Spartaco n. 82 |
Ottobre 2018 |
Grecia: Vittoria ai portuali della COSCO!
L’articolo che riproduciamo è stato scritto dal Gruppo trotskista di Grecia (Toe), sezione della Lega comunista internazionale e pubblicato su Workers Vanguard n. 1137, il giornale della Spartacist League US. Dopo gli scioperi di giugno, i padroni hanno intensificato gli attacchi agli operai della Cosco in lotta. Gli attacchi più gravi hanno preso di mira il presidente del sindacato Enedep, Markos Begris. Inoltre è stato creato un falso “sindacato” padronale nel tentativo di spezzare la lotta degli operai. Il Toe condanna questi vili attacchi contro il capo del sindacato e gli operai della Cosco!
Durante l’ultimo sciopero, indetto da Enedep per il 7 settembre, il “sindacato” padronale della Cosco ha dimostrato la sua natura antioperaia e crumira presentandosi con due grandi striscioni che dicevano: “Diritto di lavorare” e “Il porto non sarà bloccato”! Il “sindacato” padronale era accompagnato dalle forze della guardia costiera! E’ del tutto chiaro da che parte sta questo cosiddetto “sindacato”. Abbasso il “sindacato” padronale!
Il giorno dello sciopero, Enedep ha rilasciato una dichiarazione di condanna dell’attacco di cui è stato vitttima un giornalista che seguiva lo sciopero. La dichiarazione ha sottolineato il fatto che il responsabile dell’attacco è un noto militante di Alba Dorata, che sembra sia membro del cosiddetto “sindacato” di Alba Dorata nella zona di Perama.
Ad una riunione svoltasi nel giorno dell’ultimo sciopero, tra l’Amministratore delegato della Cosco in Grecia (Capitan Fu) e Enedep, Capitan Fu ha dichiarato che gli investimenti di Cosco in Grecia non consentono ulteriori aumenti di spesa. Dopo la riunione e dopo la sentenza del tribunale che ha nuovamente dichiarato fuorilegge lo sciopero, un’assemblea generale degli operai della Cosco ha deciso di rinviare lo sciopero per riorganizzare le forze. Di fronte all’intransigenza dei dirigenti della Cosco e delle forze dello Stato capitalista greco, serve la solidarietà di classe del movimento operaio organizzato e una dura lotta di classe perché i portuali possano ottenere ciò che chiedono.
Atene, 23 luglio. Tra la fine di maggio e l’inizio di giugno, centinaia di operai del porto del Pireo, impiegati dalla China Ocean Shipping Company (Cosco), il colosso dei trasporti di proprietà dello Stato cinese, hanno intrapreso importanti azioni di lotta sindacale contro le orribili condizioni di lavoro ai terminali per i container. Il 30 maggio, i lavoratori di tutta la Grecia avevano incrociato le braccia per un giorno in uno sciopero nazionale contro l’ultima raffica di misure di austerità richieste dall’Unione Europea e imposte dal governo di Syriza e Anel. A quello sciopero hanno partecipato anche i portuali della Cosco, guidati dal loro sindacato Enedep, che ha sfidato le minacce dell’azienda di farli arrestare se avessero partecipato allo sciopero. I portuali hanno prolungato lo sciopero per altri due gior0ni, a sostegno delle loro rivendicazioni di un lavoro stabile a tempo pieno, dell’aumento del numero di lavoratori, del diritto alla contrattazione collettiva e di misure relative alla salute e alla sicurezza sul lavoro, oltre che l’aumento dei salari da miseria. Le condizioni di lavoro al porto sono pericolosissime e hanno già provocato molti feriti e la morte di un operaio l’anno scorso.
Migliaia di altri operai hanno partecipato ad una protesta di fronte alla sede della Cosco. Tra di loro vi erano anche i portuali di un altro sindacato che ha scioperato per due giorni, il Sindacato dei portuali del porto del Pireo, che si sono visti tagliare i salari e si stanno battendo anch’essi per il diritto alla contrattazione collettiva. La protesta è stata appoggiata dai sindacati dei marinai e dal Centro operaio del Pireo, che è dominato dal Pame, la confederazione sindacale legata al Partito comunista di Grecia (Kke). I picchetti unitari sono riusciti a bloccare completamente la Cosco per la prima volta nei nove anni in cui ha operato al Pireo, respingendo i tentativi della dirigenza di rompere lo sciopero col ricorso ai crumiri (compresi i fascisti di Alba dorata) e ai tribunali.
Il primo giugno, una riunione di massa del sindacato ha deciso di sospendere lo sciopero, ma cinque giorni dopo gli operai della Cosco hanno incrociato di nuovo le braccia. Ad oggi, gli operai sono riusciti a strappare una concessione: i loro posti di lavoro verranno inclusi nella categoria legale dei “lavori pesanti e insalubri”, che dà diritto ad alcuni benefici previdenziali. Il sindacato ha annunciato che effettuerà nuove fermate del lavoro se la Cosco non accetterà di negoziare. Ma gli scioperi sono poi stati sospesi dopo che l’11 luglio il sindacato ha annunciato un “accordo verbale” che secondo loro includerà le richieste degli operai di un lavoro stabile e di un aumento del numero di lavoratori impiegati.
La lotta degli operai della Cosco ha suscitato la simpatia dell’intero settore marittimo, che è decisivo per la Grecia. Un risultato vittorioso di questa lotta darebbe un notevole impulso alla classe operaia di tutta la Grecia, piegata ma non spezzata da un decennio di feroce austerità capitalista. Potrebbe anche ispirare gli operai degli altri Paesi d’Europa che subiscono attacchi alle loro condizioni di lavoro e di vita. Vittoria agli operai della Cosco!
Parlando dello sciopero, Syriza, il partito di governo, si è lamentato che i problemi dei portuali erano il risultato del fatto che Cosco operava “solo tramite subappalti, massimizzando i profitti ma nascondendo contemporaneamente le sue responsabilità di datore di lavoro effettivo” (kathimerini.gr, 2 giugno). E’ pura ipocrisia da parte di Syriza che, nonostante il nome di “sinistra radicale”, è un partito borghese. Nel 2015, Syriza ha ignorato completamente la valanga di “No” al referendum sull’austerità dell’Ue. Oggi, continua ad adoperare il bastone per conto dei banchieri di Francoforte e dei grandi armatori greci.
I portuali della Cosco sono effettivamente assunti in gran parte tramite agenzie interinali con salari da fame, in base a contratti “flessibili” che non garantiscono né un impiego stabile né i basilari diritti lavorativi. Gli operai lamentano la mancanza di addestramento adeguato e il clima di intimidazione che regna nel porto, dove per imporre la disciplina si fa ricorso a “buttafuori da discoteca”. E’ fondamentale che i sindacati si battano per scacciare i parassiti delle agenzie interinali e per l’assunzione immediata di tutti gli operai, a tempo pieno e con contratti indeterminati, con salari e condizioni lavorative decenti. Per il controllo sindacale sulle assunzioni! Per il controllo sindacale sulla sicurezza sul lavoro!
Le terribili condizioni in cui vivono i portuali della Cosco e molti altri operai in Grecia sono un risultato diretto delle misure di austerità e della privatizzazione dei porti e di altre infrastrutture imposte dall’Ue e dal Fondo monetario internazionale come condizione per il “salvataggio” della Grecia. In verità si è trattato del salvataggio delle banche tedesche e francesi proprietarie del debito, mentre i lavoratori sono stati costretti a pagarlo. L’immiserimento e la degradazione degli operai greci sono una versione estrema di quello che sta succedendo agli operai di tutta Europa, con i padroni dell’Ue che cercano di intensificare lo sfruttamento dei loro schiavi salariati. Un articolo del giornale americano The Nation (1 giugno) titolava: “Il porto più attivo di Grecia rivela i rischi della privatizzazione”, citando un operaio che ha detto: “Sappiamo che qui in Grecia siamo parte di un esperimento neoliberale particolarmente feroce, ma è solo l’inizio. Oggi in Grecia, domani in Europa. L’intero sistema lavorativo punta verso sistemi di lavoro più flessibili”.
La Ue è lo strumento tramite cui le potenze capitaliste d’Europa, con in testa l’imperialismo tedesco, cercano di fare a pezzi i salari e le condizioni di vita degli operai, anche nelle economie più forti come la stessa Germania. I lavoratori marittimi di tutt’Europa hanno dovuto respingere attacchi come il “Pacchetto portuale” antisindacale dell’Ue. Nel gennaio del 2006, uno sciopero compatto contro il “Pacchetto portuale 2” ha chiuso completamente il porto di Amburgo in Germania ed è stato seguito da scioperi in altri Paesi d’Europa. L’anno scorso, i portuali spagnoli hanno scioperato contro l’imposizione da parte dell’Ue delle regole sulla “libertà d’impresa”, vale a dire, di imprese libere dai sindacati. Il consorzio dell’Ue ha devastato i Paesi più deboli d’Europa come la Grecia, la Spagna e il Portogallo, e simultaneamente ha costituito un blocco commerciale contro gli imperialisti rivali degli Usa e del Giappone. Fuori la Grecia dall’Ue e dall’euro! Per gli Stati Uniti socialisti d’Europa!
La Cina non è capitalista
La Cosco gestisce i moli II e III del porto cargo del Pireo dall’ottobre del 2009. Nel 2016 il governo di Syriza ha venduto a Cosco il 67 percento del porto del Pireo, come parte della svendita delle proprietà dello Stato per far fronte al devastante pagamento del debito estero. All’epoca gli operai portuali si sono giustamente opposti alla privatizzazione, sapendo che la svendita sarebbe stata accompagnata da attacchi ai salari, alle condizioni di lavoro e ai diritti sindacali.
Nella loro giusta lotta, i portuali del Pireo si trovano di fronte Cosco, un’impresa di Stato cinese. Cosco non è un’azienda capitalista, ma una componente dell’economia collettivizzata della Repubblica popolare cinese, uno Stato operaio deformato in cui il potere politico è nelle mani della burocrazia privilegiata del Partito comunista cinese (Pcc). Le operazioni del governo del Pcc all’estero spesso includono attacchi ai salari e alle condizioni lavorative. Questi attacchi agli operai non sono inevitabili, come avviene nelle imprese capitaliste, ma fanno parte di una politica che riflette gli interessi nazionali ristretti e conservatori della burocrazia. Al Pireo, questa politica significa agire a braccetto con i padroni dell’Ue per dissanguare gli operai.
Il modo vergognoso in cui Cosco tratta la forzalavoro al Pireo include turni di 12 ore per una manciata di euro, spesso senza nemmeno il diritto ad una pausa di 30 minuti. Questo mentre altri operai non riescono nemmeno a trovare lavoro. L’amministratore delegato del porto, Fu Chengqiu, o “Capitan Fu”, è un esempio del disgustoso paternalismo del governo del Pcc. Intervistato dallo Spiegel online (4 settembre 2015), Fu ha sostenuto che i sindacati sono “superflui” e ha inveito contro i dirigenti sindacali che prometterebbero “più soldi e meno lavoro”. Ha continuato dicendo: “Se volete salari più alti, prima dovete lavorare duro. Non stare in spiaggia a bere la birra. Imparate dai tedeschi! Lavorate duro, non siate pigri e lavorate sempre con serietà. Lavoro duro = vita felice”. L’ostilità nei confronti degli operai accompagna il programma stalinista di “socialismo in un solo Paese” (o “socialismo con caratteristiche cinesi”) che è nemico dell’internazionalismo proletario e fa del vero socialismo una parolaccia. Può anche dare munizioni agli anticomunisti che cercano di incanalare la rabbia per questi abusi nell’appoggio al tentativo degli imperialisti di attuare una controrivoluzione capitalista in Cina.
Noi trotskisti appoggiamo gli operai in lotta contro la Cosco per i diritti sindacali e per salari e benefit decenti. Allo stesso tempo ci opponiamo ai tentativi di minare la necessaria difesa dello Stato operaio deformato cinese contro l’imperialismo. Il Kke, un partito riformista stalinista, sostiene, come molti altri nel movimento operaio, che la Cina “è parte integrante del sistema imperialista internazionale” (Communist Review n. 6, 2010). Il Kke dice che “la Cina, a partire soprattutto dagli anni Ottanta, ha legato la sua economia al mercato capitalista internazionale. La dirigenza cinese non nega questo fatto, anzi se ne vanta”. Il fatto di partecipare al commercio mondiale non fa di per sé della Cina un Paese capitalista o imperialista.
La Rivoluzione cinese del 1949 rovesciò il potere dei capitalisti e dei proprietari terrieri e sottrasse il Paese alla presa dell’imperialismo che lo teneva in schiavitù. Lo Stato borghese venne spezzato dall’Esercito di liberazione popolare a base contadina di Mao Zedong e sostituito da uno Stato operaio che espropriò gli sfruttatori. La successiva creazione di un’economia basata essenzialmente su forme di proprietà collettivizzate pose le basi per un’impetuosa ascesa dello sviluppo industriale e per enormi conquiste per le masse operaie e contadine.
L’istituzione dello Stato operaio cinese fu una conquista storica della classe operaia internazionale. Ma a differenza dello Stato sorto in Russia dalla Rivoluzione d’Ottobre guidata dai bolscevichi di V.I. Lenin e di Lev Trotsky, lo Stato operaio cinese fu deformato sin dall’inizio dal dominio di una burocrazia nazionalista fondamentalmente simile a quella giunta al potere in Unione Sovietica con la controrivoluzione politica guidata da Stalin a partire dal 1923-24.
Nel 1976, due anni dopo la morte di Mao, il Pcc capeggiato da Deng Xiaoping inaugurò un programma di “riforme di mercato” che allentarono il controllo dello Stato sulla produzione e sul commercio ed aprirono il Paese agli investimenti capitalisti da parte delle aziende occidentali, giapponesi e della borghesia cinese emigrata. Anche nella Cina continentale si è sviluppata una classe capitalista, che però è priva del potere politico. Un luogo comune ricorrente tra gli ideologi della borghesia e in gran parte della sinistra consiste nell’affermare che in Cina è stato restaurato (o è irreversibilmente in corso di restaurazione) il capitalismo. Ma la controrivoluzione capitalista dovrebbe prima trionfare a livello politico, con la distruzione dello Stato operaio e l’instaurazione di un regime anticomunista appoggiato dagli imperialisti. Ciò sarebbe un disastro per il proletariato mondiale.
Nonostante le “riforme di mercato”, le componenti fondamentali dell’economia cinese rimangono collettivizzate. Le imprese di Stato dominano i settori industriali strategici. La nazionalizzazione della terra ha impedito lo sviluppo su vasta scala di una classe di capitalisti agrari e le banche di Stato controllano il settore finanziario. Il tasso di crescita dirompente della Cina negli ultimi vent’anni ha superato ampiamente quello dei Paesi imperialisti e anche quello dei Paesi capitalisti neocoloniali “emergenti” come l’India.
Noi appoggiamo il diritto della Cina a commerciare per ottenere tutto ciò che le serve a promuovere lo sviluppo dello Stato operaio. Gli investimenti della Cina all’estero non hanno come forza motrice il profitto, come avviene necessariamente per le imprese capitaliste, ma il bisogno di acquisire materie prime e tecnologie avanzate per le industrie collettivizzate domestiche, oltre che di agevolare gli scambi internazionali, anche con la costruzione di ferrovie, strade e porti. Allo stesso tempo sappiamo che i suoi investimenti esteri non sono determinati dall’internazionalismo rivoluzionario, ma dalla politica del Pcc, che si basa sul dogma stalinista del “socialismo in un solo Paese” e sulla “coesistenza pacifica con l’imperialismo”.
Avendo “perso la Cina” nel 1949, gli imperialisti sono impegnati a riconquistarla allo sfruttamento capitalista senza limiti. Da trotskisti, noi della Lega comunista internazionale ci battiamo per la difesa militare incondizionata della Cina contro l’imperialismo e contro qualsiasi tentativo di controrivoluzione interna. La difesa e l’estensione delle conquiste della Rivoluzione cinese richiedono una rivoluzione politica proletaria che scacci la burocrazia del Pcc e la sostituisca con un regime di democrazia operaia dedito alla lotta per il socialismo mondiale.
Un governo di consigli operai e contadini che ereditasse le operazioni all’estero delle imprese di Stato cinesi, rispetterebbe i diritti sindacali ed innalzerebbe salari e benefit al di sopra dei livelli localmente prevalenti. Un simile governo esproprierebbe gli elementi borghesi che sono emersi in Cina e i miliardari di Hong Kong. Soprattutto, seguirebbe l’esempio del primo Stato operaio sovietico, avanzando la causa della rivoluzione operaia in tutto il mondo.
Per una direzione di lotta di classe!
Nonostante la volontà di lottare contro gli attacchi dei padroni dimostrata dai lavoratori greci, l’attuale direzione dei sindacati è votata al mantenimento del sistema capitalista e alla collaborazione di classe. Serve una nuova direzione che capisca che gli operai non hanno interessi in comune con i padroni e agisca di conseguenza. Una direzione di questo tipo si batterebbe per ciò che serve alla classe operaia, non per quello che i padroni dicono di potersi permettere. Ciò richiede anche di opporsi all’Ue e al suo strumento valutario, l’euro e di forgiare la solidarietà di classe attraverso i confini.
Bisogna usare le armi della lotta di classe, come gli scioperi, protetti da picchetti di massa. I fascisti di Alba dorata sono minacciosamente cresciuti grazie alla disperazione generata dal capitalismo. Sono una minaccia mortale per gli immigrati e per le altre minoranze, per la sinistra e per il movimento operaio. L’attuale direzione degli operai ha in gran parte ignorato il pericolo fascista, ma i picchetti di massa che hanno tenuto fuori i crumiri e i fascisti dalla Cosco hanno dimostrato le potenzialità di un’azione operaia di classe e di massa per schiacciare Alba dorata.
Le sofferenze dei lavoratori greci sono una dimostrazione del brutale funzionamento del sistema capitalista, in cui la produzione non è organizzata per soddisfare le necessità della vita delle masse (un lavoro, una casa decente, la pensione, l’assistenza sanitaria, ecc.) ma per produrre profitti per una manciata di sfruttatori capitalisti straricchi. Le esigenze fondamentali della popolazione potranno essere soddisfatte solo se la classe operaia prenderà nelle sue mani la ricchezza produttiva della società. La classe operaia deve lottare a fianco dei suoi alleati tra gli oppressi, per un governo che operi nel suo interesse e che le sia subordinato. Un tale governo non si otterrà nel quadro del parlamento, ma solo con una rivoluzione proletaria che spazzi via lo Stato capitalista. Il Gruppo trotskista di Grecia, sezione della Lega comunista internazionale (quartinternazionalista) si dedica a forgiare il partito operaio rivoluzionario che possa guidare gli operai in questo compito.