Spartaco n. 80 |
Settembre 2017 |
Estate di lotta nelle fabbriche dellEuropa dellEst
Sciopero alla ex Zastava-Fca Serbia
Per la lotta di classe unita contro gli imperialisti dEuropa!
Tra il 27 giugno e il 18 luglio, più di duemila operai della Fiat Chrysler Automobiles (Fca) di Kragujevac, Serbia, 140 km a sudest di Belgrado, hanno scioperato contro i salari da fame e le dure condizioni di lavoro, chiedendo aumenti sala-riali da 38 mila a 50 mila dinari (circa 416 euro al mese), turni meno massacranti, il pagamento dei premi di produzione e un’indennità per il trasporto. Lo sciopero alla Fca di Kragu-jevac è stato tra i più lunghi nella storia recente della Fiat.
I salari pagati da Fca in Serbia sono inferiori alla media nazionale del Paese, che è di circa 350 euro al mese e corrisponde a circa un terzo del potere di acquisto dei salari medi italiani. L’anno scorso la Fca ha licenziato circa 900 operai costringendo quelli rimasti a ritmi di lavoro molto più intensi. Gli scioperanti chiedevano anche che fosse reso pub-blico l’accordo del 2008 in base al quale il governo serbo ha svenduto alla Fca le fabbriche di Kragujevac. L’accordo è protetto dal segreto di Stato per nascondere come negli ultimi dieci anni la Fca si è ingrassata grazie alle sovvenzioni statali e a una miriade di agevolazioni fiscali, mentre sfrut-tava gli operai. Il malcontento degli operai serbi è aggravato dal trattamento sciovinista della Fca nei loro confronti, come la pratica di sottoporre i lavoratori serbi a supervisori italiani, che nel corso degli anni ha suscitato ripetute proteste.
La Fca ha respinto le richieste degli operai con la solita arroganza: nessun negoziato senza la revoca preventiva dello sciopero e la minaccia di chiudere la fabbrica e spostare altrove la produzione. Da parte sua il governo serbo, proprietario di un terzo della Fca serba, ha accusato gli operai di essere “manipolati” e di mettere a repentaglio il futuro del Paese, spaventando potenziali investitori alla ricerca di una manodopera super sfruttata e senza diritti.
Gli operai hanno respinto i diktat della Fca e del governo, ma il 19 luglio i dirigenti del Samostalni Sindikat, il principale sindacato di fabbrica, che sostengono i piani del governo di rendere la Serbia attraente come fonte di profitti per le bor-ghesie imperialiste europee, hanno liquidato lo sciopero con-tro il volere di due terzi degli scioperanti e il 25 hanno sot-toscritto un nuovo contratto che accetta aumenti salariali del 6,7 percento in 2 anni (9,5 percento secondo il sindacato) e il pagamento di un’indennità per i trasporti. Il sindacato ha anche rinunciato a scioperare per i prossimi 3 anni. L’accordo ha suscitato diffuso malcontento nella fabbrica per uno scio-pero liquidato prematuramente dalla burocrazia sindacale.
Lo sciopero degli operai della Fca in Serbia aveva un’importanza diretta per gli operai italiani della Fiat e non solo: se i sindacati italiani fossero scesi in lotta a fianco dei loro fratelli di classe serbi, oltre a dar loro un aiuto decisivo si sarebbero anche rafforzati di fronte all’arroganza del management della Fiat, convinto di poter sempre imporre i suoi diktat ad una forza lavoro impaurita dalla minaccia di “delocalizzare”. Ma a parte l’eccezione di alcuni delegati della Usb della Fca di Melfi, che hanno fatto appello a due ore di sciopero in sostegno agli operai serbi, in generale i burocrati che dirigono le organizzazioni sindacali in Italia non hanno mosso un dito per mobilitare gli operai di Fca a fianco dei loro fratelli di classe serbi, limitandosi a platoniche lettere di solidarietà in cui chiedevano al governo serbo di intervenire per “sbloccare la situazione” multando la Fca per non “aver adempiuto agli obblighi di legge”. Hanno così riaffermato la loro collaborazione di classe, che insegna agli operai ad avere illusioni nella legge e nello Stato dei capitalisti e a collaborare con i propri sfruttatori nella difesa della competitività e dei profitti delle loro aziende, anche quando questo significa aumentare lo sfruttamento degli operai e rafforzare il dominio imperialista della borghesia italiana sui lavoratori di paesi più piccoli e più deboli.
Già nel 2010 la Fiom aveva sabotato una lotta decisiva degli operai Fiat. L’azienda chiuse la fabbrica di Termini Imerese (l’ultimo importante polo industriale in Sicilia), rigettando unilateralmente il contratto e creò una “newco” a Pomigliano, riassumendo solo gli operai disposti ad accettare le condizioni peggiorative. Più del 40 percento degli operai di Pomigliano rispose con un secco “no” al referendum organizzato dall’azienda tra i dipendenti. Il “no” di Pomigliano, ebbe un’eco entusiasta tra gli operai di molte fabbriche, suscitando grandi aspettative. Ma i dirigenti Fiom, invece di mobilitare i loro 300 mila iscritti, decisero di affidarsi esclusivamente alle “vie legali”, mettendo gli operai nelle mani dei giudici capitalisti. E di fronte alla minaccia della Fiat di spostare la produzione di alcuni modelli di auto da Mirafiori a Kragujevac, in ossequio al protezionismo nazionale Liberazione (all’epoca giornale di Rifondazione comunista) levò alti stridi sciovinisti che “Fiat tradisce l’Italia”.
La nostra prospettiva è una prospettiva di classe e internazionalista. La classe operaia deve difendersi da tutte le chiusure aziendali, dai tagli salariali e dagli attacchi alle condizioni di lavoro. Ogni posto di lavoro deve essere difeso tanto in Serbia, quanto in Polonia, in Italia o negli Stati Uniti. L’interesse del movimento operaio non è quello di stabilire chi deve lavorare e dove, ma di garantire uguali salari e condizioni lavorative a tutti gli operai a parità di lavoro. Il protezionismo nazionalista divide la classe operaia lungo linee nazionali, rendendo impossibile qualsiasi lotta difensiva in un’industria che per natura si estende oltre i confini nazionali.
Una lotta contro lo sfruttamento imperialista
La Serbia e l’intera regione balcanica hanno visto re-centemente un acutizzarsi dei conflitti di classe. Lo sciopero alla Fca è stato preceduto da uno sciopero di 5 giorni alla Magneti Marelli a febbraio, dove gli operai hanno costretto l’azienda a riconoscere le loro rivendicazioni. A sua volta, esso ha incoraggiato altri scioperi, come quello della la fabbrica di elettrodomestici Gorenje, dove 600 operai hanno incrociato le braccia chiedendo salari più alti e condizioni di lavoro decenti (lavorano con 40 gradi di temperatura costruendo frigoriferi!)
Nel mese di giugno in Slovacchia la maggioranza dei dodicimila operai delle tre fabbriche della Volkswagen di Bratislava, l’impresa più grande del paese, sono scesi in sciopero bloccando la produzione per una settimana e strappando un aumento dei salari del 14 percento. Lo sciopero degli operai della Volkswagen è stato preceduto da aumenti salariali del 7,5 percento nelle fabbriche slovacche della Kia e da forti aumenti salariali nelle fabbriche automobilistiche di proprietà tedesca in Ungheria.
Con l’adesione all’Ue, la Slovacchia è diventata una dependance dell’imperialismo tedesco e dei suoi colossi automobilistici, ed è oggi il più grande produttore di automobili pro-capite del mondo (1 milione di autovetture all’anno su una popolazione di poco più di 5 milioni). Ma mentre producono Suv di lusso per i mercati mondiali, gli operai slovacchi della Volkswagen, della Kia e della Peugeot ricevono salari che sono il 40 percento di quelli tedeschi.
Di fronte al primo grande sciopero in Slovacchia dopo la controrivoluzione “di velluto” del 1989, i portavoce della finanza capitalista hanno iniziato a preoccuparsi. Un articolo su Bloomberg.org (21 giugno) ha commentato:
“Per molti aspetti, la Slovacchia è stata considerata un modello di integrazione nell’Unione Europea. Ma lo sciopero in atto nelle fabbriche della Volkswagen di Bratislava fa capire quanto l’Europa appaia disunita a chi la osserva dal confine orientale dell’Ue. Gli abitanti dell’Europa dell’Est pensano che i loro paesi siano stati trasformati in colonie dell’Europa occidentale, e questo sentimento potrebbe rivelarsi per l’Ue una minaccia più grave della Brexit.”
Il governo serbo è guidato dai nazionalisti di destra del Partito del progresso serbo (Sns, erede del Partito radicale serbo protagonista dei massacri interetnici degli anni Novanta) del presidente Aleksandar Vucic. Vucic e l’Sns cercano di mantenere il paese come bacino di manodopera a basso costo per i capitalisti dell’Europa occidentale e in cambio dei prestiti del Fondo monetario internazionale e dell’adesione all’Ue, stanno attuando drastiche misure di austerità che includono tagli alla spesa pubblica, la vendita o la chiusura delle imprese di Stato e una pesante riduzione dei dipendenti pubblici. Il Primo ministro Ana Brnabic ha promesso di tagliare 11 mila posti di lavoro nel pubblico entro il 2020, dopo che negli ultimi 4 anni il governo Vucic ne aveva già tagliati 80 mila.
Noi marxisti ci battiamo per distruggere con la lotta di classe l’Ue, un blocco reazionario dominato dagli imperialisti d’Europa, uno strumento per saccheggiare i paesi dipendenti dell’Europa meridionale e orientale, per aumentare lo sfruttamento delle classi operaie d’Europa e per controllare i flussi di manodopera immigrata. Chiediamo l’uscita dell’Italia dall’Ue e dall’Euro. Ci opponiamo ad ogni sua ulteriore estensione, come in Serbia, così come ci siamo opposti all’estensione dell’Ue ai Paesi dell’Europa orientale nel 2004, consapevoli che avrebbe ulteriormente aggravato l’oppressione e lo sfruttamento dei lavoratori di quei paesi. L’estensione dell’Ue all’Europa orientale ha consentito alla borghesia tedesca di realizzare il sogno imperialista che un tempo aveva affidato al Terzo Reich di Hitler: quello di fare dell’Europa orientale il suo hinterland. Ne ha tratto enormi vantaggi anche l’imperialismo italiano, che oggi è tra i principali investitori nell’Europa dell’Est e che ha una sanguinosa storia di avventure imperialiste nei Balcani. La nostra opposizione all’Ue è parte integrante della nostra prospettiva marxista rivoluzionaria: il rovesciamento del capitalismo da parte della classe operaia e la costruzione di un’economia collettivizzata e pianificata a scala mondiale, che consentirà uno sviluppo qualitativo delle forze di produzione e il superamento della divisione in classi della società, il punto di partenza per un ordinamento comunista mondiale.
Frutti della controrivoluzione capitalista
Le fabbriche della Fca di Kragujevac sorgono sui vecchi impianti della Crvena Zastava (Bandiera rossa), il fiore all’occhiello dell’industria automobilistica jugoslava, che sono stati praticamente regalati alla famiglia Agnelli e soci dal governo serbo nel 2008. Sono una prova della miseria e dello sfruttamento risultati dalla controrivoluzione capitalista che, all’inizio degli anni Novanta, ha distrutto l’Unione Sovietica e gli Stati operai burocraticamente deformati dell’Europa orientale, spalancando i cancelli alla penetrazione economica dei capitalisti occidentali che hanno potuto mettere le mani su impianti industriali avanzati e su di una forza lavoro educata e qualificata
Nel 1999, durante la campagna di bombardamenti della Nato contro la Serbia, le fabbriche della Zastava furono bombardate e ridotte, nella parole del Chicago Tribune (16 luglio 1999) “a un mucchio di macerie, lamiere contorte, macchinari bruciati, liquami chimici e crateri spalancati”. Lo stesso articolo spiegava che:
“La fabbrica era così fondamentale per la comunità che gli operai fecero da scudi umani per 24 ore su 24, dormendo sul pavimento, per dissuadere la Nato dal distruggere la loro fonte di sostentamento. Mandarono fax e email in tutto il mondo implorando: ‘Per favore, non bombardate la nostra fabbrica. Per favore, non toglieteci il lavoro’.”
Ma i bombardieri Nato distrussero la Zastava tra il 9 e il 12 aprile del 1999, ferendo 131 operai. L’intera Serbia fu rigettata indietro di cinquant’anni dai bombardamenti.
All’epoca noi facemmo appello alla difesa militare di questa piccola nazione contro l’attacco degli imperialisti, che fece dell’Italia una portaerei terrestre della Nato (mentre in precedenza non ci eravamo schierati con nessuna delle forze che si erano scontrate nelle guerre fratricide che accompagnarono la controrivoluzione capitalista nella ex Jugoslavia). In Italia, lo Slai Cobas appoggiò la richiesta di solidarietà degli operai della Zastava, lanciando una cam-pagna per raccogliere aiuti. Noi della Lci ci unimmo a questa campagna cercando di darle una dimensione interna-zionalista proletaria, raccogliendo soldi tra militanti sinda-cali e di sinistra dagli Stati Uniti, al Messico, al Sudafrica.
Alla fine della Seconda guerra mondiale, il capitalismo fu rovesciato in Jugoslavia grazie a una rivoluzione sociale interna. Ma la Jugoslavia, come le altre “democrazie popolari” dell’Europa dell’Est, sin dalla nascita fu uno Stato operaio deformato dal dominio burocratico stalinista, che gettò i semi del suo successivo disfacimento. Il regime di Tito realizzò progressi immensi nel costruire un’autentica federazione multinazionale. Ma le divisioni nazionali non potevano essere superate sulla base della costruzione del “socialismo” in un solo paese balcanico relativamente arre-trato. Infatti, la decentralizzazione economica e il “socia-lismo di mercato” che furono il vanto di Tito aumentarono enormemente le disparità tra le varie repubbliche e regioni, tanto che alla fine degli anni Ottanta, il reddito pro-capite degli sloveni era dieci volte superiore a quello della popo-lazione albanese del Kosovo. Inoltre, la Jugoslavia fu la prima tra gli Stati operai deformati dell’Est a dare in ipoteca la sua economia collettivizzata ai banchieri occidentali, dissanguando l’economia del Paese per pagare i debiti.
La distruzione dello Stato operaio jugoslavo nel 1991 ha sprofondato i popoli della Jugoslavia in un bagno di sangue fratricida, distruggendo le grandi conquiste della rivoluzione del 1945: il rovesciamento dei rapporti di proprietà capitalisti e il superamento dei sanguinosi conflitti nazionali che avevano storicamente afflitto i Balcani. La Lega comunista internazionale si è battuta in difesa degli Stati operai deformati dell’Europa dell’Est e dell’Unione Sovietica contro la restaurazione del capitalismo, lottando allo stesso tempo per una rivoluzione politica che introducesse un vero potere dei consigli operai sulla base di un programma internazionalista.
Al contrario, molti sedicenti “trotskisti” si schierarono con le forze della controrivoluzione capitalista. Ad esempio, Sinistra classe rivoluzione (Scr), un gruppo riformista uscito da Rifondazione comunista, ha scritto diversi articoli sugli scioperi in Serbia, senza mai menzionare il fatto che l’attuale situazione nei Balcani è il prodotto storico della controrivoluzione capitalista. La Tendenza Militant, da cui deriva Scr, fu una fervente sostenitrice di varie forze controrivoluzionarie in Unione Sovietica ed Europa orientale. Appoggiarono il “sindacato” giallo Solidarnosc in Polonia, finanziato dalla Cia, dalle banche e dal Papa e nel 1991 i loro sostenitori russi di Rabochaya Demokratiya, si schierarono fisicamente sulle barricate di Eltsin a Mosca, assieme alla feccia controrivoluzionaria russa, sostenendo che la vittoria di Eltsin era “l’inizio di un processo rivoluzionario anti-burocratico” (Rabochaya Demokratia, luglio/agosto 1992).
Per la lotta di classe internazionale
Quello che manca alla classe operaia è un proprio partito. Un partito che non si basi sulla collaborazione di classe parlamentare con la borghesia, ma sui metodi e sui principi della lotta di classe internazionale, sulla consapevolezza che la fine dello sfruttamento, dell’oppressione nazionale e di ogni specie di miseria e oppressione, si può ottenere solo con il rovesciamento dello Stato capitalista e la costruzione di un’economia collettivista, pianificata a scala internazionale, sotto il potere degli operai. Un partito di questo tipo dev’essere parte integrante di una internazionale, democraticamente centralizzata, che raccolga l’avanguardia rivoluzionaria di tutti i Paesi.
Sin dalla sua nascita, il movimento marxista si forgiò nella consapevolezza che la lotta della classe operaia dev’essere internazionale non solo nelle idee, ma nella pratica. Tra i suoi primi sforzi organizzati vi furono delle campagne, coronate da successo, condotte tra i lavoratori tessili della Germania e del Belgio, affinché rifiutassero di farsi assumere come crumiri dai capitalisti inglesi durante lo sciopero dei tessili di Londra ed Edimburgo del 1866. Nelle istruzioni ai delegati al Primo Congresso della Associazione internazionale dei lavoratori, tenutosi a Ginevra nel 1866, Marx spiegò che:
“Una delle funzioni principali dell'Associazione, adempiuta già con grande successo in varie circostanze, è di contrapporsi agli intrighi dei capitalisti, sempre pronti, nei casi di sciopero o di chiusura delle officine, a usufruire di operai stranieri come strumento per soffocare le giuste lagnanze dei lavoratori indigeni. Uno dei grandi fini dell'Associazione è di sviluppare negli operai dei diversi paesi non soltanto il sentimento ma il fatto della loro fraternità e di unirli per formare l'armata dell'emancipazione.”
Nel suo discorso inaugurale all’Associazione interna-zionale dei lavoratori nell’ottobre del 1864, ricordò che:
“L’esperienza del passato dimostra che se si trascura il legame di fratellanza che dovrebbe esistere tra i lavoratori dei diversi paesi e che li incita a sostenersi a vicenda in tutte le lotte per la loro emancipazione, essi saranno castigati da una comune sconfitta dei loro sforzi separati. Fu questa idea a spingere lavoratori di diversi paesi, riunitisi il 28 settembre del 1864 in una riunione pubblica alla St. Martin’s Hall, a fondare l’Associazione internazionale.” [nostre traduzioni].
La Lega trotskista d’Italia, come piccolo gruppo di propaganda che si batte per costruire un’avanguardia rivoluzionaria internazionale, cerca di portare agli elementi avanzati della classe operaia la coscienza della necessità che serve un partito rivoluzionario basato sul programma marxista. Un compito decisivo di questo partito sarà di inculcare agli operai un senso di inconciliabile opposizione alle manovre imperialiste dei loro governanti e ad ogni manifestazione di oppressione rivolta contro le minoranze nazionali, le donne, gli immigrati, ecc. Operai di tutto il mondo, unitevi! Riforgiare la Quarta internazionale!