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Spartaco n. 70

Ottobre 2008

Trotskismo contro castrismo

Difendere la Rivoluzione cubana! Per la rivoluzione politica operaia!

Dal momento in cui il governo di Fidel Castro espropriò la classe capitalista cu-bana nel 1960, stabi-lendo uno Stato ope-raio burocratica-mente deformato, la classe dominante sta-tunitense ha cercato continuamente di ro-vesciare la Rivoluzio-ne cubana e di ris-tabilire la dittatura della borghesia: dalla invasione della Baia dei Porci (Playa Giron) del 1961, ai ripetuti tentativi di assassinare Castro, al finanziamento dei terroristi controrivo-luzionari di Miami, per finire con l’embargo economico permanente. L’eliminazione del dominio di classe dei capitalisti a Cuba portò a delle gigantesche conquiste per i lavoratori dell’isola. L’economia pianificata centralizzata garantì a tutti un lavoro, una casa decente, cibo e istruzione. Oggi i cubani hanno uno dei tassi di alfabetizzazione più alti del mondo. Le donne soprattutto guadagnarono dalla rivoluzione: il dominio della Chiesa cattolica fu spezzato e l’aborto è diventato un servizio sanitario gratuito. Nonostante gli effetti distruttivi dell’embargo imposto dagli Usa, il sistema sanitario gratuito continua a essere di gran lunga il migliore nei paesi sottosviluppati. La mortalità infantile è più bassa che in molte parti del “primo mondo” e a Cuba ci sono più medici e insegnanti pro capite che in qualsiasi altro paese del mondo.

Come trotskisti (vale a dire, marxisti autentici) ci battiamo per la difesa militare incondizionata dello Stato operaio deformato cubano (e degli altri Stati operai deformati rimanenti: Cina, Corea del Nord e Vietnam), dagli attacchi imperialisti e dalla controrivoluzione capitalista. Ci opponiamo all’embargo economico Usa, un palese atto di guerra e chiediamo il ritiro immediato di tutte le forze americane dalla Baia di Guantanamo. Appoggiamo in pieno il diritto di Cuba a commerciare e mantenere relazioni diplomatiche con gli Stati capitalisti, pur essendo consapevoli che un’ala degli imperialisti Usa, rappresentata dai politicanti democratici stile Barack Obama, considera l’allentamento dell’embargo commerciale e dell’isolamento economico di Cuba un mezzo più efficace per rovesciare lo Stato operaio deformato cubano. Questa è la politica che seguono da tempo i governi dell’Europa occidentale e quello canadese. La nostra difesa della Rivoluzione cubana si basa sull’internazionalismo proletario, di cui parte essenziale è la lotta per la rivolu-zione socialista negli Stati Uniti e negli altri paesi capitalisti avanzati.

Il regime cubano capeggiato da Fidel Castro, ora con l’assistenza del fratello Raúl, è fondamentalmente nazionalista e per-segue il dogma sta-linista della costru-zione del “socialis-mo in un paese solo”, che nega implicitamente la necessità della rivo-luzione proletaria internazionale, non solo in America Latina, ma soprattutto nel mondo capitalista avanzato, compresi gli Stati Uniti. Come spiegheremo, il regime cubano si è opposto ripetutamente alla necessità di rovesciare i rapporti di proprietà capitalisti, ad esempio in Cile o in Nicaragua.

Il regime cubano è qualitativamente simile a quello emerso in Unione Sovietica dopo l’usurpazione del potere politico da parte della burocrazia stalinista, in quella che fu una controrivoluzione politica iniziata nel 1924 e consolidata negli anni successivi. Dopo la Rivoluzione cubana, la Revolutionary Tendency (Rt) del Socialist Workers Party (Swp) americano [Partito socialista operaio, trotskista], si batté a favore di questa concezione programmatica contro la maggioranza interna del Swp, che appoggiò acriticamente delle forze di classe estranee come la guerriglia piccolo-borghese guidata da Castro e Che Guevara. La Rt e la Spartacist League, che ne è l’erede, furono le sole a sostenere che Cuba divenne uno Stato operaio burocraticamente deformato nell’estate-autunno del 1960. Un ulteriore progresso verso il socialismo richiederebbe una rivoluzione supplementare, una rivoluzione politica proletaria che spazzi via la burocrazia di Castro e stabilisca degli organismi di democrazia operaia, installando un regime internazionalista rivoluzionario. Come sosteneva un documento presentato dalla Rt in occasione della conferenza del Swp del 1963:

“La Rivoluzione cubana ha evidenziato la profonda penetrazione del revisionismo nel nostro movimento. Col pretesto di difendere la Rivoluzione cubana, cosa che di per sé è un obbligo per il nostro movimento, si è dato alla direzione e al governo di Castro un pieno appoggio, critico e incondizionato, nonostante la sua natura piccolo-borghese e la sua condotta burocratica. Eppure la storia di opposizione del governo ai diritti democratici degli operai e dei contadini cubani è evidente: esclusione burocratica dei dirigenti democraticamente eletti dal movimento operaio e loro sostituzione con dei burattini stalinisti; soppressione della stampa trotskista; proclamazione di un sistema a partito unico e molti altri esempi. Tutto questo va di pari passo con le prime, gigantesche realizzazioni economiche e sociali compiute dalla Rivoluzione cubana. Perciò i trotskisti sono al contempo i difensori più militanti e incondizionati della Rivoluzione cubana e dello Stato operaio deformato che ne è scaturito contro l’imperialismo. Ma come trotskisti non possiamo dare fiducia o appoggio politico, per quanto critico, a un regime di governo ostile ai principi e alle pratiche più basilari della democrazia operaia, anche se il nostro approccio tattico non è identico a quello che usiamo nei confronti di una casta burocratica consolidata”. (“Verso la rinascita della Quarta internazionale”, riprodotto in Spartacist n.1, febbraio-marzo 1964).

A quarantacinque anni di distanza possiamo dire che quest’analisi e questo programma trotskisti hanno retto alla prova del tempo. La gran parte degli pseudo trotskisti furono colti da entusiasmo per Castro. Pochi altri, come la defunta Socialist Labour League di Gerry Healy in Gran Bretagna negli anni Sessanta, negarono che il capitalismo fosse stato rovesciato a Cuba. Oggi, quelli che un tempo fecero la claque per vari burocrati stalinisti si sono arruolati nella crociata anticomunista in nome della “democrazia”. Il Swp ad esempio, che ha ripudiato da molto tempo il trotskismo, così come i suoi derivati tipo Socialist Action e i loro ex alleati internazionali del Segretariato unificato (Su) [in Italia rappresentato oggi da Sinistra critica], parteci-parono alla campagna dell’imperialismo Usa per distruggere l’Unione Sovietica, appoggiando apertamente le forze della reazione anticomunista. Lo stesso hanno fatto quelli della tendenza Militant di Ted Grant, precursore dell’attuale Tendenza marxista internazionale (Tmi) di Alan Woods [cui appartiene il gruppo di Falcemartello], che oggi si presentano a Cuba come “trotskisti”. Per quanto riguarda Cuba, tutte queste forze continuano a dare appoggio politico al governo di Castro o, peggio, lo attaccano da destra.

Negli ultimi anni, la questione del trotskismo e il ruolo stesso di Leon Trotsky (che insieme a Lenin guidò la Rivoluzione d’Ottobre del 1917), è stata dibattuta nei circoli accademici e altrove a Cuba. Per esempio quattro anni fa il giornale cubano Temas (n. 39-40, ottobre-dicembre 2004) riportò un dibattito sull’argomento “Perché il socialismo è caduto in Europa dell’Est?” in cui vari partecipanti enfatizzarono positivamente le critiche di Trotsky sull’ascesa della burocrazia stalinista. All’inizio dell’anno, la pionieristica opera di Trotsky, La rivoluzione tradita, che analizza l’ascesa dello stalinismo, è stata presentata di fronte ad una platea affollatissima alla Fiera del libro dell’Avana. Celia Hart, figlia di Haydee Santamaria e di Armando Hart, due dirigenti storici della Rivoluzione cubana, si è professata apertamente sostenitrice sia del trotskismo sia del governo cubano.

E’ fondamentale che i giovani e tutti coloro che cercano una strada veramente rivoluzionaria leggano e assimilino il programma internazionalista del trotskismo, che è nettamente contrapposto al revisionismo del Swp, di Socialist Action, del Segretariato unificato, della Tmi ecc. Per questo è necessario ritornare alla teoria della rivoluzione permanente e alla vera storia della Rivoluzione cubana e del regime di Castro.

Lotta per il trotskismo nel Socialist Workers Party

Dopo la vittoria delle forze di Castro nel 1959, la maggioranza del Swp prese ad idolatrare Castro e Guevara come “trotskisti inconsapevoli”. Il giornale del Swp, Militant, ne pubblicava acriticamente i discorsi settimana dopo settimana. Per il Swp, Cuba si era evoluta da un “governo operaio e contadino” in uno Stato operaio sano qualitativamente uguale allo Stato operaio sovietico di Lenin e Trotsky. Ma in un documento del 1960, la Rt evidenziò che si trattava di un “governo operaio e contadino in cui non vi sono né operai né contadini e neppure rappresentanti di partiti operai o contadini indipendenti” (“La Rivoluzione cubana e la teoria marxista”, Marxist Bulletin n. 8).

La linea dell’Swp sulla Rivoluzione cubana rispecchiava l’ondata revisionista che aveva percorso dieci anni prima la Quarta internazionale. La Quarta internazionale, fondata nel 1938 sotto la direzione di Trotsky, era stata profondamente disorientata dalla serie di rovesciamenti del capitalismo sotto direzione stalinista avvenuti dopo la Seconda guerra mondiale. Nel 1949 l’Esercito popolare di liberazione contadino di Mao Zedong strappò il potere al Guomindang borghese di Chiang Kai-shek, ormai al collasso, portando alla creazione di uno Stato operaio deformato. Simili rivolgimenti sociali a base contadina guidati da forze staliniste trionfarono anche in Jugoslavia, Corea del Nord e Vietnam del Nord (per poi estendersi al Sud nel 1975 dopo la sconfitta dell’imperialismo Usa per mano degli operai e contadini vietnamiti). Il capitalismo fu rovesciato in tutta una serie di Stati dell’Europa centrale e orientale occupati dai sovietici alla fine della Seconda guerra mondiale. Anche se i processi avvenuti in ciascun paese furono differenti, tutti erano accomunati dall’assenza della classe operaia come contendente per il potere statale. Il risultato fu la creazione di Stati operai burocraticamente deformati.

Michel Pablo, allora a capo della Quarta internazionale, reagì ai rivolgimenti sociali postbellici ripudiando l’importanza decisiva di una direzione rivoluzionaria cosciente. Pablo affermò che “in ultima analisi il processo oggettivo è l’unico fattore decisivo”. E la “dinamica oggettiva” sembrava garantire rapporti di forza sempre più favorevoli, in cui i partiti comunisti stalinizzati “in certe circostanze possono seguire un orientamento a grandi linee rivoluzionario”. Pablo prevedette che gli Stati operai deformati sarebbero durati “secoli”. I trotskisti si vedevano relegati nel migliore dei casi a fare da gruppo di pressione sui vari partiti stalinisti o socialdemocratici. Questo revisionismo portò alla distruzione della Quarta internazionale nel 1951-53. I revisionisti pablisti furono combattuti dal Swp e dal suo dirigente, James Cannon, per quanto in maniera tardiva, parziale ed essenzialmente sul terreno nazionale del Swp. Nel 1953, il Swp e altre forze anti-pabliste a scala internazionale ruppero con Pablo (si veda “Genesi del pablismo”, Spartacist edizione italiana n. 1, settembre 1975).

Di fronte alla Rivoluzione cubana, il Swp tornò a far proprio il revisionismo di Pablo e giunse alla “riunifica-zione” con i protetti del “Segretariato internazionale”. Il documento di fondazione del “Segretariato unificato della Quarta internazionale” proclamava:

“Come ha acutamente osservato dopo il suo viaggio a Cuba il giornalista radicale americano I.F. Stone, i rivoluzionari cubani sono trotskisti ‘inconsapevoli’. Quando queste correnti e quelle contigue ne prende-ranno pienamente coscienza, il trotskismo diventerà una corrente potente” (“Dynamics of World Revolution Today”, 1963).

Il Swp sosteneva e si aspettava che il futuro sarebbe appartenuto alle guerriglie contadine, che sarebbero diventate il mezzo decisivo per rovesciare il capitalismo:

“Sul percorso di una rivoluzione che inizia con semplici rivendicazioni democratiche e termina con la rottura dei rapporti di proprietà capitalisti, la guerriglia di contadini senza terra e forze semiproletarie, guidate da una direzione decisa a portare fino in fondo la rivoluzione, può svolgere il ruolo decisivo di minare e provocare la caduta di una potenza coloniale o semicoloniale. Questa è una delle principali lezioni che dobbiamo trarre dall’esperienza successiva alla Seconda guerra mondiale. Dev’essere coscientemente integrata nella strategia di costruzione di partiti marxisti rivoluzionari nei paesi coloniali (SWP Political Committee, “For Early Reunification of the World Trotskyist Movement”, SWP Discussion Bulletin, vol. 24, n. 9, aprile 1963).

Contrapponendosi alla maggioranza del Swp, la Revolutionary Tendency affermò, nel suo documento programmatico “Verso la rinascita della Quarta internazionale, progetto di mozione sul movimento mondiale” presentato alla conferenza del Swp del 1963:

“L’esperienza successiva alla Seconda guerra mondiale ha dimostrato che la guerriglia contadina guidata da una direzione piccolo-borghese di per sé può portare solo a dei regimi burocratici anti-operai. La creazione di regimi di questo tipo è avvenuta nelle condizioni della decadenza dell’imperialismo, della demoralizzazione e del disorientamento provocati dai tradimenti stalinisti e dell’assenza di una direzione marxista rivoluzionaria della classe operaia. La rivoluzione coloniale può avere un significato inequivocabilmente progressista solo sotto la direzione del proletariato rivoluzionario. Per i trotskisti introdurre nella loro strategia il revisionismo sulla direzione proletaria della rivoluzione rappresenta una profonda negazione del marxismo-leninismo, per quante pie illusioni si possano poi formulare sulla ‘costruzione di partiti marxisti nei paesi coloniali’. I marxisti devono opporsi decisamente a qualsiasi ac-cettazione avventurista della via guerrigliera contadina al socialismo, storicamente simile al programma e alle tattiche dei Socialisti rivoluzionari che furono combattuti da Lenin. Quest’alternativa sarebbe suicida per gli obiettivi socialisti del movimento e forse anche per gli avventurieri”.

Il Swp stava facendo consapevolmente a pezzi la teoria di Trotsky della rivoluzione permanente, che traccia la strada per l’emancipazione nazionale e sociale dei paesi a sviluppo combinato e diseguale. In questi paesi la borghesia nazionale è legata da milioni di fili agli imperialisti e teme il proletariato. Pertanto è incapace di realizzare i compiti storicamente connessi con le classiche rivoluzioni borghesi come quella inglese o quella francese del diciassettesimo e diciottesimo secolo. L’unica via d’uscita, come disse Trotsky ne La rivoluzione permanente (1930) è la lotta per “la dittatura del proletariato alla testa della nazione soggiogata, soprattutto delle sue masse contadine”. La dittatura del proletariato metterebbe all’ordine del giorno non solo i compiti democratici ma anche quelli socialisti, come la collettivizzazione dell’economia, impartendo un poderoso impulso alla rivoluzione socialista internazionale. Solo la vittoria del proletariato nel mondo capitalista avanzato garantirebbe dalla restaurazione borghese, dando la possibilità di portare a compimento la costruzione del socialismo.

La teoria di Trotsky fu confermata dalla Rivoluzione russa dell’ottobre 1917. Guidati dal Partito bolscevico di Lenin e Trotsky, gli operai rivoluzionari, con l’appoggio dei contadini, rovesciarono il dominio dei capitalisti e dei proprietari terrieri. La forza decisiva dell’insurrezione fu la Guardia rossa, la milizia operaia, insieme alle unità dell’esercito comandate dai consigli di operai e marinai a guida bolscevica. Lo Stato borghese fu spezzato e sostituito da uno Stato operaio basato su organismi di democrazia operaia di massa, i soviet (consigli) elettivi di operai, soldati e contadini. La formazione dell’Internazionale comunista nel 1919 espresse la consapevolezza dei bolscevichi del fatto che la Rivoluzione russa rappresentava solo il primo e reversibile episodio della rivoluzione socialista mondiale (si veda “The Development and Extension of Leon Trotsky’s Theory of Permanent Revolution”, [Lo sviluppo e l’estensione della Teoria della rivoluzione permanente di Lev Trotsky] opuscolo della Lci, aprile 2008).

La Rivoluzione cubana

Sotto la dittatura di Fulgencio Batista, Cuba era praticamente una filiale della mafia americana e della United Fruit Company (basti guardare il film Il Padrino parte II). Quando il Movimento 26 luglio di Fidel Castro entrò all’Avana il giorno di capodanno del 1959, mise in rotta ciò che restava dell’esercito di Batista, ormai profondamente disprezzato dalle masse, isolato dagli strati superiori della società cubana e infine abbandonato anche dagli imperialisti Usa. I comandanti dell’Esercito ribelle erano intellettuali piccolo-borghesi che, negli anni della guerriglia, avevano spezzato i propri vecchi legami con gli elementi dell’opposizione liberale borghese ed erano diventati momentaneamente autonomi dalla borghesia.

Il primo governo di coalizione con dei politici borghesi liberali si formò mentre il vecchio apparato statale borghese era completamente distrutto. Nel 1952 Castro stesso era stato candidato parlamentare del Partido Ortodoxo, un partito borghese. Il Manifesto della Sierra Maestra, scritto nel 1957 dal Movimento 26 luglio, proponeva “elezioni imparziali e democratiche” organizzate da un “governo provvisorio neutrale” e chiedeva la “separazione dell’e-sercito dalla politica”, la libertà di stampa, l’in-dustrializzazione e una riforma agraria basata sul principio della distribuzione delle terre ai contadini (in contrapposizione a delle fattorie collettive): tutte proposte che non mettevano in discussione il dominio capitalista.

Le prime misure intraprese dal governo piccolo-borghese di Castro furono la messa al bando del gioco d’azzardo, la soppressione della prostituzione e la confisca delle proprietà di Batista e dei suoi sgherri. A queste fece seguito una modesta riforma agraria, in linea con la costituzione borghese del 1940. In questo periodo Castro non solo negava di avere qualsiasi intenzione rivoluzionaria, ma condannava esplicitamente il comunismo. Nel maggio del 1959, Castro parlò del comunismo come di un sistema “che risolve il problema economico ma sopprime le libertà, libertà che stanno così a cuore all’essere umano e cui aspira anche il popolo cubano” (citato da Theodore Draper, Castroism: Theory and Practice, 1965). Tutto questo non bastò all’ala anticomunista del suo stesso movimento. Nel giugno del 1959, Castro espulse dal Movimento 26 luglio gli oppositori della riforma agraria.

Il nuovo governo cubano dovette affrontare anche i crescenti tentativi dell’imperialismo Usa di metterlo in ginocchio tramite pressioni economiche e la sprezzante amministrazione Eisenhower non fece nessun tentativo di cooptare il nuovo governo. Ne risultò un processo in cui i dirigenti cubani risposero colpo su colpo agli attacchi imperialisti, contrapponendovi misure sempre più radicali. Quando Eisenhower cercò di ridurre le quote di importazioni di zucchero cubane nel gennaio 1960, Castro firmò un accordo col vice primo ministro sovietico Mikoyan in base al quale l’Urss si impegnava ad acquistare da Cuba un milione di tonnellate di zucchero l’anno. Il rifiuto delle raffinerie di proprietà degli imperialisti di lavorare il greggio russo, accompagnato dalla completa eliminazione delle quote di zucchero cubane da parte di Eisenhower, spinse Castro a nazionalizzare le proprietà americane a Cuba (zuccherifici, compagnie petrolifere, la compagnia elettrica e quella telefonica) nell’agosto del 1960. Nel mese di ottobre il governo nazionalizzò tutte le banche e 382 aziende, l’ottanta per cento dell’industria del paese. Con queste nazionalizzazioni, che liquidarono la borghesia in quanto classe, Cuba divenne uno Stato operaio deformato.

La cristallizzazione di uno Stato operaio deformato non fu però affatto il prodotto inevitabile della vittoria militare dell’Esercito ribelle nel gennaio del 1959. L’esistenza dello Stato operaio degenerato sovietico fornì un modello e, cosa più importante, l’appoggio materiale che rese praticabile questa soluzione. Tuttavia la formazione dello Stato operaio deformato cubano non fu il semplice prodotto dell’alleanza con l’Unione Sovietica, ma il risultato di un processo interno a Cuba. Un altro fattore decisivo nella creazione di uno Stato operaio deformato fu il fatto che il proletariato non era in lotta per il potere.

Se vi fosse stata una classe operaia cosciente e combattiva essa avrebbe polarizzato le forze della guerriglia piccolo-borghese: una parte si sarebbe schierata con gli operai e l’altra sarebbe stata respinta nelle braccia dell’ordinamento borghese. Fu questo che avvenne in Russia nel 1917, quando i bolscevichi conquistarono l’appoggio delle masse contadine, mentre la direzione di destra del partito contadino dei Socialisti rivoluzionari, si schierò col governo capitalista di Kerensky. A Cuba invece il principale partito operaio, il Partito socialista popolare (Psp), stalinista, era votato all’ordinamento capitalista e alla legalità borghese. Il Psp condannò l’attacco di Castro alla caserma Moncada nel 1953 come un “metodo golpista”. Ancora nel giugno del 1958 il Comitato nazionale del Psp faceva appello alla cessazione delle violenze e alla soluzione dello scontro “con elezioni pulite e democratiche, rispettate da tutti, in cui il popolo possa effettivamente decidere col voto e i cui risultati siano onorati e rispettati”.

La situazione cubana fu eccezionale: nella maggioranza dei casi la vittoria militare dei nazionalisti piccolo-borghesi si conclude con il ristabilimento dei loro legami con l’ordinamento borghese. Prendiamo l’esempio dell’Algeria dopo la vittoria del Fronte di liberazione nazionale (Fln), una forza piccolo-borghese che utilizzava un linguaggio radicale, dopo la lunga guerra d’indipendenza con gli imperialisti francesi. Un fattore decisivo tramite cui la Francia riuscì a mantenere l’Algeria nelle condizioni di una neo-colonia fu la ricerca da parte del governo De Gaulle di un approccio più conciliante con i vittoriosi ribelli algerini, concretizzatosi negli accordi di Evian del 1962. E’ assurdo pensare che l’esito della Rivoluzione cubana sia stato il risultato della lungimiranza e delle intenzioni marxiste dei castristi. Parlando della “teoria” della guerriglia contadina di Castro e Guevara, lo storico borghese Theodore Draper commentò che: “La teoria cubana fu una razionalizzazione post facto della risposta improvvisata a eventi che sfuggivano completamente al controllo di Castro”.

La Rivoluzione cubana dimostrò ancora una volta che non esiste nessuna “terza via” tra la dittatura del capitale e quella del proletariato. In questo senso rappresenta una conferma della teoria della rivoluzione permanente. Tuttavia l’essenza della teoria di Trotsky è la necessità che un proletariato cosciente, guidato dalla sua avanguardia, si metta alla testa di tutti gli oppressi nella lotta per il potere e per l’estensione internazionale della rivoluzione. Lo strato che domina lo Stato operaio deformato cubano è una burocrazia parassitaria, creata con la fusione di elementi del vecchio Movimento 26 luglio e del Psp (presto convenientemente purgato degli elementi filo-moscoviti come Aníbal Escalante, considerati leali a un’altra variante del “socialismo in un paese solo”). La Rivoluzione cubana ha confermato in modo nuovo l’affermazione di Trotsky secondo cui la burocrazia stalinista, questa cinghia di trasmissione delle pressioni del mondo borghese sullo Stato operaio, è una formazione piccolo-borghese contraddittoria. Come scrivemmo nell’introduzione del 1973 al Marxist Bulletin n. 8:

“Il nucleo centrale dei castristi poté trasformarsi nella direzione di uno Stato operaio deformato perché, in assenza della democrazia proletaria e dell’egualitarismo di uno Stato costruito direttamente dai lavoratori, non hanno mai dovuto trascendere o modificare in modo fondamentale le loro aspirazioni piccolo-borghesi, limitandosi a trasformarle e riorientarle”.

La lotta per la democrazia operaia

Sia il Socialist Workers Party che il Segretariato unificato, divennero apertamente paladini della repressione del governo castrista contro la classe operaia e la sinistra cubana, compresi i trotskisti cubani. Il Swp e il Su cancellarono la differenza qualitativa tra uno Stato operaio sano, in cui la classe operaia detiene il potere politico, e uno deformato in cui il potere politico è nelle mani di una burocrazia. Anche se di tanto in tanto i dirigenti del Swp come Joseph Hansen ammettevano che non vi erano “forme di democrazia operaia”, lo vedevano come un peccato veniale e in ogni caso la “dinamica oggettiva” avrebbe spinto i castristi a vedere la luce. Si vide in una dichiarazione di Adolfo Gilly, un sostenitore dei pablisti messicani. Pur ammettendo che “Cuba è influenzata dai metodi burocratici e dall’assenza di partecipazione degli operai che caratterizzano gli altri paesi socialisti”, Gilly forniva ugualmente un alibi alla burocrazia, concludendo che “non c’è paese oggi dove ci sia più democrazia che a Cuba” e che “in tutte le situazioni la cosa decisiva è la pressione dal basso, che finisce sempre con l’imporsi, estendendo così il percorso della Rivoluzione cubana” (Monthly Review, ottobre 1964). Sono passati più di quarant’anni e stiamo ancora aspettando!

Per il Swp e il Su era comodo incolpare i quadri del Psp per il burocratismo stalinista, dipingendo Castro e soprattutto Guevara come “trotskisti inconsapevoli”. Ancora oggi Socialist Action (febbraio 2008) sostiene che “il Che era spinto dalla sua concezione della rivoluzione permanente quando lasciò Cuba, deciso a creare ‘due, tre, molti Vietnam’”. Peter Taaffe, il capo del Committee for a Workers’ International, ha recentemente affermato che “Castro nega recisamente (ma a torto, come ha indicato Celia Hart) che Guevara nutrisse ‘simpatie trotskiste’”. Castro deve ben saperlo. Nella sua autobiografia (scritta insieme a Ignacio Ramonet) Castro rispose a una domanda dell’intervistatore dicendo di Guevara: “In verità non l’ho mai sentito parlare di Trotsky. Era leninista e in qualche misura riconosceva persino dei meriti a Stalin, riguardo all’industrializzazione e cose del genere” (La mia vita: un’autobiografia orale, 2007).

Pur essendo un individuo coraggioso, morto combattendo per le sue idee, il guerriglierismo piccolo-borghese di Guevara era contrapposto al leninismo e alla rivoluzione permanente di Trotsky, che si basa sull’internazionalismo proletario. Come abbiamo spiegato in “La mistica della guerriglia” (Workers Vanguard n. 630, 6 ottobre 1995):

“Nonostante lo spirito rivoluzionario del suo grido di battaglia contro l’imperialismo, l’appello di Guevara alla guerriglia contadina su molti fronti rappresentava un netto rifiuto del marxismo, del leninismo e della lotta del proletariato per il potere. (…) Il suo programma politico era essenzialmente elitario, in quanto rifiutava esplicitamente la necessità che i lavoratori esprimessero la loro voce e il loro potere tramite organismi di classe, come i consigli operai (soviet). Le masse dovevano seguire una banda auto nominata di intellettuali piccolo-borghesi radicali, diventati guerrilleros in montagna”.

Il proletariato, numeroso e concentrato nei centri urbani della finanza e della manifattura a contatto diretto e strategico con i mezzi di produzione, dove l’esperienza comune degli operai crea solidarietà e organizzazione, è il solo ad avere il potere sociale e l’interesse di classe di rovesciare il capitalismo. I contadini, che formano una massa di piccoli produttori di merci, sono uno strato piccolo-borghese le cui condizioni di esistenza alimentano una visione provinciale. I loro strati inferiori, i contadini senza terra, gravitano verso la classe operaia, lo strato superiore verso la borghesia. I contadini non possiedono un modo di produzione indipendente e il loro lavoro produttivo si basa sulla proprietà privata di un appezzamento di terreno. O seguono il proletariato o seguono la borghesia.

Anche nelle condizioni più favorevoli, la piccola borghesia contadina è stata capace solo di creare uno Stato operaio burocraticamente deformato. Con la distruzione dello Stato operaio degenerato sovietico e la scomparsa di un canale vitale per spezzare l’accerchiamento imperialista, la breve finestra storica in cui forze piccolo-borghesi poterono rovesciare localmente il dominio capitalista si è ora chiusa.

Guevara aveva un atteggiamento sprezzante verso la democrazia operaia. Nel suo articolo “Il ruolo di un partito marxista-leninista”, affermò che i dirigenti guerriglieri “sulle montagne” erano “ideologicamente proletari”, mentre quelli “in pianura” (vale a dire, nelle città), erano piccolo-borghesi. Da questo trasse la conclusione che “L’Esercito ribelle è l’autentico rappresentante della rivoluzione trionfante”. La politica di Guevara rappresentava una versione particolarmente idealistica e volontaristica dello stalinismo. Ne Il socialismo e l’uomo a Cuba (1965) sostenne che la produttività operaia può essere stimolata più con “incentivi morali” che materiali, condannando come borghese l’aspirazione degli operai a un livello di vita decente. Rifiutando una prospettiva proletaria rivoluzionaria e internazionalista, Guevara accettava il quadro della “costruzione del socialismo” su di una sola isola, piccola, povera e assediata. I trotskisti sanno che solo l’estensione della rivoluzione ai paesi capitalisti avanzati può risolvere il problema della penuria materiale. Guevara caratterizzava la formazione dell’Opposizione di sinistra trotskista contro l’usurpazione politica della rivoluzione da parte di Stalin, come “controrivoluzionaria”.

Il fatto che a Cuba la burocrazia dominante fosse ancora in formazione, rese inizialmente più facile l’intervento dei trotskisti che non negli altri Stati operai deformati. Ciò si riflesse nel fatto che per un periodo un gruppo trotskista ebbe la possibilità di funzionare. Sia la milizia, i Comitati per la difesa della rivoluzione (Cdr), sia i sindacati avevano una base di massa. Si trattava di un’apertura temporanea, che doveva essere verificata. Perciò la Revolutionary Tendency diede al programma della rivoluzione politica a Cuba una formulazione di transizione, dicendo che “Ministri e governo devono rispondere ed essere revocabili dalle organizzazioni democratiche di operai e contadini”.

Lo spartiacque che segnò il consolidamento della burocrazia fu l’arresto dei membri dell’organizzazione trotskista cubana, il Partito operaio rivoluzionario (Por), che apparteneva a una tendenza internazionale guidata da Juan Posadas. Nel maggio del 1961 il governo dell’Avana sequestrò il giornale del Por, Voz Proletaria e distrusse le lastre tipografiche di un’edizione de La rivoluzione permanente di Trotsky. Dal novembre del 1963, cinque militanti di spicco del Por furono arrestati. Erano accusati di diffondere un giornale illegale e di appoggiare il rovesciamento del governo e di criticare Fidel Castro. Furono condannati a nove anni e passarono più di un anno e mezzo in prigione. Nel corso di un viaggio a Cuba nel 1964, un sostenitore di Spartacist affrontò personalmente Guevara sugli arresti. Il compagno insistette sul fatto che le critiche di persone che si battevano per la difesa incondizionata della rivoluzione dovevano essere trattate politicamente e non sopprimendone le idee. Guevara rispose: “Sono d’accordo con quello che dici, ma i trotskisti cubani non sono interni alla rivoluzione, sono solo ‘divisionisti’. (…) Non dico che siano agenti della Cia, non lo sappiamo. Non hanno mai appoggiato la rivoluzione (“Libertà per i trotskisti cubani!”, Spartacist n. 3, gennaio-febbraio 1965).

Era una calunnia deliberata. I membri del Por arrestati avevano partecipato alle attività della rivoluzione già prima del 1959, quando gli stalinisti ancora aspettavano di vedere chi avrebbe vinto. André Alfonso aveva combattuto clandestinamente contro Batista. Ricardo Ferrera aveva combattuto con l’Esercito ribelle fin dall’età di sedici anni. Tra i militanti del Por vi erano membri dei sindacati, dei Cdr e della milizia che si erano mobilitati per difendere Cuba durante la crisi missilistica dell’ottobre del 1962. Guevara, il “trotskista inconsapevole” era in realtà un persecutore ben cosciente dei trotskisti. Nel 1961 attaccò ripetutamente i compagni del Por nel tentativo di costruire un singolo partito (stalinista) unificato a Cuba.

Nonostante le nostre differenze politiche, la tendenza Spartacist fu la prima (se si escludono i posadisti stessi) a difendere i trotskisti cubani e a far conoscere al mondo il loro caso. La direzione del Swp, alla coda dei castristi, non disse nemmeno una parola sugli arresti fin dopo il rilascio dei membri del Por, dopo che ebbero firmato una dichiarazione di capitolazione con cui scioglievano la loro organizzazione. Il deplorevole trattamento riservato dal Swp ecc. ai trotskisti cubani ricorda il silenzio dei pablisti riguardo all’arresto dei trotskisti cinesi da parte di Mao diversi anni prima.

Per l’internazionalismo proletario!

Una delle premesse centrali della rivoluzione permanente, una netta linea di demarcazione tra trotskismo e stalinismo, è la necessità di estendere la rivoluzione da un paese semicoloniale al mondo capitalista avanzato. Essa deriva dalla comprensione della necessità di un’economia pianificata a livello internazionale, che deve necessariamente includere le società materialmente più avanzate. Gli Stati operai non sono minacciati solo dall’intervento imperialista, la cosa forse più decisiva è la penetrazione economica imperialista e il livello di produttività qualitativamente superiore dei paesi capitalisti avanzati. Lenin disse che “finché capitalismo e socialismo esisteranno a fianco a fianco, non potremo vivere in pace. Uno dei due alla fine deve prevalere. Assisteremo al funerale della repubblica sovietica o a quello del capitalismo mondiale” (citato da Trotsky in Storia della Rivoluzione russa). Il catastrofico collasso dell’Unione Sovietica, minata da decenni di malgoverno e di tradimenti stalinisti, ha ribadito la vacuità del tentativo di costruire il “socialismo in un paese solo”. A maggior ragione in un’isola minuscola come Cuba!

Le burocrazie nazionaliste staliniste cercano un accomodamento con gli imperialisti anche a spese degli altri Stati operai (come testimonia la rottura sino-sovietica degli anni Sessanta). In cambio dell’assistenza militare ed economica sovietica, Castro appoggiò la linea internazionale del Cremlino. Ma il leader sovietico Nikita Krusciov fece capire di essere disposto a stipulare un accordo separato con gli Usa a spese di Cuba durante la crisi dei missili del 1962 quando, in risposta alle minacce Usa, ritirò i missili sovietici da Cuba. All’epoca un comunicato della Rt condannò “il ruolo controrivoluzionario dei burocrati del Cremlino” nella crisi dei missili, dicendo che “la falsa politica della direzione di Castro, il suo blocco politico con gli stalinisti, ha fortemente minato questa difesa” (“Dichiarazione sulla crisi cubana, 30 novembre 1962, riprodotta in Marxist Bulletin n. 3, parte I).

Contrariamente al mito diffuso da gran parte della sinistra, la linea cubana non era più “internazionalista” quando Guevara era vivo. Ad esempio, la delegazione cubana alla conferenza di Punta del Este (Uruguay) del 1961, capeggiata da Che Guevara, offrì la distensione agli imperialisti Usa. Come riporta John Gerassi in The Great Fear in Latin America (1965), Guevara disse: “Non possiamo promettere di non esportare il nostro esempio, come ci chiedono gli Stati Uniti, perché l’esempio è una questione di spirito e l’elemento spirituale può attraversare le frontiere. Ma daremo la nostra garanzia che non saranno trasportate armi da Cuba per combattere in qualsiasi paese latinoamericano”.

In effetti l’appoggio cubano alle guerriglie rurali in certe aree dell’America Latina, soprattutto negli anni tra il 1964 e il 1967, fu molto selettivo. In America Latina i castristi appoggiarono diversi regimi nazionalisti borghesi “democratici” che credevano avrebbero fatto da contrap-peso agli imperialisti. La politica estera cubana segue la logica del “socialismo in un paese solo” di Stalin, cioè si oppone alla rivoluzione internazionale nella speranza di sviare l’ostilità degli imperialisti e appoggia quei regimi capitalisti disposti a essere “amichevoli” con il proprio Stato non capitalista. In particolare Castro appoggiò i regimi nazionalisti di Jânio Quadros e di João Goulart in Brasile negli anni Sessanta. Nel 1969 Castro salutò l’avvento della giunta militare peruviana definendola “un gruppo di ufficiali progressisti che svolgono un ruolo rivoluzionario”.

Ma il principale tradimento fu l’appoggio politico di Fidel all’Unidad Popular di Salvador Allende in Cile. Respingendo la necessità della rivoluzione a favore della “via parlamentare al socialismo”, Castro disse nel 1971 che “non vi è mai stata alcuna contraddizione tra le concezioni della Rivoluzione cubana e il percorso intrapreso dal movimento di sinistra e dai partiti operai in Cile”. La coalizione di fronte popolare di Allende con i partiti capitalisti cileni disarmò politicamente la classe operaia, cui fu chiesto di dare fiducia all’esercito “costituzionalista” e alla borghesia “democratica”. Il risultato di questo tradimento fu il sanguinoso golpe militare di Pinochet dell’11 settembre 1973, col massacro di più di 30.000 attivisti sindacali, militanti di sinistra e altri.

Quando le masse nicaraguensi rovesciarono la dittatura di Somoza nel 1979, lo Stato capitalista fu spezzato, aprendo la strada alla rivoluzione sociale. Noi dichiarammo: “Difendere, completare ed estendere la rivoluzione nicaraguense!” Castro invece consigliò al governo sandinista dell’epoca di “evitare gli errori iniziali che abbiamo fatto a Cuba: il rifiuto politico da parte dell’occidente, gli attacchi frontali prematuri alla borghesia, l’isolamento economico”. Nelle condizioni di una “economia mista” sotto la pressione dei contras appoggiati dalla Cia, dieci anni dopo la borghesia nicaraguense poté riprendere il controllo, sconfiggendo la rivoluzione.

Oggi Castro pubblicizza come nuovo rivoluzionario del ventunesimo secolo l’uomo forte capitalista venezuelano Hugo Chávez. A chi vive sull’isola deve sembrare attraente. Si stima che dal 2003 Chávez abbia investito quattro miliardi di dollari a Cuba in diversi settori dell’agricoltura, dell’industria, dei servizi e delle infrastrutture. Nel 2006 gli scambi col Venezuela costituivano il 35,4 per cento del commercio cubano. Grazie all’impennata del prezzo del petrolio, Chávez ha potuto utilizzare parte degli enormi profitti per finanziare una serie di misure sociali interne.

Noi marxisti facciamo appello alla difesa militare del governo di Chávez nell’eventualità di un colpo di Stato sponsorizzato dagli Usa, come nel 2002. Ma non diamo nessun appoggio politico a Chávez. La sinistra riformista perpetua l’illusione che il Venezuela sia “socialista” o sulla strada verso il socialismo. Ma c’è una differenza qualitativa tra Cuba e il Venezuela. A Cuba lo Stato borghese è stato distrutto e la borghesia espropriata in quanto classe. Chávez è giunto al potere tramite un processo elettorale ed è a capo di uno Stato capitalista. La borghesia venezuelana è viva e vegeta e gli imperialisti continuano a fare affari d’oro col Venezuela. Anche se Chávez ha accresciuto la percentuale dello Stato nell’industria petrolifera e in quelle dell’elettricità, del cemento e dell’acciaio, queste parziali nazionalizzazioni non mettono in discussione la proprietà privata capitalista. Misure di questo tipo sono state attuate anche da altri populisti latinoamericani come Lázaro Cárdenas nel Messico degli anni Trenta, Juan Perón in Argentina negli anni Quaranta e Cinquanta o Gamal Abdel Nasser in Egitto negli anni Cinquanta. Ex colonnello dell’esercito, Chávez è un governante bonapartista che usa misure populiste non al fine di attuare, ma di sviare una rivoluzione sociale, legando ancor più saldamente le masse impoverite del Venezuela allo Stato capitalista.

La sinistra filo-castrista cita spesso gli interventi cubani in Africa come prova del suo internazionalismo. Con la fine del colonialismo portoghese in Africa nel 1974-75, l’Angola fu percorsa da un conflitto interno tra forze nazionaliste rivali. I marxisti non parteggiavano per nessuna. Ma quando l’esercito dell’apartheid sudafricano, spalleggiato dagli Usa, invase l’Angola, Cuba inviò delle truppe appoggiate dall’Unione Sovietica per combattere al fianco dei nazionalisti angolani del Mpla e riuscì a sconfiggere le forze sudafricane e i loro alleati angolani. Pur non appoggiando politicamente il Mpla, ci schierammo militarmente con loro e con le forze cubane e i loro consiglieri sovietici, in quella guerra per interposta persona con gli imperialisti americani. Le eroiche battaglie delle truppe cubane scossero il mito dell’invincibilità dell’esercito dell’apartheid, contribuendo a ispirare le rivolte di Soweto del 1976 e le altre lotte delle masse oppresse in Sudafrica. Ma è importante sottolineare che l’obiettivo degli stalinisti cubani e sovietici non fu mai quello di rovesciare il capitalismo in Africa. Oltre al corrotto governo borghese dell’Mpla, Cuba e l’Urss sponsorizzarono anche la brutale dittatura di Mengistu in Etiopia negli anni Settanta. In Sudafrica, dove vive il più numeroso proletariato dell’Africa subsahariana, gli stalinisti hanno appoggiato sin dal 1928 un’alleanza con l’African National Congress (Anc) borghese. Oggi il regime dell’apartheid non esiste più, ma le masse nere restano al fondo della società sotto il regime di neo apartheid governato dall’Anc, dal Partito comunista sudafricano e dai capi della confederazione sindacale Cosatu.

Nonostante Cuba sia nel mirino dell’imperialismo Usa da quasi 50 anni, l’autobiografia di Castro evi-denzia il suo desiderio di realizzare una “distensione” tramite l’ala “pro-gressista” dell’imperialismo america-no, cioè il Partito democratico. Vi sono molti riferimenti positivi ai presidenti del Partito democratico. “[Franklin Delano] Roosevelt, a mio avviso, fu uno dei migliori statisti che il nostro vicino abbia mai avuto. (…) Ho sempre stimato [Jimmy] Carter, lo considero un uomo d’onore, una persona etica. La sua politica nei confronti di Cuba fu costruttiva”. Alla domanda dell’intervistatore se Clinton (che per ben due volte ha indurito l’embargo contro Cuba) fosse “più costruttivo”, Castro risponde: “Sì, non era particolarmente esigente. Ma Clinton ha ereditato tutta una comunità, ha ereditato le campagne contro Cuba e non poteva comportarsi molto meglio”. Anche Kennedy (Baia dei Porci e tutto il resto), riceve un alibi: “Penso che Kennedy fosse un uomo di grande entusiasmo, molto intelligente, carismatico, che cercava di fare cose positive. (...) Autorizzò l’invasione di Playa Girón nel 1961, ma non fu lui a preparare l’operazione, architettata dalla precedente amministrazione di Eisenhower-Nixon”. Castro non fa che ripercorrere le orme degli stalinisti del Cremlino e del Partito comunista degli Usa, che da Roosevelt in poi hanno principalmente appoggiato il Partito democratico capitalista.

Il mondo post-sovietico

I pablisti, sempre sensibili all’opinione pubblica piccolo-borghese, abbandonarono precipitosamente l’entusiasmo per la guerriglia contadina ai primi accenni della seconda Guerra fredda alla fine degli anni Settanta. Votarono per l’instaurazione dei governi di fronte popolare più ferocemente anticomunisti, come quello del “socialista” francese Mitterrand nel 1981. Riecheggiando la campagna per la “democrazia” e i “diritti umani” appoggiarono ogni singolo oppositore del governo sovietico. Tra questi vi era Solidarnosc in Polonia, che negli anni Ottanta fu la punta di lancia della controrivoluzione capitalista in Europa dell’Est. Negli Usa, Socialist Action giunse persino ad adottare il logo di Solidarnosc come testata del suo giornale. Il defunto Ernest Mandel, capo del Segretariato unificato, esaltò questi reazionari clericali appoggiati dalla Cia e dal Vaticano chiamandoli “i migliori socialisti del mondo”.

Il Su elevò retroattivamente i “Fratelli della foresta”, i nazisti estoni della Seconda guerra mondiale, a “combattenti per la libertà”. I gruppi appartenenti al Su, così come la Tendenza Militant di Peter Taaffe e Alan Woods, ulularono con i lupi imperialisti a sostegno del golpe controrivoluzionario di Boris Eltsin a Mosca nel 1991. Oggi la sinistra riformista sorride al Dalai Lama (anche lui appoggiato dalla Cia) e al movimento per il “Tibet libero” contro lo Stato operaio deformato cinese.

Noi della Lega comunista internazionale ci siamo battuti fino in fondo contro la controrivoluzione nell’ex Unione Sovietica e nell’Europa centrale e orientale, come Trotsky chiese ai suoi sostenitori.

Contrariamente ai falsi trotskisti che rifiutarono di difendere l’Urss contro i mujaheddin armati dalla Cia dopo l’intervento sovietico del dicembre del 1979, abbiamo detto “Vittoria all’Armata Rossa in Afghanistan! Estendere le conquiste sociali della Rivoluzione d’Ottobre ai popoli afgani!” In un comunicato del 1991 abbiamo fatto appello a dei soviet operai per “Sconfiggere la controrivoluzione di Eltsin-Bush” esortando il proletariato a formare dei soviet basati sul programma dell’internazionalismo bolscevico. In Germania Est (Ddr) nel 1989-90, mentre il regime stalinista della Sed-Pds, ormai al collasso, implorava che la restaurazione capitalista fosse attuata in modo umano, fummo gli unici a opporci alla riunificazione capitalista. Facemmo appello a una Germania rossa sovietica, attraverso la rivoluzione politica nella Ddr e la rivoluzione socialista in Germania Ovest. Lanciammo una mobilitazione di massa, poi appoggiata dalla Sed-Pds, al parco di Treptow di Berlino, il 3 gennaio 1990, contro la profanazione fascista del memoriale di guerra sovietico e in difesa dell’Urss e della Ddr. Fu la prima volta che dei trotskisti parlarono su di una piattaforma pubblica in uno Stato operaio dopo l’Opposizione di sinistra russa di Trotsky alla fine degli anni Venti.

La distruzione dell’Urss ebbe conseguenze disastrose per Cuba. L’economia cubana era fortemente sussidiata dall’Urss, fino al 36 per cento delle entrate cubane negli anni Ottanta. L’economia cubana subì una drammatica contrazione, con un crollo del prodotto pro capite che raggiunse il 40 per cento nel 1993. Per la popolazione cubana ciò si tradusse in blackout, nella mancanza di derrate di base e in un periodo di rigido razionamento alimentare noto come “Periodo speciale in tempo di pace”. Come risposta, il governo introdusse una serie di “riforme di mercato”, ad esempio rendendo legale il possesso e lo scambio di dollari. La “dollarizzazione” determinò un netto e crescente divario di redditi, colpendo più duramente le donne e i neri. Negli ultimi anni il governo ha cercato di ridurre la dipendenza dagli investimenti imperia-listi, stringendo accordi commerciali col Venezuela di Chávez e con la Cina. Per la maggioranza dei cubani però la situa-zione resta difficile e li spinge a rivolgersi al mercato nero anche per le necessità più basilari.

Nel 2002, l’ex presidente americano Carter si è recato a Cuba cercando di allentare l’embargo per facilitare la penetrazione economica nell’isola. Nel corso del suo viaggio ha promosso la campagna della petizione Varela, lanciata da dei dissidenti filo imperialisti, che comprende la rivendicazione del diritto d’impresa privato, dell’amnistia per i prigionieri politici e di “libere elezioni”.

La richiesta di “libere elezioni” equivale ad appoggiare la “democrazia borghese” contro lo Stato operaio cubano, cioè la controrivoluzione. Noi siamo per la democrazia operaia. Come il nostro sostenitore disse chiaramente a Guevara nel 1964, siamo per il diritto all’organizzazione politica di tutte le tendenze che difendono le conquiste della Rivoluzione cubana. La classe operaia deve esercitare il suo potere tramite i soviet. Condanniamo quelli come Olivier Besancenot, il principale portavoce della Ligue Com-muniste Révolutionnaire francese, la sezione ammiraglia del Su, che all’inizio dell’anno ha proclamato il suo appoggio a “libere elezioni” a Cuba.

A suo merito va detto che il governo cubano appoggia la causa di Mumia Abu-Jamal, il più importante prigioniero politico nel braccio della morte in America. Ma il governo cubano applica la pena di morte, anche se di recente Raúl Castro ha commutato le condanne di quasi tutti i prigionieri del braccio della morte cubano. Noi ci opponiamo per principio alla pena di morte, a Cuba e in Cina come nei paesi capitalisti. Quando nel 2003 furono giustiziati tre dirottatori di navi, i sicofanti castristi di Socialist Action cercarono di giustificarlo richiamandosi alle esecuzioni attuate dai bolscevichi durante la guerra civile. Noi rispondemmo in Workers Vanguard n. 805 (6 giugno 2003):

“I marxisti, compresi i bolscevichi, si oppongono all’istituto barbarico della pena capitale. I bolscevichi attuarono il terrore rivoluzionario in difesa del nuovo Stato operaio, sapendo che la guerra alla controrivoluzione era un episodio passeggero che richiedeva misure drastiche ma temporanee. Ma il codice penale è un tratto permanente dello Stato proletario. Anche quando la pena di morte da atto di guerra divenne parte del codice penale nel 1922, fu considerata una misura temporanea. (...) Come molte altre misure utilizzate momentaneamente dal giovane Stato operaio, con la controrivoluzione stalinista anch’essa divenne permanente e fu trasformata nel grottesco contrario di ciò che volevano i bolscevichi”.

L’esecuzione dei dirottatori non è stato un caso di giustizia sommaria da parte di un governo operaio in una situazione di guerra civile. Sappiamo bene che il regime di Castro usa la repressione contro i suoi oppositori filo socialisti, compresi militanti come i trotskisti degli anni Sessanta. Ed è stato in nome della “difesa della rivoluzione” che nel 1989 Castro ordinò l’esecuzione del Generale Ochoa, un eroe della guerra d’Angola, dopo un processo farsa stalinista che ricordava le purghe di Mosca della fine degli anni Trenta.

Noi appoggiamo le misure prese per difendere la Rivoluzione cubana, compreso l’arresto dei “dissidenti” che collaborano attivamente con l’imperialismo Usa. Ma non abbiamo nessuna fiducia nella capacità della burocrazia di spazzar via i controrivoluzionari. L’invito di Castro a Carter è servito solo a imbaldanzire i reazionari, così come la costante ricerca di una “distensione” con l’imperialismo mina lo Stato operaio cubano. La sostanza di quello che scrivemmo nel 1965 nel nostro articolo, “Libertà per i trotskisti cubani”, resta ancora vera:

“La Rivoluzione cubana deve sostituire la sua attuale ideologia nazionalista votata alla ‘coesistenza pacifica’ (...) con una politica estera rivoluzionaria, orientandosi verso la rivoluzione latinoamericana con la costruzione concreta e la direzione del movimento rivoluzionario in America Latina come parte del movimento mondiale. Internamente con l’istituzione di un’autentica democrazia operaia, con la costruzione di soviet (consigli operai, organismi elettivi, rappresentativi del potere operaio) e con la reintroduzione della ricca vita interna che è vitale per qualsiasi movimento rivoluzionario e per sconfiggere la burocrazia”.

Negli Stati Uniti, roccaforte dell’imperialismo mondiale, i rivoluzionari hanno un dovere speciale di difendere Cuba contro la restaurazione del capitalismo e l’imperialismo Usa. Ci battiamo per forgiare un partito operaio rivoluzionario, sezione di una riforgiata Quarta internazionale, che porti alla classe operaia multirazziale degli Stati Uniti la comprensione che la difesa della Rivoluzione cubana fa parte integrante della sua lotta contro gli sfruttatori capitalisti americani e per la rivoluzione socialista. Difendere la Rivoluzione cubana! Per una rivoluzione politica proletaria che apra la strada al socialismo! Per nuove rivoluzioni d’Ottobre!

Tradotto da Workers Vanguard, giornale della Spartacist League/Us, n. 915 del 23 maggio 2008

 

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