutti finanziati dagli stati capitalisti dei paesi che li ospitavano, ricevendo l’appoggio ufficiale di governi borghesi locali o cittadini. Nella lista di sponsor ufficiali del Fsm ci sono non solo il governo della città di Porto Alegre, il governo dello stato del Rio Grande do Sul e il governo federale del Brasile, ma anche il Banco do Brasil e la più grande compagnia petrolifera del paese, la Petrobras! Il Fse del 2002 è stato finanziato dal comune di Firenze e quello di Parigi del 2003 direttamente dal governo Chirac. Per finire, il Fse di Londra del 2004 è stato pagato e ospitato dall’ufficio del sindaco del New Labour, Ken Livingston, fiero sostenitore dei bombardamenti imperialisti sulla Serbia che ha applaudito il terrore poliziesco scatenato contro i manifestanti “anticapitalisti” il primo maggio del 2000.

I Social Forum sono stati dominati anche dalle cosiddette Ong (che sta per organizzazioni “non governative”). Ovviamente queste organizzazioni, che sono ufficialmente sanzionate e pagate in gran parte dalle chiese e dagli stati capitalisti, non sono per niente indipendenti dai governi che le mantengono. Le associazioni benefiche sono sempre state la maschera “umanitaria” dietro la quale si nascondono gli interventi degli imperialisti e delle multinazionali che saccheggiano le economie del “terzo mondo”. Tra le Ong presenti ai Social Forum spiccavano ad esempio Oxfam, War on Want e Christian Aid. Il principale sponsor delle Ong di tutto il mondo sono le Nazioni Unite, create a loro volta per dare un’imbiancatura umanitaria al saccheggio imperialista, specialmente quello americano. E’ in questa tradizione che nel gennaio del 2003 il Forum sociale mondiale di Porto Alegre ha ricevuto un messaggio augurale del segretario generale dell’Onu, Kofi Annan.

Come dice il proverbio: “Chi paga l’orchestra sceglie la musica”. Se è vero che ai Social Forum si strilla a pieni polmoni contro la folle e barbara amministrazione americana di Bush, è anche vero che tra i finanziatori del Fsm ci sono nientemeno che la Fondazione Fratelli Rockefeller e la Fondazione Ford. La Fondazione Rockefeller fu utilizzata per rinverdire la reputazione dei Rockefeller dopo il massacro di Ludlow, in Colorado, il 20 aprile 1914, in cui le guardie della compagnia mineraria e la milizia uccisero 20 persone durante un duro sciopero del sindacato dei minatori. La Fondazione Ford invece divenne celebre nel 1936, al culmine di un’ondata di lotte operaie nell’industria americana dell’automobile. Dopo la seconda guerra mondiale fu uno dei canali tramite cui arrivavano i soldi della Cia destinati a finanziare la causa dell’anticomunismo in tutto il mondo. Se hanno accettato di buon grado i soldi delle più infami agenzie dell’imperialismo Usa, i Forum sociali mondiali si sono dimostrati invece meno accoglienti con coloro che considerano come una possibile minaccia agli interessi dell’imperialismo.

Una clausola della Carta dei principi del Fsm dice che “al forum non possono partecipare i rappresentanti di partiti e di organizzazioni militari” ed è stata usata per escludere gli zapatisti e le Farc (Forze armate rivoluzionarie colombiane). Persino le Madres di Plaza de Mayo, un’organizzazione di madri dei militanti di sinistra “scomparsi” sotto la dittatura militare argentina tra il 1976 e il 1983, sono state escluse dal Fsm del 2002. Invece sono stati accolti calorosamente i capi di vari governi capitalisti, la gente che presiede ai “corpi speciali di uomini armati” noti più comunemente col nome di stato capitalista.

Un interessante articolo dal titolo “Economia e politica del Forum sociale mondiale”, pubblicato da Rajani X. Desai su Aspects of India’s Economy (settembre 2003), spiega bene la natura e gli obiettivi dei Social Forum:

“Mentre venivano escluse le forze politiche che lottano per cambiare il sistema, al Social Forum partecipavano frotte di capi politici dei paesi imperialisti. Non solo il Fsm, come organismo, prende soldi da agenzie legate agli interessi e alle operazioni degli imperialisti, ma numerosi organismi che partecipano al Fsm sono dipendenti da queste agenzie. Si capiscono bene le implicazioni di questo fatto se si considera la storia di una di queste agenzie, la Fondazione Ford, che ha collaborato a stretto contatto con la Central Intelligence Agency (la Cia) a scala internazionale e che in India ha contribuito ad influenzare le politiche del governo in modo da favorire gli interessi americani”.

Maschera di sinistra della collaborazione di classe

Il fatto che i Forum sociali mondiali ed europei siano stati praticamente comprati e pagati da vari governi e agenzie capitaliste non rappresenta un grosso problema per l’Swp. Alex Callinicos, un dirigente dell’Swp (presenza fissa sui palchi dei Social Forum), l’ha detto in maniera sfrontata: “Sappiamo tutti che un Social Forum di massa ha bisogno di soldi e che per avere i soldi bisogna fare dei compromessi” (Bollettino di discussione dell’International Socialist Tendency, gennaio 2005). Altro che! Ma queste idee non sono esclusive di Callinicos. Il primo Forum sociale mondiale, nel 2001, fu organizzato in parte dai falsi trotskisti del Segretariato unificato (Su - la cui sezione italiana, dentro Rifondazione, pubblica la rivista Erre), per insegnare ai giovani militanti di sinistra a gestire l’austerità fiscale dello stato capitalista con la pantomima dei “bilanci partecipativi”. I benefattori capitalisti che hanno finanziato il Fsm sono stati ripagati. Oggi il Partito dei lavoratori (Pt) brasiliano di Lula, col valido contributo di un “compagno ministro” del Su, amministra lo stato capitalista brasiliano, accettando servilmente i dettami del Fmi e imponendo l’austerità a una popolazione già poverissima.

All’ultimo Fsm, lo scorso gennaio, Lula è stato sonoramente fischiato da molti partecipanti per i suoi inchini servili e la sua collaborazione con il Fmi e la Banca mondiale. Ma la verità è che Lula rappresenta la politica e il programma del Fsm trasposti a livello del potere dello Stato.

E’ quello che si chiama un fronte popolare: un blocco politico di collaborazione di classe tra organizzazioni della classe lavoratrice e agenzie capitaliste, in cui la politica della componente operaia è subordinata a quella della borghesia, alla difesa dello stato borghese e al capitalismo. La classe dominante vuole che i fronti popolari, proprio come fa il governo di Lula in Brasile, facciano ingoiare l’austerità ai lavoratori in modo più efficace di quanto non riescono a fare i partiti borghesi discreditati.

Ora che anche Lula è a sua volta discreditato per gli attacchi portati ai lavoratori e ai contadini brasiliani, il nuovo eroe del Fsm è diventato il presidente venezuelano Hugo Chavez. In un certo senso si tratta di una svolta: nel 2003, mentre combatteva contro i tentativi di rovesciarlo del governo Usa, non venne invitato al Fsm e quando si presentò ugualmente, gli fu negato uno spazio ufficiale. La popolarità di Chavez agli occhi delle masse oppresse venezuelane deriva dal fatto che il suo governo usa gli introiti derivanti dalla vendita del petrolio per introdurre delle riforme a vantaggio dei poveri e che non è considerato un leccapiedi degli Usa. Ma non si tratta di riforme strutturali fondamentali, per non parlare di una rivoluzione sociale, e sono soggette alle variazioni del prezzo del petrolio sul mercato mondiale.

Chávez è un nazionalista borghese che governa per conto del capitalismo in Venezuela. Il populismo nazionalista e il neoliberismo economico sono solo due politiche alternative del dominio della stessa classe. E’ vero che Chavez è odiato da molti latifondisti e capitalisti venezuelani, così come dai neocon dell’amministrazione Bush, che nell’aprile del 2002 hanno appoggiato un golpe militare contro di lui. Ma rappresentanti più razionali dell’imperialismo vedono in Chavez, grazie al suo fascino popolare, un uomo di cui si possono fidare per la gestione dei loro investimenti. La sconfitta del referendum revocatorio di Chavez nel 2004 è stata festeggiata come una garanzia di “stabilità” da portavoce imperialisti del livello del Financial Times e del New York Times. Come abbiamo scritto in Workers Vanguard n. 831 (3 settembre 2004):

“La prospettiva immediata che si pone con urgenza non è solo di opporsi alle intrusioni del governo Usa in Venezuela e altrove, ma di combattere per scuotere il sostegno del movimento operaio tanto a Chavez quanto all’opposizione, e di forgiare un partito operaio rivoluzionario internazionalista che guidi la classe operaia al potere. In Venezuela ciò richiede una lotta intransigente contro il nazionalismo che maschera le divisioni di classe all’interno del paese. Solo la lotta vittoriosa per il potere operaio, vale a dire una rivoluzione socialista nelle Americhe, darà la terra ai contadini senza terra e la possibilità agli operai del petrolio e a tutti i proletari di godere dei frutti del loro lavoro”.

Dipingendo i nazionalisti borghesi alla Chavez come combattenti contro la “globalizzazione”, i Social Forum lavorano contro la lotta per la rivoluzione socialista, perché legano la classe operaia alla “sua” classe capitalista nazionale. Infatti la ragione per cui i Forum sociali mondiali sono stati tutti organizzati in paesi del “terzo mondo” come il Brasile o l’India risiede nel tentativo di mascherare l’antagonismo tra le classi lavoratrici di quei paesi e i loro sfruttatori borghesi locali. Il messaggio era che ci si può fidare della borghesia del “Sud globale” perché lotti assieme “al popolo” contro la “globalizzazione”. Ma la preoccupazione principale dei capitalisti del “terzo mondo” è quella di difendere i propri profitti, ciò che li rende dipendenti dagli imperialisti e richiede il massimo sfruttamento possibile della classe operaia.

Sempre al fine di legare gli sfruttati ai loro sfruttatori, il Fse alimenta illusioni in una “Europa sociale” umana, sotto il capitalismo, distinguendola dal modello “neoliberista” degli Stati Uniti e della Gran Bretagna. La promozione di quest’idea della “Europa sociale” ha attirato verso il Fse dirigenti sindacali filocapitalisti e politici socialdemocratici da tutto il continente. La prospettiva politica della Confederazione europea dei sindacati (Ces) è stata spiegata dal suo segretario generale durante le proteste contro il vertice dell’Unione Europea di Nizza del 2000: “Si devono coinvolgere i sindacati e le Ong nella struttura decisionale di Bruxelles… Sì, siamo d’accordo che l’Europa deve essere più competitiva. Ma la nuova Europa deve comprendere anche una qualità della vita dignitosa per tutti i suoi cittadini” (citato in “Economia e politica del Forum sociale mondiale”). Essere “più competitivi” significa estrarre maggiori profitti dal sudore e dal lavoro della classe operaia. I burocrati del Trade Union Congress britannico (Tuc, Confederazione dei sindacati) hanno aderito al Fse di Londra del 2004, cogliendo l’occasione per dare una cassa di risonanza a Sobhi Al-Mashadani, della Confederazione irachena dei sindacati (Iftu), fantoccio del governo fantoccio degli imperialisti in Iraq. Questo è avvenuto poco dopo la conferenza del Partito laburista in cui un altro rappresentante dell’Iftu, Abdullah Muhsin, ha spalleggiato l’occupazione imperialista contribuendo alla sconfitta di una mozione che chiedeva il ritiro anticipato delle truppe dall’Iraq.

L’autoipnosi di Workers Power

In un opuscolo intitolato Anticapitalismo: assedi ai summit e Social Forum (2005), La Lega per la quinta internazionale (L5I) di Workers Power, fa la parte del critico di sinistra degli organizzatori del Fsm, gente come Bernard Cassen e Susan George di Attac, un’organizzazione fondata per portare avanti una campagna a favore dell’introduzione di una tassa sulle transazioni finanziarie internazionali e contro il “neoliberismo”. Nonostante il fatto che gli uffici di Attac funzionino grazie al lavoro di militanti del Partito comunista francese e del Su, Attac non fa nemmeno finta di opporsi al capitalismo. E’ un’organizzazione borghese da cima a fondo, che si vantava dei suoi intimi legami col governo di fronte popolare di Lionel Jospin. Ma riguardo a Cassen e George, la L5I afferma: “Non bisogna giungere ad una separazione artificiale da loro. Ma non bisogna neppure temerla. Se andiamo avanti con determinazione, saranno loro ad andarsene”. Per “separazione artificiale” la L5I intende una spaccatura lungo linee di classe. La L5I non si oppone alla collaborazione di classe, vuole solo una versione più combattiva di fronte popolare.

Infatti la fallimentare concezione della L5I, di Workers Power e del suo gruppo giovanile, Revolution, è che si può costruire non solo un “movimento”, ma persino un partito “rivoluzionario” a partire da questi blocchi interclassisti pagati dallo stato: “il movimento anticapitalista, il movimento operaio, i movimenti degli oppressi per ragioni razziali o nazionali, i giovani, le donne, tutti devono unirsi per creare una nuova internazionale: un partito mondiale della rivoluzione socialista” (Anticapitalismo: assedi ai summit e Social Forum). Pur strillando contro il dominio burocratico dell’ala destra, Workers Power cerca di ottenere delle “strutture democratiche” all’interno dei Social Forum per poter orchestrare la trasformazione del movimento. Promuove “iniziative come l’Assemblea dei movimenti sociali per proporre la costituzione di organismi di coordinamento permanenti, formati da delegati eletti, che possano preparare il terreno per un Congresso strutturato in cui si possano discutere, emendare ed adottare proposte politiche e organizzative”.

Nell’equazione di Workers Power non c’è posto per una battaglia politica di totale opposizione all’obiettivo stesso dell’esistenza di questi Social Forum, che si basano sul mantenimento del sistema capitalista e sul mero tentativo di fargli un lifting per renderlo più “democratico” e “umanitario”. Ma persino Workers Power è costretto ad ammettere che queste assemblee non concepiscono il “sistema capitalista come un nemico”, “la classe operaia come una forza” e “il socialismo come unica base possibile dell’altro mondo che vogliono costruire” (Workers Power, marzo 2005).

La realtà della collaborazione di classe è emersa nuda e cruda al primo Fse di Firenze del 2002. La L5I si è entusiasmata: “Il senso di vera esaltazione di essere tous ensemble (tutti insieme) ha fatto sì che persino i riformisti più incalliti parlassero da incendiari rivoluzionari. Tutti erano sospinti dalla fretta di fare il possibile per fermare la guerra di George Bush all’Iraq”. Nel “possibile” era incluso un appello esplicito ai governanti imperialisti d’Europa affinché si opponessero ai piani degli Usa di invadere l’Iraq, appello che fu firmato a Bruxelles da un manipolo di gruppi di sinistra europei, compreso l’Swp, Workers Power e Revolution durante una riunione preparatoria del Fse di Firenze. L’appello diceva: “Facciamo appello a tutti i capi di Stato europei perché si dichiarino pubblicamente contro questa guerra in ogni caso, a prescindere dalle decisioni delle Nazioni Unite, e perché chiedano a George Bush di abbandonare i suoi piani di guerra” (Liberazione, 13 settembre 2002). Questo disgustoso appello ai governanti capitalisti d’Europa “amanti della pace” serve solo a incatenare gli sfruttati ai loro sfruttatori.

La forza motrice del Fse di Firenze sono stati i partiti riformisti di massa italiani, Rifondazione comunista (Rc) e i Ds. Negli anni Novanta i Ds facevano parte dell’Ulivo, la coalizione di governo che ha gestito il terrore contro gli immigrati e duri attacchi alla classe operaia per conto dell’imperialismo italiano. Fino alla fine del 1998, Rc partecipava ad una coalizione implicita con i Ds. Il Forum sociale europeo dà a questi frontepopulisti consumati un’occasione a buon mercato di riguadagnarsi un certo consenso per poter tornare al governo. Anche il Fse di Parigi è stato organizzato dal Partito comunista (Pcf) e dalla pseudotrotskista Ligue communiste révolutionnaire (Lcr) di Alain Krivine. Oggi in Francia, col governo Chirac totalmente discreditato dopo il voto contro la costituzione europea, entrambi questi partiti stanno lavorando febbrilmente alla costruzione di una nuova alleanza di collaborazione di classe, nella speranza di riprendere il timone del governo. Ciò significherà concretizzare gli attacchi allo stato sociale e la razzista “guerra al terrorismo”.

Il fronte popolare: non una tattica ma il crimine più grande

Il compito fondamentale dei marxisti rivoluzionari è quello di liberare la classe operaia dall’idea di poter negoziare un futuro di progresso comune con i rappresentanti della classe dominante responsabili dello sfruttamento, delle guerre imperialiste, del razzismo, dell’oppressione delle donne e sessuale. La classe operaia, che produce la ricchezza della società capitalista e i profitti della borghesia, è l’unico soggetto che ha il potere sociale e l’interesse obiettivo di rovesciare il sistema capitalista ed abbatterne lo stato. Ciò richiede una rivoluzione socialista che sostituisca alla dittatura della borghesia uno stato operaio che difenda e amministri un’economia collettivizzata e pianificata. Estesa a scala internazionale, questa creerebbe le basi materiali per sradicare la miseria e produrre per i bisogni dell’intera specie umana. L’unico strumento che può organizzare la lotta del proletariato per rovesciare il capitalismo è un partito rivoluzionario d’avanguardia.

Esattamente il contrario della collaborazione di classe dei Social Forum. I Social Forum sono stati disegnati su misura per i sentimenti di attivisti che ne hanno fin sopra i capelli della politica e dei partiti parlamentari, ma sono ugualmente dei fronti popolari che promuovono la leggenda che una “alleanza del popolo” con presunti capitalisti “progressisti” può mettere fine alle devastazioni dell’imperialismo. Il fronte popolare (o “Fronte del popolo”) fu l’arma prediletta degli stalinisti negli anni Trenta per impedire la rivoluzione operaia. Trotsky si oppose con forza al fronte popolare e non si stancò mai di mettere in guardia contro le sue fatali conseguenze per la classe operaia. Come scrisse nel 1937 James Burnham, che allora era un dirigente trotskista, in un opuscolo dal titolo “Il fronte del popolo, il nuovo tradimento”:

“Per il proletariato, rinunciare al suo programma indipendente tramite i suoi partiti, equivale a rinunciare alla sua azione indipendente come classe... Accettando il programma del Fronte del popolo, accetta con ciò stesso gli obiettivi di un altro settore della società. Accetta l’obiettivo della difesa del capitalismo, quando la storia intera dimostra che gli interessi del proletariato possono essere difesi solo col suo rovesciamento”.

Spesso il fronte popolare ha avuto esiti sanguinosi per la classe lavoratrice e per gli oppressi. Un classico esempio è quello del Cile del 1973, quando Salvador Allende e i suoi alleati riformisti portarono una classe operaia imbevuta di mentalità rivoluzionaria, in un governo di coalizione con i capitalisti. Allende promise di non mettere in discussione l’ordinamento e lo stato capitalista. Mise fine alle occupazioni delle terre e delle fabbriche da parte di contadini e operai. Alla fine la borghesia cilena, con l’aiuto dell’imperialismo Usa, si rivolse al generale Augusto Pinochet perché attaccasse la classe operaia e i suoi capi (tra cui lo stesso Allende), imponendo una selvaggia dittatura militare, al prezzo di più di 30.000 morti.

Da Seattle ai Social Forum

Nella speranza di attirare giovani combattivi che disprezzano le interminabili discussioni da salotto dei Social Forum, la L5I implora che si torni alle manifestazioni di strada come quelle di Seattle o Genova. Il suo opuscolo proclama che “Per cinque anni il nostro movimento ha assediato i summit dei ricchi e dei potenti... Deve tornare nelle piazze e mostrare con l’azione diretta di massa cosa vuole: costruire un mondo senza classi, senza oppressione, guerra e imperialismo”. Ma la politica del Fsm non è una negazione, ma un’estensione della politica di Seattle. Anche se le manifestazioni di Seattle attirarono molti giovani oppositori degli effetti internazionali del capitalismo, politicamente le redini erano in mano ai socialdemocratici e ai burocrati sindacali, le cui diatribe anticomuniste contro la Cina riecheggiavano gli interessi dei governanti imperialisti che sperano di restaurare il sistema dello sfruttamento capitalista nello stato operaio deformato cinese.

Nel contesto di manifestazioni basate su di una politica frontepopulista e filoimperialista, la “azione diretta” non è altro che una forma “combattiva” di collaborazione di classe.

Alla base della proliferazione dei Social Forum vi sono la controrivoluzione nell’ex Unione Sovietica e la campagna ideologica borghese sulla “morte del comunismo”. L’idea prevalente tra i giovani di sinistra che la classe operaia sia divenuta irrilevante come protagonista della trasformazione della società, o che sia semplicemente una delle tante vittime dell’oppressione, è una tipica espressione della regressione della coscienza. Tra l’altro i burocrati sindacali adesso giustificano i tradimenti delle lotte operaie sostenendo che la “globalizzazione” rende inefficace la lotta di classe perché i capitalisti hanno buon gioco a spostare la produzione nei paesi a basso costo del lavoro dell’Asia o dell’Europa orientale. Se è vero che vi sono stati dei cambiamenti quantitativi nell’economia mondiale negli ultimi decenni, la “globalizzazione” non è affatto un fenomeno qualitativamente nuovo. L’economia capitalista di mercato è “globale” nel senso che le banche e le aziende cercano quei paesi (con salari bassi) in cui possono ottenere i profitti maggiori. L’internazionalizzazione del capitale finanziario fu spiegata già 90 anni fa da V.I. Lenin:

“L’imperialismo è dunque il capitalismo giunto a quella fase di sviluppo in cui si è formato il dominio dei monopoli e del capitale finanziario, l’esportazione di capitale ha acquistato grande importanza, è cominciata la ripartizione del mondo tra i trust internazionali, ed è già compiuta la ripartizione dell’intera superficie terrestre tra i più grandi paesi capitalistici” (L’imperialismo, fase suprema del capitalismo).

Povertà, malattie, sfruttamento e guerra non sono aberrazioni del capitalismo, ma il modo stesso del suo funzionamento. Solo rovesciando il capitalismo si possono sviluppare le forze produttive in modo da garantire un livello di vita decente all’intera umanità. Di fronte alla caccia alle streghe internazionale contro gli anarchici del black bloc, fautori della “azione diretta”, subito dopo l’uccisione di Carlo Giuliani a Genova nel 2001, la maggioranza della sinistra socialdemocratica del movimento noglobal si unì alla persecuzione poliziesca dei “violenti” del black bloc. La Lci si schierò con nettezza in difesa del black bloc dalla repressione dello stato capitalista e dei suoi servi. Allo stesso tempo abbiamo spiegato che:

“La questione che si pone ai tantissimi giovani radicali che sono stati attratti alle proteste ‘antiglobalizzazione’ degli ultimi anni è: come si cambia il mondo? Anche se le proteste sono riuscite a costringere gli imperialisti ad organizzare le future riunioni in posti inaccessibili, ciò non impedisce in alcun modo il funzionamento del sistema capitalista. Per farla finita con lo sfruttamento imperialista serve una mobilitazione politica del proletariato in una rivoluzione socialista che vada fino in fondo... Quello di cui c’è bisogno è una nuova direzione, rivoluzionaria, della classe operaia, come tribuno popolare e combattente per tutti gli oppressi. Bisogna rompere con la politica di collaborazione di classe propugnata da chi, in nome del ‘male minore’ subordina gli interessi vitali del proletariato a quelli dei suoi sfruttatori e oppressori capitalisti. Bisogna forgiare un partito operaio rivoluzionario che si batta per realizzare un governo operaio con una rivoluzione socialista contro l’intero sistema capitalista” (“Sangue e piombo a Genova”, Spartaco n. 60, novembre 2001).

Noi marxisti del Gruppo giovanile spartachista e della Lega comunista internazionale sappiamo che la lotta per l’indipendenza della classe operaia è una precondizione per l’emancipazione dell’intera umanità attraverso la rivoluzione socialista. Il nostro atteggiamento verso i Social Forum e verso ogni altro fronte popolare è di opposizione: vogliamo intervenire con una chiara definizione e spiegazione di quest’inganno, per conquistare coloro che vogliono lottare seriamente contro l’oppressione e lo sfruttamento ad un programma internazionalista, rivoluzionario e proletario. Siamo fieri di essere comunisti e ci rifiutiamo di fare da portaborracce dei socialdemocratici, dei burocrati sindacali e dei loro padroni capitalisti. Se sei d’accordo, unisciti a noi!

Tradotto da Workers Hammer n. 191, estate 2005

Spartaco n.65

Spartaco n. 66

Settembre 2005

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"Guerra al terrorismo": immigrati e operai nel mirino dello Stato

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Per gli stati uniti socialisti d'Europa!

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Lettere

"Età del consenso" e campagne sessuofobe

(Donne e Rivoluzione)

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Chiese, opere di carità e soldi della Cia

La truffa dei Social Forum

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Sgombero razzista a Sassuolo

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Non c'è giustizia nei tribunali capitalisti!

Libertà per Mumia Abu-Jamal!

Abolire la pena di morte razzista!

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Gli imperialisti e la sinistra piangono il papa della controrivoluzione

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Abbasso l'alleanza controrivoluzionaria tra gli Stati Uniti e il Giappone!

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Dichiarazione congiunta della Spartacist League/Us e del Gruppo spartachista del Giappone

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Dopo i criminali attentati terroristi di Londra:

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