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Il pantano siriano

Abbasso l’imperialismo Usa e i suoi alleati!

Lo scorso 25 aprile, il presidente Barack Obama ha annunciato ufficialmente che il numero di soldati dei reparti speciali americani in Siria sarebbe aumentato da 50 a 300. La strategia adottata negli ultimi anni da Washington per combattere lo Stato islamico (Isis) consiste nell’appoggio da parte di commandos Usa a forze armate formate principalmente da curdi della Siria settentrionale spalleggiati dai bombardamenti americani. Queste forze armate, raccolte sotto la bandiera delle Forze democratiche siriane (Fds) forniscono le truppe di terra dell’intervento imperialista Usa nel Paese. Questi sviluppi possono soltanto far aumentare le indicibili sofferenze inflitte al popolo siriano dagli imperialisti americani e da varie potenze minori.

La formazione delle Fds è stata annunciata formalmente nell’ottobre del 2015, il giorno dopo che gli Usa hanno ufficialmente abbandonato il fallimentare tentativo (costatogli 500 milioni di dollari) di formare un esercito di insorti sunniti “moderati”. La Fds è in pratica un’estensione dei Comitati di protezione popolari (Ypg) e include vari gruppi non curdi minori. Le Ypg sono l’ala militare del Partito di unione democratica (Pyd) curdo, basato in Siria ed alleato dei nazionalisti del Partito curdo dei lavoratori (Pkk), con base in Turchia. La costituzione delle Fds è stata preparata da un anno di operazioni congiunte in cui le Ypg hanno operato come forze sul terreno dell’esercito Usa. Durante tutto questo periodo, quando le forze curde hanno sconfitto l’Isis, hanno ripetutamente messo in atto espulsioni nazionaliste, cacciando arabi e turcomanni dai loro villaggi.

Iraq First

La formazione delle Fds segna un aggiustamento della strategia militare di Washington nella sua guerra contro l’Isis. Questa strategia, ribattezzata “Iraq First [Prima l’Iraq]” dai funzionari del governo, si è concentrata sul fornire copertura di bombardamenti aerei ai fantocci di Washington in Iraq, vale a dire al governo di Baghdad, alle milizie sciite e ai peshmerga curdi nel nord del Paese. Le forze aeree e le forze speciali americane hanno continuato ad appoggiare i loro fantocci iracheni nella loro avanzata su Mosul, la principale città del Paese controllata dall’Isis. Gli attacchi aerei degli imperialisti sono stati condotti anche a sostegno dell’assalto lanciato dalle forze del governo iracheno contro Falluja. Nel mese di maggio, gli imperialisti e i loro reggicoda hanno aperto anche un nuovo fronte in Siria, dove le Fds hanno preso d’assalto i villaggi a maggioranza araba nei dintorni di Raqqa, di fatto la capitale dell’Isis in Siria. I funzionari del governo americano hanno dichiarato che l’obiettivo finale è la presa di Raqqa, augurandosi chiaramente una notevole escalation della guerra contro l’Isis condotta dagli Usa.

Nel frattempo, il presidente russo Vladimir Putin, ha annunciato lo scorso marzo di voler ridurre significativamente l’intervento militare russo in Siria, il cui obiettivo era il rafforzamento del governo del presidente alawita siriano Bashar al-Assad, alleato della Russia, le cui forze hanno riconquistato la storica città di Palmira dall’Isis alla fine di marzo. Pur avendo dichiarato guerra all’Isis, l’amministrazione Obama (o quanto meno una sua parte importante) continua a scommettere sulla caduta del regime di Assad. Come ha scritto Jonathan Steele nella London Review of Books del 21 aprile, i bombardamenti Usa contro Isis sono “molto selettivi. L’anno scorso, hanno aiutato le forze di terra dei curdi siriani, le Ypg, a liberare dall’Isis le città di Kobane e di Tal Abyad, sul confine turco, mentre non hanno fatto nulla per proteggere l’esercito siriano quando questo è stato attaccato dall’Isis. Lo scorso maggio, quando le forze dell’Isis hanno assediato Palmira, cacciando l’esercito di Assad dopo una settimana di combattimenti, non si è visto nemmeno un aereo americano”.

L’intensificazione dell’intervento Usa in Siria deve suonare come una buona notizia per la candidata presidenziale del Partito democratico, Hillary Clinton. Clinton, che è sempre stata un falco, sia dentro che fuori dall’amministrazione Obama, ha chiesto l’imposizione di una no-fly zone nella Siria del nord (cosa che porterebbe a un conflitto con la Russia), un ulteriore dispiegamento di corpi speciali e l’intensificazione dei bombardamenti. Anche il suo rivale nelle primarie democratiche Bernie Sanders, pur opponendosi all’idea di una no-fly zone, è un convinto sostenitore della linea bellicosa del governo verso la Siria. Sanders non fa che proporre una linea diversa per promuovere gli interessi americani in Medio Oriente, chiedendo in sostanza che a fornire le truppe di terra in Siria debbano essere la monarchia saudita e altri reazionari regimi arabi. Quanto poi al candidato repubblicano Donald Trump, ha delirato che bisognava aumentare i bombardamenti contro l’Isis, rafforzare l’uso della tortura e uccidere i famigliari di chi è accusato di terrorismo.

Salito al potere promettendo che avrebbe messo fine alla guerra in Afghanistan e ritirato praticamente tutte le truppe dall’Iraq, Barack Obama ha continuato a stazionare 9.800 uomini in Afghanistan e più di 6.400 tra soldati e personale di sostegno in Iraq. L’escalation dell’intervento Usa in Medio Oriente sottolinea la necessità che gli operai coscienti in tutto il mondo e specialmente negli Usa, si oppongano a tutte le guerre, occupazioni e rapine degli imperialisti, a partire da quelli americani.

Non è stata l’Isis o qualche altra forza islamista a portare la disuguaglianza nei redditi americani a livelli mai visti. La classe dominante americana, che oggi riversa morte e distruzione all’estero, si ingozza di profitti, mentre gli operai che sfrutta si vedono tagliare posti di lavoro, assistenza sociale e sanitaria. É questa classe dominante che scatena i poliziotti che uccidono i giovani neri nelle strade, che getta nelle sue galere circa un quarto della popolazione carceraria di tutto il mondo e che dà la caccia agli immigrati disperati per deportarli.

Nella squallida guerra civile siriana, noi non prendiamo parte per nessuna delle forze coinvolte, né per il macellaio Assad, né per le varie forze ribelli dominate da varie specie di islamisti. Ma prendiamo posizione contro gli Usa e le altre potenze imperialiste. Per questo, pur opponendoci implacabilmente a tutto quello per cui esistono i tagliagole dell’Isis, stiamo militarmente dalla loro parte quando puntano i fucili contro le forze armate imperialiste e i loro fantocci nella regione, comprese le forze nazionaliste curde in Iraq e in Siria. Inoltre, anche se la nostra opposizione principale va agli imperialisti, ci opponiamo anche all’intervento di altre potenze capitaliste che operano in Siria, come la Russia e la Turchia e chiediamo il ritiro di tutti.

La nostra posizione politica nasce dalla comprensione marxista che gli Usa, la principale potenza imperialista, sono il nemico più potente degli operai e degli oppressi di tutto il mondo. Difendendo l’Isis dagli attacchi degli imperialisti, sappiamo che ogni colpo subito da Washington può stimolare l’opposizione domestica contro l’imperialismo Usa in seno ad una popolazione devastata da anni e anni di tagli salariali e di posti di lavoro distrutti. Puntiamo a trasformare la disillusione e la rabbia dei lavoratori americani in lotta di classe contro i governanti capitalisti nel proprio paese. É solo con la lotta di classe che si può conquistare il proletariato alla lotta per la costruzione di un partito operaio rivoluzionario, che guiderà la lotta per una rivoluzione socialista che distrugga la belva imperialista dall’interno.

L’imperialismo e l’autodeterminazione curda

Come parte della nostra lotta per una federazione socialista del Medio Oriente, abbiamo sempre rivendicato una repubblica socialista del Kurdistan unificato. Tuttavia abbiamo spesso associato questa giusta rivendicazione alla tesi secondo cui l’autodeterminazione curda sarebbe stata possibile solo col rovesciamento rivoluzionario dei quattro regimi capitalisti tra cui sono suddivisi i curdi della regione: la Turchia, la Siria, l’Iran e l’Iraq. Questa tesi, che abbiamo sostenuto a partire dal 1984, in effetti indebolisce l’importanza decisiva che abbiamo sempre attribuito alla lotta per i diritti nazionali dei curdi.

Per esempio in Turchia il proletariato non potrebbe mai spazzar via il potere dei capitalisti senza fare sua la giusta lotta nazionale delle masse curde, la cui oppressione è uno dei pilastri del nazionalismo turco e del suo dominio. D’altra parte il Kurdistan iracheno si è assicurato un importante grado di autonomia dal governo di Baghdad, anche se sotto l’egida dell’imperialismo americano. Questa virtuale indipendenza potrebbe molto probabilmente essere minacciata se e quando gli imperialisti Usa ritirassero le proprie forze.

Per questo, a seguito di una discussione interna, ora facciamo appello ad un Kurdistan unificato e indipendente, senza porre come precondizione il rovesciamento dei rapporti di proprietà capitalisti nella regione. Allo stesso tempo, il nostro obiettivo continua ad essere l’istituzione di una repubblica socialista del Kurdistan unificato come parte di una federazione socialista del Medio Oriente. I curdi hanno dimostrato chiaramente di desiderare l’indipendenza. Appoggiando l’autodeterminazione dei curdi, le classi lavoratrici del Medio Oriente minerebbero alla base la capacità dell’imperialismo Usa di manipolare le rivendicazioni dei curdi per rafforzare il loro dominio nella regione.

Appoggiamo anche l’indipendenza dei curdi dai singoli stati capitalisti (come ad esempio il diritto dei curdi di separarsi dalla Turchia). Tuttavia, in questo momento in Iraq e in Siria i nazionalisti curdi hanno subordinato la loro giusta lotta per l’autodeterminazione all’alleanza con l’imperialismo Usa. Aiutando i disegni di rapina degli imperialisti, questi nazionalisti hanno commesso un crimine il cui prezzo lo pagheranno le masse curde oppresse, quando i loro protettori imperialisti gli si rivolteranno contro, come è avvenuto tante volte in passato.

I portaborracce di sinistra dell’intervento imperialista in Siria

Per i militanti di sinistra dovrebbe essere ovvio che una vittoria dell’imperialismo Usa e dei suoi sottoposti in Medio Oriente sarebbe un ulteriore incoraggiamento agli imperialisti e al loro predominio e un arretramento per le lotte di tutti gli oppressi, compresi i curdi. Ma questa comprensione, che è elementare per i marxisti che si oppongono all’imperialismo, viene calpestata da molti gruppi riformisti.

Un esempio è dato negli Stati Uniti da Alternativa socialista (Salt), che pretende di opporsi all’intervento imperialista americano in Iraq e in Siria, mentre appoggia gli intermediari curdi di Washington. Dopo la sconfitta dell’Isis a Kobane, Salt ha glorificato la “eroica resistenza” dell’Ypg, nascondendo il fatto ampiamente noto che gli ufficiali dell’Ypg coordinavano direttamente le operazioni militari sul campo di battaglia con i comandanti Usa. Salt ha lodato le Ypg per “essersi fortemente affidate a combattenti donne e alla solidarietà laica e multietnica” che “riafferma l’idea per cui, quando le masse hanno un fine sociale progressista per cui battersi e morire, possono fare meraviglie” (socialistalternative.org, 9 febbraio 2015).

Un altro gruppo che si occupa di fornire un alibi pseudo marxista a questo abietto appoggio alle truppe di terra degli imperialisti è l’Internationalist Group [Gruppo internazionalista, Gi]. Da tempo questi centristi amano crogiolarsi in slogan altisonanti ma vuoti come quello di “sbatter fuori” gli imperialisti. Ma se si leggono i loro vari articoli (tutti lunghissimi) sulla guerra civile siriana e sull’intervento Usa nella regione, ci si ritrova in un labirinto confusionista fatto su misura per far digerire una sola posizione chiara: il rifiuto del Gi di schierarsi militarmente con Isis contro l’imperialismo Usa e i suoi agenti locali.

In un articolo dell’ottobre del 2015 su internationalist.org, il Gi ha scritto: “Ogni colpo ai predoni della Nato, anche se sferrato dai retrogradi jihadisti [combattenti della guerra santa] dell’Isis, è nell’interesse degli sfruttati e degli oppressi” (“Flashpoint Syria: Russian Intervention and Imperialist Aggression”). Ma il Gi in realtà sostiene che l’Isis non sta sferrando nessun colpo. In un articolo dell’aprile del 2015, attaccano la nostra semplice affermazione in cui diciamo di “schierarci militarmente con l’Isis contro la coalizione guidata dagli americani e i loro ausiliari locali” sostenendo che noi “inventiamo una lotta antimperialista dove non esiste”.

La realtà è che in Iraq e in Siria, le reazionarie forze dell’Isis sono impegnate in combattimento contro le forze militari dell’imperialismo americano e i loro agenti sul terreno. In queste circostanze, rifiutare di schierarsi militarmente a loro difesa, come fa il Gi, non rappresenta nient’altro che una vigliacca capitolazione all’imperialismo Usa. Il Gi si lamenta in modo ridicolo del fatto che l’Isis “non cerca di unire le masse oppresse di Iraq e Siria per rovesciare il giogo imperialista!” (Internationalist, ottobre-novembre 2014). Che sorpresa! Solo dei partiti operai internazionalisti rivoluzionari potrebbero unire le masse in Iraq e in Siria per rovesciare il giogo imperialista.

Ma il Gi ha una lunga esperienza nell’attribuire questa capacità a varie forze nazionaliste terzomondiste presuntamente progressiste. Per questo costruisce un alibi per i nazionalisti curdi del Ypg/Pyd. Nel suo articolo dell’aprile 2015, il Gi ha attaccato la nostra affermazione per cui i curdi siriani fanno da agenti degli imperialisti, sostenendo che il Pyd ha solamente concluso una “alleanza militare momentanea” con l’imperialismo Usa (forse per distinguerla da una eterna!?) Ma già nell’ottobre del 2015, il Gi si è visto costretto ad ammettere che l’Ypg stava “agendo in coordinazione con gli attacchi aerei americani contro lo Stato islamico” dichiarando che erano dei “semi-alleati” dell’imperalismo Usa.

In realtà, tanto il Ypg/Pyd quanto Washington si vantano apertamente della loro alleanza militare. Come ha francamente ammesso il portavoce delle Ypg Polat Can: “Abbiamo un contatto diretto e una relazione forte con gli Stati Uniti e abbiamo cooperato nel coordinamento degli attacchi contro i terroristi” (dckurd.org, 24 luglio 2015). Da parte statunitense, poco dopo che il capo del Comando centrale americano generale Joseph Votel, ha visitato le forze curde in Siria lo scorso maggio, sono venute alle luce le immagini di soldati delle forze speciali americane nel Kurdistan siriano con indosso le mostrine del Ypg. Nel mese di marzo, il Segretario alla Difesa, Ashton Carter, ha detto al Comitato per le forze armate del Senato che i curdi “si sono rivelati per noi dei partner eccellenti sul terreno nella lotta contro l’Isil”, un altro acronimo dell’Isis.

Per quanto il Gi si impegni a fare da avvocato ai nazionalisti curdi, non è sicuramente la prima volta in cui gli imperialisti utilizzano le forze militari di popoli oppressi come loro agenti. É successo per esempio nel 1999, quando gli imperialisti Usa/Nato, sotto il grido di battaglia del “povero piccolo Kosovo”, cercarono di giustificare i loro bombardamenti terroristici contro la Serbia con la difesa degli albanesi del Kosovo. Sin dall’inizio dell’intervento Usa/Nato, l’Esercito di liberazione del Kosovo (Uck) ha agito come distaccamento delle forze imperialiste, dando indicazioni agli imperialisti sulle postazioni serbe da bombardare. Pur avendo a lungo appoggiato l’autodeterminazione degli albanesi del Kosovo, abbiamo insistito sul fatto che in quel contesto appoggiare l’Uck poteva significare solo dare appoggio all’attacco imperialista contro la Serbia. Da marxisti ci siamo schierati per la difesa militare della Serbia e per la sconfitta degli imperialisti e dei loro ausiliari dell’Uck.

Sconfiggere l’imperialismo Usa con la rivoluzione socialista!

I battibecchi tra candidati repubblicani e democratici in questa tornata elettorale sull’intervento Usa in Medio Oriente dimostrano chiaramente che i due principali partiti capitalisti condividono un comune interesse a mantenere la supremazia americana in questa regione strategica e ricca di petrolio. Come sempre, le rapine imperialiste all’estero si combinano con una campagna domestica concertata contro i sindacati e contro le conquiste salariali e di assistenza sociale che i lavoratori hanno strappato con dure lotte. Si tratta di mali connaturati al decadimento del sistema capitalista.

La classe operaia americana deve essere conquistata alla convinzione che il suo nemico è la “sua” classe capitalista e che deve opporsi alle aggressioni imperialiste all’estero. Molti lavoratori sono comprensibilmente disgustati dalla brutalità medievale di gruppi come l’Isis. Ma gli orrendi crimini dell’Isis impallidiscono di fronte a quelli dell’imperialismo americano, colpevole del massacro di decine di milioni di persone in tutto il mondo.

L’unico modo in cui si può rovesciare l’oppressione capitalista è quello indicato dalla rivoluzione operaia dell’ottobre del 1917 guidata dal partito bolscevico di Lenin e Trotsky. La Lega comunista internazionale si impegna a riforgiare la Quarta internazionale, il partito mondiale della rivoluzione socialista, lottando per infondere nel proletariato internazionale la consapevolezza del suo compito storico: rovesciare l’ordine imperialista e riorganizzare in tutto il mondo la società su delle basi socialiste egualitarie.

[Tradotto da Workers Vanguard n.1091, 3 giugno 2016.]