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Spartaco n. 82

Ottobre 2018

Lega/M5s intensificano la guerra del Pd agli immigrati

La classe operaia deve difendere gli immigrati

L’Unione Europea è nemica di operai e immigrati!

Il governo di Lega e Cinque stelle (M5s) ha iniziato dalla cosa che sa far meglio: prendersela con gli immigrati, le minoranze e i poveri. Il 2 giugno, giorno successivo all’insediamento del governo, Matteo Salvini ha tuonato: “per gli immigrati clandestini è finita la pacchia” minacciando di deportare in massa centinaia di migliaia di persone. In seguito ha annunciato di voler schedare e smantellare gli insediamenti della popolazione rom, ghettizzata e oppressa. Infine ha minacciato di sgomberare tutte le case occupate “abusivamente” da famiglie povere, perché “la proprietà privata è SACRA”.

Il governo ha fatto la faccia feroce con i profughi, prendendo in ostaggio centinaia di immigrati messi in salvo dalle navi Aquarius e Diciotti sperando di dirottarli verso altri Paesi dell’Unione Europea (Ue) minacciando la chiusura dei porti italiani alle navi cariche di immigrati. L’arroganza del governo non ha tardato ad incoraggiare gli assassini razzisti: il 3 giugno, Sacko Soumaila, un bracciante maliano di 29 anni attivista dell’Unione sindacale di base (Usb) è stato ucciso a fucilate in una fabbrica abbandonata mentre cercava lamiere per costruire le baracche per i suoi compagni di lavoro.

Mettendo nel mirino i profughi e i rom, il governo punta a colpire i cinque milioni di lavoratori immigrati che sono parte integrante della classe operaia di questo Paese, ma cui tutti i governi succedutisi negli ultimi vent’anni hanno negato l’accesso alla cittadinanza, compreso il defunto governo del Partito democratico (Pd), che si è distinto per aver negato lo ius soli ai figli degli immigrati nati in Italia! Se riuscisse a emarginare e isolare i lavoratori immigrati, il governo Lega/M5s porrebbe le basi per peggiorare ulteriormente le condizioni di lavoro e i salari di tutti gli operai.

I governi capitalisti usano la demagogia e il terrorismo contro gli immigrati per dividere la classe operaia e impedire che riesca a lottare unita contro l’offensiva capitalista. Lo slogan di Lega e M5s, “prima gli italiani”, serve soltanto a impedire che gli operai italiani si schierino in difesa dei loro fratelli di classe immigrati, lottando per migliorare le condizioni di tutti. Lo sciovinismo anti-immigrati è uno dei fattori principali che hanno incatenato la classe operaia italiana.

Se tanti operai hanno abboccato all’amo di chi dà la colpa di povertà e disoccupazione non ai padroni capitalisti e al loro sistema di sfruttamento, ma agli immigrati che “rubano” il lavoro, la responsabilità principale è dei politicanti “di sinistra” e dei dirigenti sindacali traditori, che hanno contribuito a paralizzare qualsiasi resistenza di classe, mentre i loro amici del Pd al governo smantellavano pezzo a pezzo le conquiste delle lotte operaie del passato. La vittoria di Lega e M5s ha espresso il rifiuto di massa da parte di strati popolari della politica di austerità e miseria imposta per anni dal Pd e dall’Unione Europea, che sono stati i principali pilastri di un decennio di povertà e supersfruttamento, imposti con la legge Fornero, il Jobs Act, il congelamento per anni di assunzioni e stipendi nel pubblico impiego, ecc.

Le moine “antirazziste” del Pd all’opposizione non devono ingannare. Il Pd è un partito capitalista, che vuole tornare alla guida del comitato di affari della classe dominante (il governo) e tenere in piedi la baracca reazionaria dell’Ue.

Le politiche di Salvini e Di Maio contro gli immigrati sono in continuità con quelle del Pd e dei governi di “centrosinistra” che lo hanno preceduto, a partire dal governo Prodi che nel 1998, con l’appoggio di Rifondazione comunista, introdusse la legge Turco-Napolitano, capostipite delle attuali leggi razziste. Il 12 aprile del 2017 il parlamento a maggioranza Pd approvò il decreto Minniti-Orlando, che ha indurito la famigerata legge Bossi-Fini, estendendo la rete di centri di detenzione per i migranti irregolari e riducendo le possibilità legali dei richiedenti asilo. Il 28 giugno dello stesso anno ha minacciato di bloccare l’accesso ai porti italiani alle navi delle Ong. Prima delle ultime elezioni, il Pd si vantava di aver ridotto del 70 percento gli sbarchi di immigrati:

“va ricordata l’approvazione del decreto migranti a inizio anno, con [sic] ha portato a una stretta sui rimpatri; il 2 febbraio, invece, viene firmato un memorandum con il primo ministro libico Fayez Al-Serraj per il contrasto ai flussi migratori clandestini, i cui punti salienti sono stati il maggiore controllo dei confini libici e il supporto tecnico agli organismi locali che si occupano di contrastare il traffico di esseri umani. Uno dei punti chiave per la riduzione dei flussi è stata inoltre la creazione di centri in Africa dove identificare i migranti.” (democratica.com, 23 dicembre 2017)

Sia il governo del Pd che quello attuale hanno cercato di imporre alle varie fazioni che si contendono il potere in Libia di agire da guardie confinarie per l’Italia, impedendo la partenza degli immigrati e rinchiudendoli in campi di prigionia dove spesso vengono venduti come schiavi. L’Italia ha fornito navi e armi al governo fantoccio di Al Serraj, ne addestra le forze e mantiene un contingente di 400 soldati a Misurata. L’obiettivo del Pd e del governo attuale non è solo quello di impedire l’immigrazione, ma di ricostruire il ruolo di primo sfruttatore imperialista delle risorse libiche, soprattutto gli idrocarburi, storicamente svolto dall’Italia. Un ruolo costruito in un secolo di sanguinosa oppressione del popolo libico, ma minacciato dai suoi rivali imperialisti dopo la devastazione del Paese con i bombardamenti Nato del 2011. Fuori le truppe italiane da Libia e Niger!

Pieni diritti di cittadinanza per tutti gli immigrati!

L’immigrazione di lavoratori dai Paesi dell’Africa e dell’Asia, le cui economie sono state devastate da decenni di dominio e sfruttamento imperialista, è usata dalle classi dominanti come un rubinetto di manodopera a basso costo, ricattabile e senza diritti. La loro politica si fonda su due pilastri. Il primo è il controllo sui flussi d’immigrazione in funzione degli alti e bassi dell’economia capitalista. Il secondo consiste nel mantenere i lavoratori immigrati come una popolazione segregata, priva dei “diritti” dei lavoratori nativi, per poterli sfruttare doppiamente e peggiorare le condizioni di tutti.

Non può esserci compromesso tra il programma internazionalista di cui il proletariato ha bisogno per lottare per il potere (e anche solo per condurre lotte difensive in quest’epoca imperialista) e l’accettazione del veleno razzista che divide la classe operaia e aiuta i padroni!

Noi della Lega comunista internazionale ci battiamo perché chiunque riesca a mettere piede in un Paese abbia pieni diritti di cittadinanza, indipendentemente da come ci è arrivato o se abbia o meno documenti “in regola”. Ci opponiamo a tutte le forme di violenza e di repressione poliziesca contro gli immigrati e facciamo appello ai sindacati a battersi per impedire le deportazioni. Infine, pensiamo che si debba lottare contro le innumerevoli forme di oppressione razzista della popolazione immigrata, ad esempio l’oppressione della minoranza musulmana, costantemente criminalizzata in tutte le sue espressioni. Queste rivendicazioni sono fondamentali per costruire l’unità della classe operaia.

Il nuovo governo (come il vecchio) usa la povertà e la disoccupazione come leva per cercare di scatenare una guerra tra poveri contro gli immigrati. La disoccupazione dev’essere combattuta rivendicando la suddivisione del lavoro tra tutta la manodopera disponibile, con un netto accorciamento della settimana lavorativa e senza diminuzioni salariali. Bisogna far piazza pulita di agenzie interinali, cooperative e caporali vari e rivendicare posti di lavoro a tempo indeterminato e con piene tutele sindacali. Il governo “del cambiamento” e “della dignità” è un governo capitalista e risponderà che i soldi non ci sono (perché non devono uscire dalle tasche dei padroni). Ma se il capitalismo non è capace di garantirea tutti un lavoro e una vita decenti, significa che deve essere abolito e sostituito da un sistema sociale nuovo, un’economia collettivizzata che metta le enormi risorse e capacità tecnologiche della società al servizio di tutti, anche nei Paesi semicoloniali.

L’Ue: nemica degli operai e degli immigrati

Sin dalla sua formazione, il nuovo governo è stato osteggiato dall’Ue, che non tollera che si metta in discussione l’ordinamento monetario e finanziario che sancisce il predominio dei paesi imperialisti al centro dell’Ue. Le banche europee e italiane che detengono il debito pubblico del Paese, vogliono che ogni centesimo estratto dalla polazione vada a finire nelle loro casseforti e che niente minacci l’esistenza dell’Ue. Ogni volta che il governo osa accennare ad un aumento della spesa pubblica, le borse vendono titoli di Stato italiani e i politici filo Ue agitano lo spauracchio dello spread per mettere sotto pressione il governo.

La crescita della Lega in Italia, degli Orban, dei Le Pen e delle altre forze di estrema destra in Europa spaventa l’alta finanza e il grande capitale non per il loro odio verso gli immigrati e gli operai, ma perché minacciano di far crollare l’edificio dell’Ue con le loro politiche nazionaliste di destra.

Noi ci siamo sempre opposti per principio all’Ue e all’euro, non perché intendiamo proporre una politica alternativa per i capitalisti, ma sulla base dei principi rivoluzionari, proletari e internazionalisti del marxismo e nella prospettiva degli Stati uniti socialisti d’Europa. Come abbiamo scritto in Spartaco n. 80 (settembre 2017):

“La classe operaia deve battersi per l’uscita dell’Italia dall’Unione Europea e dall’euro. L’uscita dell’Italia potrebbe far crollare l’Ue e questo sarebbe un vantaggio per tutti i lavoratori e per gli oppressi e un duro colpo per i padroni. La fine dell’Ue non significherebbe la fine del capitalismo internazionale, dello sfruttamento e del razzismo intrinseci a questo sistema di produzione, ma faciliterebbe la lotta di classe dei lavoratori d’Europa, mostrando più chiaramente che il nemico principale contro cui combattere sono i ‘loro’ sfruttatori nazionali.”

La ragion d’essere dell’Ue è il rafforzamento sui mercati mondiali della posizione delle sue potenze imperialiste, principalmente la Germania, rispetto ai rivali americani e giapponesi, aumentando la loro competitività e con questa lo sfruttamento della classe operaia. Anche la classe dominante italiana ha tratto grandi vantaggi dalla partecipazione all’Ue (anche se l’economia italiana ha perso molto terreno nella competizione con il suo più forte rivale tedesco). L’Ue è servita a smantellare lo “Stato sociale”, l’insieme delle conquiste strappate nel secondo dopoguerra, quando gli imperialisti avevano bisogno di tenere sotto controllo la classe operaia nel quadro della Guerra Fredda contro l’Urss. A partire dal 1992-93, i capitalisti hanno lanciato una costante offensiva per riprendersi quelli che per loro erano solo dei “costi aggiuntivi” ormai inutili. Vent’anni di partecipazioni a governi capitalisti che hanno attaccato duramente gli operai e che sono stati responsabili della miseria imposta dall’Ue e dall’euro, hanno completamente discreditato le forze riformiste che si spacciavano come “la sinistra”, tanto che oggi non esiste in parlamento nessun partito che pretenda di rappresentare la classe operaia.

Il Pd è la forza più ferocemente schierata a difesa dell’Ue, in questo appoggiato da gran parte della sinistra riformista e dai dirigenti traditori dei sindacati. La burocrazia sindacale difende accanitamente l’Ue spacciandola per un baluardo a difesa dei “diritti” degli operai. E’ vero l’opposto. I capitalisti italiani hanno tratto enormi profitti dall’ingresso nell’Ue, che ha consentito loro di partecipare al saccheggio dell’Europa orientale e meridionale. Gli operai d’Europa sono stati devastati.

Per esempio nella primavera del 2017, dopo gli scioperi dei controllori di volo in Francia e in Italia, le principali compagnie aeree hanno chiesto che l’Ue impedisse altri scioperi e Ryanair ha accusato la Commissione europea (Ce) di “restare a guardare mentre i sindacati dei controllori di volo tengono in ostaggio l’Europa”. Così l’otto giugno la Ce ha pubblicato una serie di misure antisciopero volte a garantire “la continuità dei servizi aerei al 100 percento per i voli che attraversano lo spazio aereo di Stati membri colpiti da scioperi”. Già nel 2014, la Ue ha cercato di distruggere i sindacati dei portuali spagnoli per aver leso la “libertà d’impresa”.

Salvini e Di Maio hanno respinto le navi delle Ong e sequestrato i profughi per spingere la Germania e la Francia ad imporre una diversa ripartizione dei profughi nell’Ue e una revisione degli accordi di “Dublino III” che definiscono quali Paesi debbano gestire le domande d’asilo, ovvero quali Paesi debbano detenerli o deportarli.

Da anni, la borghesia italiana invoca la revisione di questi accordi, che dal suo punto di vista impediscono all’Italia di disfarsi di qualche migliaio di immigrati verso altri paesi dell’Ue e che sanciscono il predominio nell’Ue dei Paesi dell’Europa centro-settentrionale nel governare i flussi d’immigrazione. Molti gruppi liberali e riformisti, come Potere al popolo o Rifondazione comunista, hanno preso di mira particolarmente gli accordi di “Dublino III”, che per loro sono fonte di imbarazzo perché smascherano il mito della “libera circolazione” associata agli accordi di Schengen e alla leggenda di una cosiddetta Europa sociale. Noi non prendiamo posizione riguardo all’allocazione dei profughi. Invece ci opponiamo a tutte le deportazioni, indipendentemente da quale sia la legge che le disciplina. Ci opponiamo all’intero costrutto dell’Ue e non vogliamo fare del bricolage per migliorarne gli accordi.

Il conflitto in risposta alla crisi dei profughi ha fatto luce sulla realtà dell’Ue, un consorzio di Stati nazionali capitalisti, con interessi propri e fondamentalmente inconciliabili. L’Ue non è un super-Stato paneuropeo e non esiste una “cittadinanza” europea. L’Ue si basa per definizione sulla sospensione dei confini interni per i movimenti di capitali, in modo da facilitare agli Stati più potenti il saccheggio di quelli economicamente più deboli, come la Grecia o i Paesi dell’Europa orientale. Gli Accordi di Schengen non hanno mai significato la “libera circolazione” delle persone. La “libera circolazione” non c’è mai stata per chi ha la pelle scura, un passaporto dell’Europa dell’Est o appartiene al popolo rom. Nel solo 2017, la Francia “liberale” di Macron, ha respinto più di 45 mila persone alle dogane di Bardonecchia e Ventimiglia, fregandosene di Schengen e Dublino, ma basandosi solo sul colore della pelle. In tutta Europa, gli stati capitalisti non si sono fatti scrupolo di arrestare, rinchiudere o deportare centinaia di migliaia di immigrati extra Ue e di imporre misure restrittive agli stessi cittadini dei paesi Ue dell’Europa dell’Est. E’ stato il sistema di Schengen che ha eretto una barriera di navi e di filo spinato ai confini “esterni” dell’Ue, causando la morte di decine di migliaia di immigrati.

La fissazione sulla riforma o abolizione degli Accordi di Dublino rivela solo la politica dei gruppi liberali e riformisti che consiste nel far credere che l’Ue sia una formazione sovranazionale più avanzata e progressista rispetto ai singoli Stati nazionali: una presunta Europa dai confini aperti che ha superato pacificamente i conflitti tra potenze imperialiste che hanno segnato il Novecento. Per questo strillano che qualsiasi rivendicazione di uscita dall’Ue rappresenta un passo indietro verso gli Stati nazionali, come se gli Stati nazionali imperialisti siano scomparsi con la creazione dell’Ue. La richiesta di “apertura delle frontiere” o almeno di “un’Europa senza confini interni” è fatta propria da uno spettro politico che va dalla Chiesa cattolica agli anarchici e ai maoisti. Noi comunisti rifiutiamo decisamente la rivendicazione utopica della “apertura delle frontiere”. Questa rivendicazione esprime la pia illusione che gli Stati capitalisti si dissolvano da sé e che l’oppressione razzista scompaia senza una lotta rivoluzionaria. Ma nel mondo reale serve solo a dare una maschera “umanitaria” all’Ue imperialista.

Le frontiere degli Stati nazionali capitalisti, come la loro polizia, l’esercito, le galere, i tribunali, sono un elemento fondante del dominio di classe. Lo Stato è lo strumento fondamentale con cui la classe dominante, i padroni delle fabbriche, dei mezzi di trasporto e della finanza, mantengono il loro potere sulla classe operaia e tutti gli oppressi. Chiedere alla classe dominante di eliminare le frontiere, di rinunciare alla polizia, alle galere, ecc., serve a disarmare chiunque voglia lottare contro il sistema capitalista, a far credere che il razzismo, le guerre e la violenza poliziesca, possano essere eliminati senza bisogno di una rivoluzione proletaria, senza bisogno di una guerra civile degli sfruttati contro gli sfruttatori.

Inoltre, l’idea che i confini siano sempre necessariamente reazionari è falsa. All’epoca della dominazione coloniale italiana, non c’erano confini tra l’Italia e la Libia o la Croazia! E oggi, la formazione di una repubblica catalana richiederebbe un confine rigido che la separi dalla monarchia castigliana, e delle forze armate che consentano il proprio diritto all’indipendenza contro la repressione spagnola. Come spiegò Lenin, le divisioni nazionali potranno scomparire completamente solo in un futuro comunista:

“Trasformando il capitalismo in socialismo, il proletariato rende possibile la completa soppressione del giogo nazionale; ma questa possibilità diventerà realtà ‘soltanto’ – ‘soltanto’! – quando verrà pienamente instaurata la democrazia in tutti i campi, compresa la completa libertà di separazione. Su questa base, a sua volta, si svilupperà praticamente l’assoluta eliminazione dei sia pur minimi attriti nazionali, della sia pur minima diffidenza nazionale, si avrà un rapido ravvicinamento e la fusione delle nazioni, che verrà coronata dall’estinzione dello Stato.” (“Risultato della discussione sull’autodecisione”, 1916)

Abbasso il protezionismo!

Lega e M5s hanno vinto le elezioni all’insegna del protezionismo, promettendo tagli alle tasse e un “reddito di cittadinanza” che sono visti con speranza da milioni di disoccupati e lavoratori con l’acqua alla gola. Ma la flat tax avvantaggerà ulteriormente i padroni, che potranno intascare profitti senza reinvestirli nella produzione. E il “reddito di cittadinanza” servirà solo a minare i sindacati, elargendo un’elemosina di pura sussistenza a chi rinuncerà a cassa integrazione e mobilità, accetterà contratti di lavoro a qualsiasi condizione o lavori “socialmente utili” che prima avrebbero svolto operai assunti con contratto sindacale. Le misure economiche proposte da Lega e M5s non faranno che approfondire lo sfruttamento e la povertà della classe operaia.

Il governo ha anche minacciato l’introduzione di misure protezioniste. A giugno, Salvini ha affermato: “Abbiamo finito di fare gli zerbini. Bloccheremo le navi col riso asiatico”. Il ministro leghista Centinaio ha preso di mira il Ceta, l’accordo commerciale tra Canada e Ue, perché a suo dire consente di contraffare le glorie patrie dell’export italiano: parmigiano e mozzarella (oltre che i cereali). Da parte sua, Di Maio ha aggiunto che potrebbe introdurre dei dazi per proteggere i prodotti italiani. Probabilmente, molte di queste minacce sono destinate a restare sulla carta, data la dipendenza del capitalismo italiano dall’export e la sua debolezza (è dura combattere una guerra commerciale a colpi di mozzarella e parmigiano!)

Noi marxisti ci opponiamo al protezionismo economico nei Paesi imperialisti, dove è un’arma con cui i capitalisti cercano di schierare gli operai al loro fianco, aizzandoli contro gli operai delle altre nazioni. In questo modo creano un clima sciovinista in cui sguazzano i gruppi fascisti.

Nel 2010 per spezzare la resistenza degli operai di Pomigliano che si opponevano alle condizioni capestro richieste da Fiat, il fu Marchionne minacciò di trasferire la produzione tra Italia, Polonia e Serbia, cercando di aizzare gli uni contro gli altri gli operai dei diversi Paesi in cui opera Fca. Invece di organizzare una lotta di classe unita degli operai Fiat al di sopra dei confini nazionali, i burocrati sindacali da un lato accettarono le condizioni imposte dalla Fiat, dall’altro si lamentarono che il governo non difendeva il “Made in Italy” e gli interessi nazionali (vedi Spartaco n.73, ottobre 2010).

Sotto il capitalismo non esiste altra base per la spartizione delle ricchezze del mondo tra le classi dominanti che la forza (economica, finanziaria, militare) degli Stati al servizio dei gruppi capitalisti nazionali. Come scrisse Lenin, alla vigilia della Prima guerra mondiale:

“nella realtà capitalista e non nella volgare fantasia filistea dei preti inglesi o del ‘marxista’ tedesco Kautsky, le alleanza ‘inter-imperialiste’ o ‘ultra-imperialiste’ non sono altro che un ‘momento di respiro’ tra una guerra e l’altra, qualsiasi forma assumano dette alleanze, sia quella di una coalizione imperialista contro un’altra coalizione imperialista, sia quella di una lega generale tra tutte le potenze imperialiste. Le alleanze di pace preparano le guerre e a loro volta nascono da queste”. (L’imperialismo, fase suprema del capitalismo, 1916)

Compito della classe operaia è quello di abbattere l’alleanza imperialista dell’Ue con la lotta di classe, per costruire gli Stati uniti socialisti d’Europa, che garantiranno la cooperazione economica del proletariato dei Paesi del continente e saranno una componente decisiva di una rivoluzione mondiale, l’unica vera speranza delle classi lavoratrici del pianeta.

I lavoratori immigrati e la lotta di classe

Gli immigrati non sono vittime indifese, ma una componente crescente della classe operaia in molti settori di importanza strategica per la lotta di classe: le fabbriche metalmeccaniche, i cantieri, i trasporti e la sanità. Spesso sono stati protagonisti di lotte importanti, anzi negli ultimi anni le principali lotte operaie vittoriose in Italia sono state condotte da lavoratori immigrati. I lavoratori immigrati della logistica organizzati principalmente dal Si Cobas sono al centro di importanti battaglie contro le cooperative che lavorano in subappalto per le imprese di trasporti, cui hanno strappato conquiste contrattuali, sindacalizzando un settore che era sotto il tallone dei “caporali” (leggi cooperative). Dal 2016, più di duemila braccianti Sikh che lavorano nelle serre dell’Agro Pontino per salari di 3,5 euro l’ora, hanno scioperato ripetutamente ottenendo una paga di 5 euro l’ora e la sindacalizzazione nella Flai-Cgil.

Di recente, vari episodi hanno portato alla ribalta le condizioni di sfruttamento dei braccianti immigrati. Ai primi di agosto, nella provincia di Foggia, sedici braccianti agricoli immigrati sono morti in due incidenti stradali mentre venivano trasportati stipati come animali su furgoni scassati. In provincia di Padova, una bracciante polacca di 44 anni è stata rinchiusa per due settimane in una cassa di mele dal titolare dell’azienda con cui aveva protestato per le condizioni di lavoro.

Episodi simili sono la punta dell’iceberg delle condizioni di osceno sfruttamento su cui si basa da decenni l’intero comparto agroalimentare. Per un milione e duecentomila operai del settore agricolo, il salario minimo contrattuale è di 7 miseri euro l’ora. Ma la realtà è ben peggio. La metà dei braccianti lavora in nero, a cottimo, sotto il costante ricatto del licenziamento. Gli immigrati, che sono il 36 percento del totale e lavorano in stragrande maggioranza al Nord, vengono pagati 2 o 3 euro l’ora e vivono in condizioni infernali nei ghetti o nelle baracche dispersi nelle campagne. Migliaia di donne del Sud e di braccianti italiani vivono e lavorano in condizioni poco diverse.

Dopo la strage di Foggia, i braccianti immigrati hanno scioperato compattamente nei campi della Puglia, rivendicando migliori condizioni di lavoro, mezzi di trasporto adeguati e la legalizzazione della loro permanenza in Italia. Dopo l’uccisione di Sacko Soumaila, l’Unione sindacale di base, che ha condotto una coraggiosa campagna di sindacalizzazione tra i braccianti immigrati, ha organizzato una manifestazione di protesta a Roma. L’appello a quella manifestazione ha però dimostrato la politica filo-capitalista dei dirigenti del sindacalismo “di base”:

“In campo dovrebbero scendere entrambi i leader al governo, Di Maio per il lavoro e Salvini per l’immigrazione (…) Questa vicenda drammatica interroga il nuovo governo su come intende promuovere il cambiamento: ristabilendo dignità e diritti per chi lavora oppure soffiando sul fuoco della guerra tra poveri e inchinandosi ai vincoli delle politiche comunitarie. Il paese ora ha il fiato sospeso, non sa bene cosa faranno i nuovi ministri e soprattutto se rispetteranno le aspettative suscitate in campagna elettorale.” (“Rompere i vincoli Ue per combattere le disuguaglianze sociali”, contropiano.it)

Fin dall’insediamento del governo, i dirigenti dell’Usb hanno adottato una posizione di appoggio “critico” a Lega e M5s, presentandoli come un passo in avanti in direzione delle esigenze operaie. Una posizione suicida, che lega le mani ai lavoratori consentendo il consolidamento di un governo che è loro mortale nemico. Sul terreno, l’Usb sostiene che il caporalato “si combatte con la prevenzione attraverso il rafforzamento dei Centri per l'impiego e degli ispettori del lavoro, dando loro strumenti adeguati”.

Gli ispettorati del lavoro esistono da decenni e non sono mai serviti ad altro che a dare una vernice di legalità alle forme di sfruttamento più abiette. In questo modo i dirigenti dell’Usb spingono gli operai ad aver fiducia negli strumenti dei loro sfruttatori.

A chiedere allo Stato capitalista di intervenire in difesa degli operai immigrati, non sono solo i burocrati sindacali dell’Usb, ma anche sedicenti marxisti come il Partito comunista dei lavoratori, che rivendica “la requisizione immediata e senza indennizzo delle proprietà di chi usa il caporalato; reato penale per lo sfruttamento del lavoro nero. Il controllo sul territorio non può essere affidato a ispettori dello Stato e prefetture, ma a comitati dei braccianti: sono loro a conoscere chi li sfrutta, sono loro che li possono denunciare” (“La lotta dei braccianti immigrati”, pclavoratori.it, 13 agosto 2018). Pur condannando implicitamente le illusioni negli ispettori del lavoro (che tutti sanno essere una barzelletta), il Pcl ne crea però una ancor peggiore, quella che i “comitati dei braccianti” debbano avere il ruolo di “denunciare” gli sfruttatori alla polizia, consegnando la lotta di classe direttamente agli agenti in divisa dei capitalisti.

La lotta dei braccianti agricoli è una lotta dura e difficile e richiede l’unità di classe di tutti gli operai agricoli, italiani e immigrati, in un unico sindacato. Specialmente in agricoltura, dove i padroni sono tristemente famosi per la loro capacità di dividere gli operai aizzando gruppi etnici e nazionali gli uni contro gli altri, una rivendicazione fondamentale è quella della gestione del collocamento esclusivo attraverso il sindacato. Il monopolio sindacale sulle assunzioni deve sostituire le assunzioni temporanee e la chiamata da parte dei caporali con un sistema basato sull’anzianità, in cui il lavoro sia diviso tra tutti su base equa. Questa rivendicazione, unita a quelle dell’abolizione del cottimo, della giornata di otto ore, delle assunzioni a tempo indeterminato e di stipendi paragonabili a quelli dell’industria, devono essere al centro della lotta. Queste rivendicazioni potranno essere ottenute non attraverso i buoni uffici degli ispettori del lavoro, ma con una lotta di classe dura fatta di scioperi, picchetti e con la formazione di consigli di azienda che impongano le condizioni dei sindacati.

Nel caso degli operai agricoli, a maggior ragione trattandosi di immigrati stagionali, è fondamentale l’aiuto di altri settori operai, come i metalmeccanici dell’Ilva di Taranto o della Fca di Melfi, che stanno a pochi chilometri dai campi di pomodori e che sono a loro volta sotto attacco dai capitalisti. I sindacati dovrebbero schierarsi a fianco delle lotte degli immigrati, lanciando una campagna di sindacalizzazione di tutti i non sindacalizzati e organizzando guardie operaie per difendere gli immigrati dalla violenza padronale e dalle deportazioni. Dai campi del Sud e dai cantieri, fino alle fabbriche metalmeccaniche e i magazzini del Nord, gli operai immigrati sono destinati a svolgere un ruolo cruciale nella lotta di classe e nella rivoluzione socialista in questo Paese, arricchendo la classe operaia con le loro tradizioni di lotta e fornendo un legame fisico all’internazionalismo proletario, come ponte per la rivoluzione socialista verso (e da) i loro paesi d’origine.

Per un partito operaio rivoluzionario multietnico

L’unità della classe operaia al di sopra delle barriere etniche e nazionali richiede la costruzione di un partito operaio rivoluzionario e di una direzione di lotta di classe dei sindacati. Gli attuali dirigenti traditori degli operai fungono da agenti della classe dominante tra i lavoratori: difendono l’esistenza del capitalismo e cercano di ottenere dai padroni briciole per un sottile strato di operai qualificati e privilegiati. Una parte integrante del loro appoggio alla proprietà privata dei mezzi di produzione è il sostegno alla competitività delle aziende della loro borghesia nazionale, che implica necessariamente appoggiare il nazionalismo borghese.

Per guidare la classe operaia internazionale serve un partito rivoluzionario basato sui principi internazionalisti del marxismo. Un partito di questo tipo agirebbe, nelle celebri parole di V.I. Lenin, il leader della Rivoluzione d’Ottobre del 1917 in Russia, come un tribuno del popolo, che sappia:

“reagire contro ogni manifestazione di arbitrio e di oppressione, ovunque essa si manifesti e qualunque sia la classe o la categoria sociale che ne soffre, sa generalizzare tutti questi fatti e trarne il quadro completo della violenza poliziesca e dello sfruttamento capitalistico; sa, infine, approfittare di ogni minima occasione per esporre dinanzi a tutti le proprie convinzioni socialiste e le proprie rivendicazioni democratiche, per spiegare a tutti l’importanza storica mondiale della lotta emancipatrice del proletariato”. (Che fare?, 1902)

Noi della Lega trotskista d’Italia, sezione della Lega comunista internazionale, ci battiamo per costruire questo partito. Unisciti a noi!

 

Spartaco N. 82

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