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La risposta capitalista alla pandemia: malattia, miseria e repressione

Serve una nuova classe dirigente: gli operai

La pandemia di Covid-19 ha messo in risalto le contraddizioni e la barbarie intrinseche al sistema capitalista. Le classi dominanti hanno completamente ignorato il virus e quando sono state con le spalle al muro hanno reagito creando una catastrofe sanitaria ed economica, con misure rivolte contro la classe operaia ed i poveri il cui obiettivo fondamentale era di preservare i profitti dei capitalisti. A scala mondiale, il bilancio è ormai di più di quattrocentomila morti e di venticinque milioni di disoccupati e rischia di diventare catastrofico con l’estendersi della pandemia ai Paesi semicoloniali dell’Africa, del Sudamerica e dell’Asia dove, a causa del saccheggio dell’imperialismo capitalista, mancano le strutture sanitarie più basilari e le condizioni stesse per una vita decente.

Il periodico sviluppo di epidemie letali dovute a mutazioni virali perseguita la civiltà umana da quando si sono sviluppati parallelamente l’agricoltura, l’allevamento animale e la convivenza di masse numerose in ambienti cittadini ristretti. Le conoscenze scientifiche e la tecnologia attuali, se non consentono ancora di prevenire lo sviluppo di mutazioni virali e l’insorgere di epidemie localizzate, sono in grado di impedire che diventino pandemie globali. Ma il modo in cui vengono affrontate le malattie non è determinato principalmente dalle conoscenze scientifiche, bensì dai rapporti sociali prevalenti. Il mondo attuale è dominato da rapporti sociali capitalisti, in cui una minoranza di proprietari dei mezzi di produzione sfrutta la forza-lavoro dei proletari per i propri profitti. Ogni aspetto della vita sociale deriva da questo fatto fondamentale. La catastrofe del Covid-19 non è dovuta ai limiti della scienza o della tecnologia, o alle scelte più o meno razionali dei diversi governi: è un prodotto del sistema capitalista.

Sotto il capitalismo, il mondo è diviso in Stati nazionali concorrenti e dominato da una manciata di superpotenze imperialiste che lottano tra loro per il controllo di mercati e sfere d’influenza, sfruttando la stragrande maggioranza delle nazioni più povere, mantenendole in uno stato di abietta povertà e impedendone lo sviluppo economico. La lotta anarchica tra i giganteschi monopoli industriali e finanziari per il dominio sui mercati, rende impossibile a priori una risposta razionale e coordinata ad una pandemia mondiale i cui effetti travalicano i confini degli Stati nazionali capitalisti.

Come ogni altra merce, sotto il capitalismo la salute è soggetta alle leggi del profitto: chi ha i soldi, trova in un giorno i migliori medici e chirurghi. Chi non li ha, viene parcheggiato nei pronto soccorso e nelle corsie fatiscenti. La sanità privata ha l’obiettivo di far soldi. La sanità pubblica, che pure è una conquista delle lotte operaie, ha quello di mantenere una forza-lavoro efficiente con la minor spesa possibile. Da questo derivano i tagli che la classe dominante italiana cerca costantemente di imporre alla sanità (37 miliardi e 70 mila posti letto tagliati in dieci anni, blocco del turnover e dei salari). Sotto il capitalismo, anche i sistemi sanitari pubblici nei Paesi imperialisti non saranno mai in grado di pianificare tutte le misure sanitarie e sociali necessarie a prevenire ed affrontare razionalmente pandemie globali. Per una sanità pubblica, gratuita e di qualità per tutti!

Il sistema di produzione capitalista impedisce la mobilitazione delle risorse economiche e umane necessarie alla lotta contro epidemie di vasta scala e scarica i rischi e le sofferenze sui lavoratori. La produzione e la distribuzione di strumenti fondamentali per salvare le vite sono in balia dell’anarchia delle forze di mercato che ingrassano gli speculatori e li mettono fuori dalla portata della classe operaia.

La crisi provocata dal Covid-19 mostra la necessità di un’economia pianificata a scala internazionale da governi operai: la dittatura del proletariato. Per arrivarci, la classe operaia ha bisogno di una direzione rivoluzionaria: dei partiti leninisti d’avanguardia, sezioni di una Quarta internazionale riforgiata, che si impegnino nella lotta per il potere proletario.

Il lockdown capitalista: morte, miseria e disoccupazione

Di fronte al Covid-19, la classe dominante si è dibattuta tra due opzioni: riaprire tutto e subito per evitare la perdita di profitti immediati, o chiudere le attività economiche per evitare che un aggravamento dell’epidemia portasse perdite ancora peggiori nel futuro. Per la classe operaia, che per vivere deve vendere la sua forza-lavoro ai padroni capitalisti, si tratta in entrambi i casi di una catastrofe: l’alternativa tra ammalarsi (e morire) per l’epidemia, o sprofondare nella miseria per la crisi.

L’approccio del governo capitalista italiano ha puntato ad abbassare la curva dei contagi, nel tentativo di impedire il collasso del sistema sanitario che è già insufficiente in condizioni “normali”, lasciando nel frattempo che una parte della popolazione venisse contagiata e morisse, senza sovraccaricare le strutture ospedaliere. Il coronavirus colpisce in modo particolarmente letale le persone anziane e i malati cronici. Questi, per i capitalisti sono una popolazione “in eccesso” da cui non si può estrarre profitto e che si può abbandonare al suo destino. Il disprezzo della borghesia per la popolazione che considera “inutile” è stato tragicamente dimostrato dalle migliaia di anziani sterminati dal virus nelle case di riposo.

Il governo Pd-M5S (così come la Lega e Forza Italia che governano Lombardia e Veneto) ha messo criminalmente in pericolo migliaia di vite ed è responsabile delle sofferenze inflitte alla popolazione e della devastazione economica che è in corso e continuerà dopo l’epidemia. A simboleggiare l’idiozia con cui la classe dominante ha inizialmente cercato di insabbiare il pericolo, il segretario del Pd Zingaretti avrebbe contratto il virus durante un aperitivo organizzato a Milano in nome della “Parola d’ordine: normalità!” Non avendo fatto nessun controllo sanitario in uscita dall’Italia, il governo italiano ha anche contribuito all’esportazione del virus in decine di Paesi, compresi Paesi neocoloniali come la Nigeria, il Brasile o il Messico.

Il lockdown imposto dai capitalisti ha creato una catastrofe sociale. La chiusura di vasti settori dell’economia ha gettato in mezzo alla strada centinaia di migliaia di lavoratori, determinando penuria di merci e servizi essenziali. In assenza di dispositivi di protezione e dei tamponi necessari ad identificare i contagiati, di strutture decenti per la quarantena e di un sistema logistico di sostegno, la misura del confinamento domestico non ha fatto altro che aumentare i contagi. Medici, infermieri e operatori sanitari, privi delle protezioni necessarie, sono stati contagiati e hanno contagiato i loro familiari. E mentre si diceva a tutti di “restare a casa”, gli operai hanno continuato a lavorare senza protezioni adeguate, ammalandosi e diffondendo il virus.

Con la chiusura di scuole, asili e centri di assistenza e con l’imposizione del confinamento domestico, la cura dei malati, dei bambini e degli anziani è ricaduta interamente sulle spalle delle donne, il cui ruolo di serve domestiche destinate ad allevare una nuova generazione di sfruttati, è stato rafforzato dalla crisi. Noi marxisti ci battiamo per la liberazione delle donne con la rivoluzione socialista: la sostituzione della famiglia borghese con la collettivizzazione della cura dei figli, degli anziani e dei lavori domestici. L’epidemia di Covid-19 è stata anche usata per incitare il razzismo anti immigrati: il 7 aprile, i ministri di Maio e Speranza ne hanno approfittato per vietare l’attracco delle navi delle Ong con a bordo immigrati nei porti italiani, dopo che Pd e soci hanno fatto per mesi un’ipocrita campagna elettorale contro il razzismo di Salvini, colpevole di fare quello che faceva prima Minniti e che adesso fa Speranza. La classe operaia deve difendere gli immigrati: pieni diritti di cittadinanza per chiunque arriva in Italia!

Con la scusa dell’emergenza Covid-19, il governo ha schierato massicciamente nelle strade la polizia e l’esercito in vista delle agitazioni sociali inevitabilmente create dalla crisi economica. Polizia, vigili e esercito non servono a combattere le epidemie: sono i corpi di uomini armati che difendono la proprietà e il potere della classe capitalista. Via l’esercito dalle strade!

Il nostro atteggiamento verso le misure prese dai capitalisti non si basa semplicemente sulla difesa dei diritti civili e individuali. Per esempio, non ci opponiamo a misure restrittive quando hanno una chiara valenza sanitaria, come alcune limitazioni degli spostamenti e degli assembramenti o la quarantena dei contagiati. Quando sarà disponibile saremo favorevoli all’obbligo di vaccinazione (gratuita) dal Covid-19, così come siamo favorevoli alla vaccinazione contro tutte le malattie per cui esistono vaccini. Allo stesso tempo sappiamo che l’applicazione delle misure di confinamento e di distanziamento sociale è necessariamente intrisa dei pregiudizi di classe, sesso e razza che sono inseparabili dal capitalismo e che queste misure saranno utilizzate anche contro i lavoratori e gli oppressi. Per questo ci opponiamo con forza agli attacchi al diritto di sciopero e alla repressione di manifestazioni di protesta con il pretesto della lotta al Covid-19.

Epidemia e repressione

La polizia, l’esercito e i decreti anti-coronavirus sono stati usati direttamente contro gli operai e gli oppressi. L’11 marzo, in provincia di Modena, 8 operai del Si Cobas che protestavano per la morte sul lavoro di un collega ghanese sono stati denunciati per “assembramento” e un attivista del Si Cobas, Enrico Semprini, è stato arrestato durante uno sciopero alla Emiliana Serbatoi che, con la scusa del coronavirus, cercava di sostituire lavoratori sindacalizzati con interinali. All’inizio dell’epidemia, i detenuti di decine di carceri si sono ribellati per le oscene condizioni igieniche e il sovraffollamento che li espongono al contagio (nelle carceri italiane sono rinchiusi 60 mila prigionieri dove c’è posto solo per 50 mila) e per il fatto che l’unica misura presa dalle direzioni carcerarie è stata quella di sospendere i colloqui! Le proteste dei detenuti sono state soffocate brutalmente dalla polizia e 12 sono morti nel carcere sant’Anna di Modena e in quello di Rieti.

Molte organizzazioni riformiste considerano poliziotti e affini “lavoratori in divisa” e i dirigenti sindacali li proteggono e li difendono. La Cgil Funzione pubblica di Modena ha oscenamente espresso “piena solidarietà a tutti i poliziotti e alle altre forze dell’ordine che stanno lavorando all’interno del carcere sant’Anna di Modena”, contro i detenuti “che hanno messo a ferro e fuoco la struttura”. Noi comunisti diciamo: poliziotti, vigili e guardie private fuori dai sindacati!

La sinistra riformista si è unita alla campagna di unità nazionale, presentando lo Stato capitalista come un sostegno ai lavoratori nella “lotta all’epidemia”. Il culmine l’hanno raggiunto i maoisti dei Carc che hanno lanciato un grottesco “Appello ai membri delle Forze Armate e delle Forze dell’Ordine italiane” che esortava “Carabinieri, poliziotti, finanzieri (…) agenti della Polizia Penitenziaria” e “Militari delle Forze Armate italiane” a utilizzare la loro “professionalità” per “sostenere le reali necessità dei quartieri delle grandi città e delle zone periferiche”.

Il Partito comunista dei lavoratori (Pcl), si è vantato di aver presentato un esposto alle procure di Bergamo, Brescia, Milano e Roma “nei confronti del governo nazionale (in primis Conte e Speranza), di quello regionale lombardo (in primis Fontana e Gallera) e dei vertici di Confindustria (in primis quella lombarda) relativamente alla mancata creazione di una ‘zona rossa’ almeno nel bergamasco (Alzano Lombardo, Nembro)” nella speranza “di trovare in almeno una delle quattro procure un giudice democratico (o magari ambizioso) che cerchi di sviluppare una inchiesta. In ogni caso questo esposto e una campagna possibile su di esso serviranno almeno a ricordare la vera natura dei padroni al numero più largo di lavoratori, lavoratrici e giovani”. (pclavoratori.it, 10 aprile 2020)

Da decenni la politica dei dirigenti del Pcl non fa che rafforzare le illusioni riformiste per cui lo Stato capitalista può essere uno strumento dei lavoratori, ammesso che la sorte gli faccia incontrare un giudice “democratico (o magari ambizioso)”. In tal caso, il Pcl è ben lieto di appoggiare politicamente questi “giudici democratici” (il caso più recente è quello di Luigi De Magistris a Napoli). La magistratura è uno degli elementi fondamentali di repressione della classe operaia. Lo Stato capitalista non può essere usato a vantaggio della classe operaia: dev’essere spezzato con una rivoluzione socialista e sostituito da organismi di potere del proletariato, come è avvenuto in tutte le rivoluzioni operaie, dalla Comune di Parigi alla Rivoluzione d’ottobre del 1917.

Al coro si è unito anche il minuscolo Nucleo internazionalista d’Italia (Nid’I). Nel suo articolo dedicato al Covid-19 in Italia, il Nid’I non ha speso una sola parola contro la campagna di unità nazionale e non si è opposto né al dispiegamento dell’esercito nelle strade, né alla repressione che ha colpito sindacati, immigrati e detenuti. Al contrario, ha riprodotto fotografie che mostravano il presunto volto umano degli sbirri, con didascalie neutrali come: “L’esercito italiano è stato chiamato per spostare i morti dai magazzini ai crematori” e “la polizia al posto di blocco, in Viale Porpora a Milano, ferma i conducenti durante la quaratena [sic] del marzo 2020”. (internationalist.org, 4 aprile 2020)

La menzogna della “unità nazionale” serve a incatenare gli operai

La disgustosa ipocrisia sul fatto che saremmo tutti “sulla stessa barca” di fronte al coronavirus, serve solo a ingannare gli oppressi, oscurando il conflitto inconciliabile che nella società capitalista contrappone i padroni borghesi ai loro schiavi salariati. I padroni in realtà hanno approfittato della crisi per affossare i contratti sindacali, cancellare ferie e riposi, usare cassa integrazione e licenziamenti e imporre il telelavoro senza tutele contrattuali. Intanto, molti lavoratori (tra cui quelli degli ospedali), facevano straordinari spesso non pagati, senza i minimi dispositivi di protezione necessari!

I burocrati filocapitalisti che si trovano alla testa dei sindacati si sono arruolati nella campagna di “unità nazionale” in difesa dei profitti dei padroni, cercando di legare gli operai alle esigenze dei capitalisti, sia quando i padroni chiedevano di tenere tutto aperto fregandosene di qualsiasi misura protettiva, sia nel periodo del lockdown, quando cercavano di imporre chiusure, cassa integrazione, tagli delle ferie e licenziamenti.

Ancor prima che iniziasse il lockdown, è bastato che il governo chiedesse di sospendere gli scioperi nel settore dei trasporti, perché i dirigenti sindacali traditori cancellassero immediatamente uno sciopero previsto per il 25 febbraio contro i 1.450 licenziamenti di Air Italy e la cassa integrazione di 4 mila dipendenti di Alitalia.

Il 27 febbraio, quando il governo e Confindustria pretendevano la riapertura immediata di tutto, Cgil/Cisl e Uil hanno sottoscritto con Confindustria un appello a “procedere a una rapida normalizzazione, consentendo di riavviare tutte le attività ora bloccate e mettere in condizione le imprese e i lavoratori di tutti i territori di lavorare in modo proficuo e sicuro a beneficio del Paese, evitando di diffondere sui mezzi di informazione una immagine e una percezione, soprattutto nei confronti dei partner internazionali, che rischia di danneggiare durevolmente il nostro Made in Italy e il turismo”.

A metà marzo, in molte aziende gli operai costretti a lavorare senza dispositivi di protezione, hanno scioperato chiedendo misure di protezione adeguate e la chiusura delle attività non essenziali. L’ondata di scioperi ha coinvolto le fabbriche di Arcelor Mittal e di Fca e giganti della logistica come Amazon o il Porto di Genova, costringendo il governo a fare delle concessioni, in parte formali, ai lavoratori. La chiusura delle attività “non essenziali” è servita solo a dare mano libera sulle decisioni a padroni e prefetti, mentre i burocrati sindacali si sono creati un alibi per rinunciare alla lotta per la sicurezza sul lavoro, col risultato che migliaia di lavoratori “non essenziali” hanno perso il lavoro o sono finiti in cassa integrazione.

Per garantire l’adozione delle misure sanitarie necessarie sui posti di lavoro gli operai devono imporre il controllo sindacale su sicurezza e salute: o le attività sono svolte in condizioni adeguate o si ferma la produzione. Nella sanità, i sindacati devono organizzare tutti i lavoratori, mettendo fine alle esternalizzazioni e esigendo l’assunzione a tempo indeterminato dei lavoratori interinali, nuove assunzioni di personale e investimenti massicci che ribaltino i tagli devastanti che hanno ridotto il sistema sanitario a un colabrodo.

La minaccia della disoccupazione di massa renderà molto più difficile lottare per la difesa delle condizioni lavorative e salariali di tutti. Ma l’unico mezzo per contrastarla è la lotta di classe. Per questo serve una nuova direzione dei sindacati, che parta dal fatto che gli interessi della classe operaia e dei padroni sono contrapposti e inconciliabili.

Noi marxisti cerchiamo di allargare la portata politica di queste lotte e di legarle a quelle di altri settori della classe operaia, in difesa anche degli strati di piccola borghesia (negozianti, artigiani, lavoratori autonomi) devastati dalla crisi e destinati ad alimentare le file dei disoccupati. Come spiegò Lev Trotsky nel “Programma di Transizione” (1938):

“Non si tratta di un ‘normale’ conflitto di opposti interessi materiali: si tratta di salvare il proletariato dalla decadenza, dalla demoralizzazione e dalla rovina. E’ una questione di vita o di morte per l’unica classe creatrice e progressiva, e di conseguenza per l’avvenire dell’umanità. Se il capitalismo è incapace di soddisfare le rivendicazioni che scaturiscono inevitabilmente dalle calamità che esso genera, che muoia! La ‘realizzabilità o ‘irrealizzabilità’ in questo caso è una questione di rapporti di forza che si può decidere soltanto con la lotta. Per mezzo di questa lotta, e indipendentemente dai suoi successi pratici immediati, gli operai comprenderanno meglio la necessitò di liquidare la schiavitù capitalista.”

Abbasso l’Unione Europea!

Durante la crisi del Covid-19, le potenze imperialiste hanno cercato di sfruttare l’emergenza per avvantaggiarsi rispetto ai propri rivali, saccheggiando ancor di più le nazioni che opprimono e aumentando lo sfruttamento degli operai nei propri Paesi. Tutti hanno assistito allo spettacolo dei Paesi più ricchi che si appropriavano di strumenti di prevenzione indispensabili, a spese dei loro rivali. Un caso eclatante è stato quello del mezzo milione di tamponi comprati dal Pentagono ad un’azienda bresciana, caricati su un aereo alla base Usa di Aviano e trasportati negli Usa. A sua volta l’Italia ha bloccato la spedizione di 1840 componenti di respiratori diretti alla Grecia, un Paese dipendente più povero.

Una delle ragioni che stanno alla base della sistematica demolizione della sanità pubblica condotta con uguale zelo da governi di “centrosinistra” e “centrodestra” sono le politiche di austerità finanziaria imposte dai diktat dell’Unione Europea (Ue), che nel 2012 sono state sancite introducendo nella Costituzione l’obbligo di pareggio di bilancio.

L’Ue è un consorzio instabile di Stati capitalisti il cui obiettivo consiste nel massimizzare lo sfruttamento della classe operaia nei Paesi membri e nell’imporre la sottomissione economica dei suoi Paesi più poveri (come la Grecia, l’Irlanda, il Portogallo e gli Stati dell’Europa dell’Est) alle potenze imperialiste. L’Ue è finalizzata anche a rafforzare la competitività degli imperialisti europei nei confronti dei loro rivali (gli Usa e il Giappone). Gli Stati Uniti, la superpotenza imperialista predominante, appoggiano l’esistenza dell’Ue e ne sono stati storicamente la forza promotrice come strumento della guerra fredda contro l’Unione Sovietica. Ancora oggi si appropriano di una fetta importante del plusvalore prodotto dagli operai d’Europa e usano l’Ue per mantenere la Germania nella loro orbita e per contrastare la Russia capitalista.

L’imposizione dell’euro ha devastato le condizioni di vita dei lavoratori e avvantaggiato specialmente il capitalismo tedesco. Il controllo sulla valuta è una componente cruciale della sovranità nazionale. Normalmente, i Paesi debitori possono ottenere un po’ di sollievo e ristabilire una certa competitività economica svalutando la loro moneta. Questo non è possibile nell’eurozona, dove i Paesi dipendenti e anche i Paesi imperialisti più deboli come l’Italia, tagliano costantemente l’assistenza sociale o si indebitano a spese degli operai. Istituti come il Recovery Fund o il Meccanismo europeo di stabilità, non sono che enormi prestiti che devono essere ripagati col sangue e il sudore degli operai, con privatizzazioni e svendite di beni pubblici e con tagli ai servizi sociali (come insegna il caso della Grecia).

Il nostro atteggiamento verso l’Ue è di opposizione intransigente: cerchiamo di abbatterla con la lotta internazionalista proletaria. Lottiamo per delle rivoluzioni operaie che portino agli Stati uniti socialisti d’Europa, uniti su base volontaria. Come abbiamo scritto in Spartaco n. 80:

“La classe operaia deve battersi per l’uscita dell’Italia dall’Unione Europea e dall’euro. L’uscita dell’Italia potrebbe far crollare l’Ue e questo sarebbe un vantaggio per tutti i lavoratori e per gli oppressi e un duro colpo per i padroni. La fine dell’Ue non significherebbe la fine del capitalismo internazionale, dello sfruttamento e del razzismo intrinseci a questo sistema di produzione, ma faciliterebbe la lotta di classe dei lavoratori d’Europa, mostrando più chiaramente che il nemico principale contro cui combattere sono i ‘loro’ sfruttatori nazionali. La nostra opposizione all’Ue è parte integrante della nostra prospettiva marxista rivoluzionaria: il rovesciamento del capitalismo a scala globale da parte della classe operaia e la costruzione di un’economica collettivizzata e pianificata a scala mondiale, che consentirà uno sviluppo qualitativo delle forze di produzione e il superamento della divisione in classi della società, il punto di partenza per un ordinamento comunista mondiale.”

Per una sanità comunista

Sotto al capitalismo, crisi pandemiche come quella generata dal Covid-19 significano inevitabilmente miseria per le masse lavoratrici, specialmente nel mondo semicoloniale. Il mare di sofferenze create dal capitalismo non si può svuotare col cucchiaino della filantropia e del “volontariato”, che aiutano a tenere in piedi il sistema dello sfruttamento, mettendo delle pezze per impedire che le sue contraddizioni spingano il proletariato a rivoltarsi. Ma esistono moltissime misure ovvie e razionali che la classe operaia al potere potrebbe attuare immediatamente, migliorando allo stesso tempo le condizioni di vita economiche e sociali. La condizione fondamentale perché ciò sia possibile è l’espropriazione rivoluzionaria della borghesia da parte del proletariato su scala internazionale.

Un governo operaio potrebbe prendere delle misure di limitazione delle libertà individuali in casi in cui fosse necessario per contenere una minaccia alla salute pubblica come quella del Covid-19. Ma queste misure sarebbero parte integrante di una risposta sistematica basata sui mezzi di produzione collettivizzati e sulla pianificazione economica. La chiusura temporanea di alcuni settori produttivi potrebbe essere inevitabile per rallentare o fermare i contagi finché non sia disponibile un vaccino. Ma al contrario dell’anarchia capitalista, uno Stato operaio sarebbe preparato ad affrontare le pandemie.

Solo una sanità comunista sarebbe in grado di affrontare con efficacia crisi sanitarie di portata mondiale. Non si tratta solo del problema di costruire e modernizzare gli ospedali; di produrre grandi quantità di respiratori, tamponi e strumenti di protezione; di sviluppare e testare rapidamente nuovi vaccini e cure antivirali. Una risposta umana alla crisi sanitaria richiederebbe anche delle condizioni di vita che consentano spazi adeguati a tutti i residenti, sanificazione degli ambienti, possibilità di consegna di alimenti e l’eliminazione degli aspetti più barbarici del capitalismo: le prigioni sovraffollate, i centri di detenzione per immigrati, le baraccopoli in cui sono costretti a vivere i rom o i braccianti immigrati.

Una sanità decente non è fatta solo di pillole, iniezioni e bisturi: richiede una casa dignitosa in cui vivere; del cibo abbondante e di buona qualità; la conoscenza della biologia umana; aria respirabile; condizioni di lavoro decenti e sicure; l’applicazione rigorosa dei principi di igiene pubblica. La medicina non è in grado di salvare delle vite rovinate dalla povertà e dalla malnutrizione. Con o senza coronavirus, ogni anno un milione di bambini sotto i 5 anni (soprattutto nei Paesi neocoloniali dell’Africa) muoiono di polmonite, 1 milione e mezzo di persone muoiono di tubercolosi e più di seicentomila d’influenza (per non parlare delle infezioni gastrointestinali, della malaria o dell’Hiv). Nei Paesi coloniali la costruzione degli elementi più basilari del sistema sanitario e delle infrastrutture richiederebbe enormi investimenti e un aumento delle forze produttive a scala internazionale.

La società industriale moderna è in condizione di creare una pianificazione economica mondiale, basata sulle conoscenze scientifiche, e di garantire condizioni di vita e di salute decenti a tutti. Dopo che avremo rovesciato il sistema capitalista con la rivoluzione operaia potremo costruire una società nuova che metterà al centro le vite e la dignità delle persone. I medici potranno finalmente essere al servizio del popolo e non dei portafogli. Gli ospedali saranno rifugi sicuri per i malati. La ricerca di vaccini, di nuovi farmaci e tecniche mediche saranno coordinate internazionalmente a vantaggio di tutti, senza che i ricercatori siano sottoposti all’incubo continuo della precarietà o ai limiti della ricerca per il profitto.

Difendere la Cina!

La Cina, uno Stato operaio burocraticamente deformato, nonostante la sua relativa arretratezza economica e il malgoverno della burocrazia stalinista, ha dimostrato l’enorme superiorità di un’economia basata sulla collettivizzazione e la pianificazione centralizzata. Dopo gli iniziali tentativi di insabbiare i contagi, il governo cinese ha messo in atto molte misure efficaci per sconfiggere il virus. I suoi scienziati hanno rapidamente sequenziato il genoma del coronavirus, rendendo disponibili i dati a tutto il mondo. Nel giro di due settimane, sono stati costruiti dal nulla due nuovi ospedali di terapia intensiva per 2.600 posti letto. Sono arrivati più di 41 mila medici ed infermieri da tutta la Cina. L’intero sistema industriale del Paese è stato mobilitato per sovvenire al fabbisogno di mascherine e respiratori, oltre che alle esigenze vitali di 60 milioni di persone poste in isolamento, aumentando i salari degli operai coinvolti anche di quattro o cinque volte!

Il blocco completo di Wuhan, città di undici milioni di abitanti, ha richiesto che nel giro di pochi giorni fossero organizzati rifornimenti e trasporti dalle altre regioni della Cina, con una generale riorganizzazione delle reti logistiche. Appena disponibili, i tamponi sono stati eseguiti massicciamente su tutta la popolazione (a differenza degli Stati capitalisti, che hanno testato soltanto i pazienti più gravi, specialmente nelle prime fasi del contagio).

Le immagini di medici e infermieri cinesi, attrezzati con sistemi di protezione avanzati, hanno fatto il giro del mondo, straordinario contraltare agli sforzi di medici e infermieri in Europa e America, costretti spesso ad arrangiarsi con sacchi della pattumiera o mascherine già usate. Risultato: in Italia più del 10 percento del personale sanitario è stato contagiato e gli ospedali sono diventati centri di diffusione della malattia.

La risposta cinese non è dovuta alla lungimiranza della burocrazia stalinista, ma alla natura di classe dello Stato e della società cinesi. La Cina non è capitalista, ma il prodotto della Rivoluzione del 1949, che ha espropriato la classe capitalista e posto le basi per un’economia pianificata che si è tradotta in un colossale miglioramento delle condizioni di vita di operai e contadini. Nonostante la penetrazione economica imperialista negli ultimi decenni, lo Stato cinese si basa sul nucleo collettivizzato dell’economia (industria pesante, settore energetico e minerario, finanza). La burocrazia stalinista che, fin dalla Rivoluzione del 1949, ha sottratto al proletariato il potere politico, è una casta parassitaria che si avvantaggia delle forme di proprietà collettive. Sia il tentativo di nascondere il contagio, sia la vittoria sull’epidemia, sono state condizionate dalla paura della reazione della classe operaia ad una crisi sociale ed economica.

La retorica del governo cinese sulla costruzione del “socialismo con caratteristiche cinesi”, è una versione dell’utopia reazionaria secondo cui si può costruire il “socialismo in un Paese solo”. La costruzione del socialismo, un’economia collettivizzata e pianificata che cerca di massimizzare la produttività del lavoro e la ricchezza sociale, è possibile solo su scala mondiale. Noi trotskisti ci battiamo per la difesa militare incondizionata della Cina dalla controrivoluzione capitalista, senza dare alcun sostegno politico alla burocrazia del Pcc. La nostra prospettiva è quella di una rivoluzione politica proletaria in Cina che porti al potere consigli operai e contadini basati sul programma dell’internazionalismo proletario, in lotta per l’estensione internazionale della rivoluzione socialista.

I governi imperialisti, dalla superpotenza americana all’Italia, hanno lanciato un’escalation mediatica, economica e in prospettiva militare contro la Cina, che hanno accusato falsamente di essere “responsabile” dell’epidemia. L’Ue ha spinto l’Organizzazione mondiale della sanità (l’Oms, che a gennaio aveva lodato la Cina per la sua lotta al Covid-19) ad approvare l’istituzione di una commissione di inchiesta internazionale nel tentativo di attribuire alla Cina le responsabilità della pandemia.

L’Oms si spaccia per un organismo neutrale e sovranazionale, ma è una delle varie facciate “democratiche” degli imperialisti. Tra i suoi principali finanziatori ci sono la fondazione Bill e Melinda Gates e il governo americano. L’Oms è stata creata nel 1948 in funzione antisovietica. Quanto alla natura delle sue inchieste, basta ricordare che dopo il terremoto di Haiti del 2010 l’Oms ha appoggiato il tentativo dell’Onu di nascondere il fatto che le truppe “di pace” dell’Onu erano state l’origine di una gigantesca epidemia di colera. Nel 2013 un rapporto dell’Oms ha insabbiato l’impatto delle munizioni ad uranio impoverito degli Usa sulle malattie congenite dei neonati in Iraq. L’isteria anticinese esprime la volontà degli imperialisti di rovesciare le conquiste della Rivoluzione del 1949.

La maggior parte dei gruppi che si richiamano falsamente al marxismo o al trotskismo, si oppongono ferocemente alla difesa delle conquiste della Rivoluzione cinese e si sono uniti ai media capitalisti nel denigrare la lotta della Cina al coronavirus. Il Partito comunista dei lavoratori descrive falsamente la Cina come una “superpotenza imperialista” alla ricerca del dominio sul mondo.

Socialismo o barbarie

La crisi del coronavirus sta creando milioni di nuovi disoccupati, che faranno fatica a nutrire sé stessi e le loro famiglie. Contro la disoccupazione sia strutturale sia congiunturale, bisogna lanciare la parola d'ordine della scala mobile delle ore di lavoro. I sindacati e le altre organizzazioni di massa devono unire coloro che hanno lavoro e coloro che non lo hanno: il lavoro dev’essere suddiviso tra tutti gli operai e su questa base definita la durata della settimana lavorativa. Il salario di ogni operaio deve restare lo stesso della vecchia settimana lavorativa. I salari, con un minimo rigorosamente garantito, devono seguire il movimento dei prezzi. La rivendicazione di una scala mobile di orari e salari, dev’essere accompagnata da quella di un vasto piano di opere pubbliche sotto controllo operaio e della nazionalizzazione dei grandi monopoli industriali e finanziari che dominano l’economia. Tuttavia, perché queste esigenze fondamentali siano soddisfatte, gli operai devono prendere nelle loro mani il potere statale con una rivoluzione socialista. Come scrisse Lev Trotsky nel 1939 ne “Il marxismo e la nostra epoca”:

“E’ qui che inizia il grande compito rivoluzionario. Per liberare la tecnica dalla cabala degli interessi privati e porre il governo al servizio della società, bisogna ‘espropriare gli espropriatori’. Solo una classe potente, interessata alla sua stessa liberazione e opposta agli espropriatori capitalisti è capace di un simile compito. Soltanto in alleanza con un governo proletario, una squadra di tecnici qualificati può costruire un’economia veramente scientifica e veramente razionale, vale a dire socialista (…) Toppe e riforme parziali non servono a nulla. Lo sviluppo storico è giunto ad una di quelle tappe decisive in cui solo l’intervento diretto delle masse è capace di spazzar via gli ostacoli reazionari e di gettare le fondamenta di un nuovo regime. L’abolizione della proprietà privata dei mezzi di produzione è la prima condizione di un’economia pianificata, vale a dire dell’ingresso della ragione nel dominio dei rapporti tra gli uomini, prima a scala nazionale e poi mondiale.”

Noi della Lega trotskista d’Italia ci battiamo per portare alla classe operaia la coscienza del suo ruolo storico: seppellire il sistema dello sfruttamento capitalista e costruire una società socialista egualitaria di benessere e civiltà, attraverso la costruzione di un partito operaio rivoluzionario, parte di una Quarta internazionale riforgiata.