Spartaco n. 79

Aprile 2016

 

Per l’uscita della Gran Bretagna dall’Ue!

Unione Europea: nemica di operai e immigrati

Per l’unità operaia attraverso i confini d’Europa!

Traduciamo l’articolo pubblicato in Workers Hammer n. 234, della primavera del 2016, dai nostri compagni della Spartacist League/Britain.

Basandosi sui principi rivoluzionari, proletari e internazionalisti del marxismo, la Spartacist League/Britain rivendica l’uscita [Brexit] della Gran Bretagna dall’Unione Europea (Ue) al prossimo referendum sulla permanenza nell’Ue. Più di 40 anni or sono, scrivemmo a proposito del Mercato comune che precedette l’Ue che “l’unità sotto il capitalismo non soltanto è un mito destinato a crollare alla prima seria crisi economica, ma sarà inevitabilmente rivolta contro la classe operaia, poiché ogni classe capitalista nazionale cercherà di essere più ‘competitiva’ imponendo i suoi piani di ‘razionalizzazione’” (“Il Partito laburista e il Mercato comune”, Workers Vanguard n. 15, gennaio 1973).

Chi può negare che è proprio quello che abbiamo visto nei decenni successivi, specialmente sulla scia del crollo finanziario globale del 2007-2008? Le condizioni di vita dei lavoratori continuano a peggiorare, la disoccupazione ha toccato cifre record e non fa che crescere, si fanno continui tagli alle basi stesse dell’assistenza sociale agli anziani, ai disabili e ai poveri. Intanto i pezzi grossi della City di Londra si ingozzano. Ecco il vero volto di questa unione di profittatori. Grazie all’Ue le politiche monetariste e anti-sindacali (oggi note come “neoliberismo”) introdotte negli anni Ottanta da Reagan negli Usa e dalla Thatcher in Gran Bretagna, si sono estese agli altri paesi imperialisti del continente. Il “miracolo economico” con cui la Germania è tornata ad essere la potenza imperialista dominante in Europa, è avvenuto a spese del proletariato tedesco, con un ruolo non trascurabile delle “riforme” Hartz IV, introdotte più di dieci anni fa dal cancelliere socialdemocratico (Spd) Gerhard Schröder per comprimere i salari e l’assistenza sociale.

Tutti conoscono gli effetti devastanti che l’austerità imposta dall’Unione Europea ha avuto per le economie capitaliste più deboli di Portogallo, Irlanda, Grecia e Spagna, accomunate dallo sprezzante acronimo di “PIGS” [porci]. La necessità di riempire le casseforti delle banche di Francoforte, Parigi e Londra dopo il collasso finanziario del 2007-08 si è tradotta nella degradazione e nella povertà per le masse greche e nella interminabile distruzione del tessuto della società greca.

Questo è il vero significato della crudele menzogna secondo cui un’unione dominata dagli imperialisti e la sua moneta comune, l’euro, avrebbero inaugurato un’epoca di prosperità! Come hanno detto i nostri compagni del Gruppo trotskista di Grecia, nell’appello lanciato il 17 luglio del 2015 per la formazione urgente di comitati operai d’azione: “L’Ue e la sua valuta, l’euro, sono stati una tragica trappola che ha portato solo sofferenza alla vasta maggioranza del popolo greco. L’Ue e l’euro devono essere rigettati. (...) Rompere con i capitalisti e con le loro banche!”

Nella discarica delle illusioni tramontate, accanto al mito della prosperità dell’Unione Europea, giace anche quello della “apertura dei confini”. L’accordo di Schengen è stato spacciato come la promessa di poter viaggiare liberamente in Europa senza passaporto. In realtà fin dall’inizio esso è stato il pilastro portante della fortezza Europa razzista. Ogni settimana ne porta nuove dimostrazioni. Appena dal Medio Oriente, dall’Afghanistan, dall’Africa e da altri paesi hanno iniziato a sbarcare sulle coste settentrionali del Mediterraneo enormi numeri di profughi in fuga dalle rapine economiche e dai bombardamenti terroristici, confini e checkpoint sono spuntati come funghi in tutta Europa.

I Tories in agitazione

Il principio ispiratore dell’Ue è sempre stato la libertà di movimento del capitale, non delle persone. Ma il dibattito sul Brexit è stato dominato dallo sciovinismo contro gli immigrati, specialmente contro i lavoratori che vengono in Gran Bretagna dai paesi dell’Europa dell’Est. In effetti, la ragione per cui David Cameron ha indetto il referendum del 23 giugno, con gran dispiacere dei suoi fratelli maggiori americani e di una bella fetta della classe dominante britannica, è stata il tentativo di arginare la crescita tra le file dei tories [conservatori] e del loro bacino elettorale, dei sostenitori dello UK independence party (Ukip) ferocemente sciovinista e anti-immigrati di Nigel Farage. Alla fine, il Partito conservatore ne è uscito più diviso di prima, come si è visto con le dimissioni dal governo di Iain Duncan Smith, sostenitore dichiarato del Brexit. La pretesa di Duncan Smith di essersi dimesso per protestare contro i tagli ai sussidi di invalidità è ridicola: proprio lui che ha inventato la “bedroom tax” [la tassa sulle stanze “inutilizzate” dalle famiglie che ricorrono all’assistenza sociale] e ha imposto una dura “riforma del welfare”.

I favorevoli e i contrari all’Unione Europea nel Partito conservatore, agitano tutti lo sciovinismo contro gli immigrati. Ukip e gli oppositori di Cameron tra i conservatori vogliono rafforzare i controlli alle frontiere senza interferenze dell’Unione Europea. Cameron evoca lo spettro delle “giungle di immigrati” nel sudest dell’Inghilterra se la Gran Bretagna uscisse dall’Ue. Nel coro si è inserito anche il ministro francese dell’economia Emmanuel Macron, che ha dichiarato che la Francia “stenderà il tappeto rosso” per i finanzieri della City che sceglieranno di trasferirsi a Parigi. Questo la dice lunga su cosa significa l’elevato ideale di “libertà di movimento” nell’Unione Europea: un paradiso per i parassiti della finanza, un inferno per gli immigrati disperati. Bisogna mobilitare la classe operaia in difesa degli immigrati dalla reazione razzista, rivendicando pieni diritti di cittadinanza per chiunque arriva in Gran Bretagna! No alle deportazioni!

Per molti anni Jeremy Corbyn si è opposto allo storico sostegno del Partito laburista all’Ue. Adesso il Partito laburista di Corbyn va a braccetto con Cameron nel fare appello a votare per “restare”. Corbyn insiste sulla sua visione di una “Europa sociale” ed è contrario alle restrizioni ai benefit per gli immigrati negoziati da Cameron lo scorso febbraio. Per questo (specialmente per la seconda ragione) Corbyn viene preso di mira dalla banda di canaglie seguaci di Tony Blair (Neil Kinnock, Margaret Beckett, Hilary Benn, David Blunkett, Jack Straw) che fanno parte della campagna interpartitica per una “Gran Bretagna più forte in Europa”. Resta il fatto fondamentale che il Partito laburista di Corbyn potrebbe rivelarsi decisivo per la vittoria del voto per “restare”, come ha sottolineato l’europeista Guardian (16 febbraio). Osservando che “Corbyn è istintivamente più euroscettico del suo partito”, il Guardian ha commentato in un editoriale che la scelta di Corbyn di adottare una linea europeista è “un suo merito e un vantaggio per i laburisti”. É la prima e unica volta che il Guardian ha elogiato Corbyn da quando si è candidato alla direzione dei laburisti.

Il governo capitalista irlandese ha imposto alla classe operaia la devastante austerità dettata dall’Unione Europea. In Scozia, i nazionalisti borghesi dello Scottish National Party (Snp) sono decisi a mantenere la Scozia all’interno dell’Ue e della Nato. Questi piccoli apprendisti imperialisti sono anche devoti alla monarchia, la pietra angolare del reazionario “Regno Unito”, che rivendica l’Irlanda del Nord e si basa sul dominio inglese sulla Scozia e sul Galles. Come marxisti, noi rivendichiamo il diritto all’autodeterminazione per la Scozia e per il Galles e lottiamo per una federazione volontaria di repubbliche operaie nelle isole britanniche.

Il cugino americano

Il mondo degli affari britannico è diviso sul referendum e l’incertezza sul suo esito ha provocato la caduta della sterlina. Molti industriali, che tendono ad esportare verso l’Europa continentale, preferiscono che la Gran Bretagna rimanga nell’Ue. Ma è la finanza e non l’industria a contare davvero per l’economia britannica. Anche nella City di Londra però le opinioni sono divise. Gli hedge fund tendono a sostenere il Brexit, per sfuggire alle regole dell’Ue, come quelle che impongono un tetto ai bonus dei banchieri. Al contrario le grandi banche d’investimento favoriscono la permanenza nell’Ue. Le banche d’investimento sono quelle che contano nella City e sono in maggioranza americane, oltre che tedesche e svizzere. La Gran Bretagna ha le sue grandi banche d’investimento, ma la City si basa sul cosiddetto “Modello Wimbledon”: il torneo mondiale si gioca a Londra, ma i giocatori vengono da fuori.

Il predominio del parassitismo finanziario in Gran Bretagna era già evidente alla fine del diciannovesimo secolo. Scrivendo nel 1916, il leader bolscevico V.I. Lenin sottolineò: “l'aumentare della classe o meglio del ceto dei rentiers, cioè di persone che vivono del ‘taglio di cedole’”, i cui redditi in Gran Bretagna, “nel paese più ‘commerciale’ del mondo (...) superano di cinque volte quelli del commercio estero!” (L’imperialismo, fase suprema del capitalismo). La tendenza descritta da Lenin si accentuò ulteriormente dopo la Seconda guerra mondiale. Negli anni Ottanta, guarda caso, proprio dopo la sconfitta dello sciopero dei minatori del 1984-85, Margaret Thatcher introdusse la deregulation del settore finanziario, che arricchì enormemente i banchieri della City.

A partire soprattutto dal secondo dopoguerra, come ha dimostrato in modo lampante la crisi di Suez del 1956, l’imperialismo britannico è stato relegato al ruolo di secondo degli Stati Uniti. Sul terreno economico, questo è anche il ruolo della City rispetto a Wall Street. Sul piano militare la “relazione speciale” [tra Usa e Gran Bretagna] significa che le forze armate britanniche partecipano praticamente ad ogni operazione militare degli Usa, tra cui la devastazione dell’Afghanistan, dell’Iraq e di altre aree del Medio Oriente. Nell’Unione Europea, la Gran Bretagna fa pure da portavoce degli interessi Usa.

Nasce da questo la malcelata rabbia di Washington nei confronti del governo Cameron, che rischia di provocare l’uscita britannica dall’Ue. In un dibattito al Senato nel mese di febbraio, Damon Wilson, l’ex direttore degli affari europei sotto il repubblicano George W. Bush, ha avvertito che l’uscita della Gran Bretagna toglierebbe agli Usa “una voce decisiva nel dar forma non solo alle politiche dell’Ue, ma al futuro stesso dell’Europa”. Ad aprile è prevista una visita di Barack Obama in Gran Bretagna per un “momento di comunicazione di massa” in cui esorterà a votare affinché la Gran Bretagna rimanga nell’Ue.

La Nato, l’Ue e la Guerra fredda

Il Mercato comune, precursore dell’Ue, fu istituito come ausiliario economico della Nato, l’alleanza militare dominata dagli Usa e rivolta contro l’Unione Sovietica. Come disse il primo segretario generale della Nato, Lord Ismay, la sua ragion d’essere era quella di “tenere i russi fuori, gli americani dentro e i tedeschi sotto”. Oggi la mitologia borghese sostiene che l’Ue, prodotto della Guerra fredda imperialista, abbia impedito il ripetersi della Seconda guerra mondiale. Nel mezzo di una delle crisi dell’euro, Angela Merkel disse: “Non bisogna dare per scontato che ci saranno altri cinquant’anni di pace in Europa, non lo è affatto” (Telegraph, 26 ottobre 2011). Fu l’Unione Sovietica che mise fine alla guerra in Europa, liberando il continente dal Terzo Reich nazista a costo di 27 milioni di morti sovietici. La vittoria dell’Armata Rossa sottrasse gran parte dell’Europa centrale ed orientale allo sfruttamento capitalista. In quel contesto, i governi capitalisti dell’Europa occidentale concessero i sistemi di assistenza sociale conosciuti come “stato sociale”.

L’Unione Sovietica, nata dalla Rivoluzione d’Ottobre del 1917, rimaneva uno Stato operaio (basato sulla espropriazione della classe capitalista e sulla collettivizzazione dei mezzi di produzione) nonostante la sua degenerazione sotto il dominio di una casta burocratica capeggiata da J.V. Stalin. Noi abbiamo lottato strenuamente fino all’ultimo per la difesa militare incondizionata dell’Unione Sovietica e degli Stati operai burocraticamente deformati dell’Europa centrale e orientale, che si rifacevano al suo modello. La nostra lotta era legata alla prospettiva di una rivoluzione politica proletaria per cacciare la burocrazia stalinista e riportare l’Urss sulla via internazionalista dei bolscevichi di Lenin e Trotsky. Noi trotskisti siamo stati gli unici a batterci per preservare ed estendere le conquiste rivoluzionarie della classe operaia, mentre ogni altra tendenza sul pianeta capitolava alle pressioni ideologiche dell’anticomunismo.

La restaurazione del capitalismo in Unione Sovietica nel 1991-92 ha provocato l’immiserimento delle masse lavoratrici di tutte le ex repubbliche sovietiche e ha spalancato la porta a sanguinosi massacri fratricidi. La scomparsa del contrappeso rappresentato dall’Unione Sovietica, ha incoraggiato l’imperialismo Usa a calpestare senza remore gli oppressi e i poveri di tutto il pianeta, dai Balcani al Medio Oriente. La controrivoluzione capitalista ha incoraggiato anche le classi dominanti imperialiste d’Europa ad attaccare le forme di assistenza sociale legate allo “stato sociale” post bellico.

Dopo che la controrivoluzione capitalista ha posto le basi per la resurrezione di una Germania riunificata, la Nato è diventata principalmente lo strumento con cui gli Usa esprimono il proprio predominio militare in Europa. Come scrivemmo nel 1992, all’epoca del Trattato di Maastricht, l’atto fondativo dell’Ue:

“Due anni e mezzo or sono l’epoca post bellica si è chiusa quando la burocrazia sovietica di Gorbaciov in via di disintegrazione ha abbandonato la Germania Est, ribaltando la vittoria dell’Armata Rossa sul Terzo Reich nazista (...). Da alleato dell’imperialismo americano nella Guerra fredda, la Germania Ovest è diventata un aggressivo Quarto Reich che ambisce a dominare l’Europa” (“Euro-Chaos”, Workers Vanguard n. 560, 2 ottobre 1992).

Per tenere a freno le ambizioni imperialiste della Germania, Washington insistette affinché questa rimanesse nella Nato dopo l’annessione dell’ex Stato operaio deformato della Germania Est (Ddr). Dopo che l’imperialismo tedesco riunificato ebbe provocato la sanguinosa frantumazione dello Stato operaio deformato jugoslavo inducendo la secessione di Croazia e Slovenia, gli Usa risposero con l’intervento militare in Bosnia. Gli Usa iniziarono anche ad allargare la Nato in Europa dell’Est, sponsorizzando tra l’altro varie “rivoluzioni colorate” nei paesi ex sovietici o ex alleati dell’Urss. Due anni fa queste manovre hanno portato al golpe infestato di fascisti in Ucraina.

Da parte sua, l’imperialismo francese appoggiò l’unificazione tedesca a condizione che la Germania accettasse una moneta unica europea, sperando di imbrigliare la forza del marco tedesco. Per ordine di Jacques Delors, del Partito socialista francese, la moneta unica fu sancita dal Trattato di Maastricht su cui si basa l’attuale Ue. Invece di indebolire il potere dell’imperialismo tedesco, l’euro lo ha rafforzato, a danno pure dei suoi rivali francesi.

Tuttavia dopo la caduta dell’Urss le rivalità interimperialiste sono restate in sordina a causa dello strapotere militare degli Usa, che sovrasta di molto i suoi principali rivali imperialisti: la Germania e il Giappone. A sua volta però il potere militare degli Usa è sproporzionato rispetto alla loro forza economica.

Dietro la facciata di unità tra Europa e Usa contro la Russia capitalista di Putin, ribollono le rivalità interimperialiste. Londra non vuole inimicarsi i ricchi oligarchi russi che usano la City come centro bancario all’estero e come parco di divertimenti. Il governo francese è stato riluttante a cancellare le lucrative vendite di armi al governo di Putin. L’imperialismo tedesco dipende dalla Russia per il commercio e le fonti energetiche. Gli imperialisti Usa sono seriamente preoccupati di impedire un’alleanza russo-tedesca. La forza militare tedesca impallidisce a confronto di quella degli Usa, anche se grazie alla base industriale tedesca la situazione potrebbe cambiare molto in fretta. Ma se il dinamismo economico tedesco si sommasse alla notevole infrastruttura militare che la Russia ha ereditato in gran parte dall’ex Unione Sovietica, ecco che potrebbe sorgere in futuro un contrappeso agli Usa.

“L’ultra-imperialismo” di Kautsky in veste nuova

Nel caos crescente che attanaglia l’Ue, l’uscita della Gran Bretagna sarebbe un duro colpo per questo conglomerato dominato dagli imperialisti e lo destabilizzerebbe ulteriormente, creando condizioni più favorevoli alla lotta di classe in tutta Europa, a partire da un governo conservatore britannico indebolito e discreditato. Ma il rifiuto dei laburisti e della burocrazia sindacale, dei socialdemocratici e dei dirigenti sindacali traditori in tutta Europa di mobilitare contro l’Ue ha ceduto il terreno dell’opposizione ai reazionari anti-immigrati e ai fascisti.

All’inizio degli anni Settanta, quando circa il 70 percento della popolazione britannica era contraria all’adesione al Mercato comune, anche la sinistra laburista e il Tuc [Trade Union Committee, la confederazione dei sindacati britannici] si opponevano, seppure nell’ottica del nazionalismo della “piccola Inghilterra” e del protezionismo volto a “salvare i posti di lavoro britannici”. Il protezionismo è un alibi per affossare la lotta di classe, praticare la collaborazione di classe e alimentare un disgustoso sciovinismo contro gli stranieri. Ai vili appelli al “proprio” governo, i marxisti contrappongono la lotta di classe dei sindacati contro la chiusura delle fabbriche e chiedono la ripartizione di tutto il lavoro tra tutta la manodopera disponibile, senza perdite salariali.

Comunque, quando la Gran Bretagna aderì al Mercato comune in seguito al referendum del 1975, la burocrazia del Tuc non batté ciglio. Dopo aver tradito l’eroico sciopero dei minatori del 1984-85, la cui vittoria avrebbe potuto ribaltare l’offensiva contro i sindacati e ispirare la lotta di classe in Europa, i vertici dei sindacati inglesi trovarono una scusa conveniente per abbandonare anche l’opposizione formale al club dei capitalisti europei. La “conversione” avvenne per intercessione di Jacques Delors, che insegnò al Tuc a propinare la “dimensione sociale” di questo blocco commerciale imperialista. Una dichiarazione adottata lo scorso settembre all’ultimo congresso del Tuc diceva: “Negli anni, questo Congresso ha sempre ribadito il suo appoggio ad un’Unione Europea che generi prosperità economica sulla base della giustizia sociale, dei diritti civili ed umani, dell’eguaglianza per tutti e del diritto al lavoro”. La “giustizia sociale” e i “diritti” che a loro dire sancisce l’Ue (ma che di sicuro non ha generato) sono una copertura banale e superficiale per le privatizzazioni, i tagli allo stato sociale e i licenziamenti, e la politica generalizzata di apertura dei servizi pubblici al mercato, mentre i salari e le condizioni di lavoro degli operai sono peggiorati in tutta Europa.

Anche se di solito ruotano nell’orbita del Partito laburista, sia il Socialist Party (Sp), sezione del Comitato per un’internazionale dei lavoratori (Cil) di Peter Taaffe, sia il Socialist Workers Party (Swp) del defunto Tony Cliff hanno preso posizione per “l’uscita”, in nome della lotta all’austerità.

Entrambi questi gruppi insistono su quanto sono stati devastanti gli attacchi subiti dalla popolazione greca. Ma la loro opposizione sulla carta è smentita dalle loro azioni politiche. Nel gennaio 2015 entrambi hanno esultato per la prima vittoria elettorale di Syriza, forza che sostiene l’Unione Europea. Il governo di Syriza ha poi messo in pratica i diktat di austerità dell’Ue. Anche la Coalizione di socialisti e sindacalisti (Tusc) dominata dal Socialist Party e appoggiata dall’Swp, si oppone alla permanenza nell’Ue, chiarendo però di “rispettare assolutamente il diritto dei membri della coalizione che non condividono questa posizione a far pubblicamente campagna per le loro idee”.

Un gruppo che è stato in prima linea nella lotta a favore dell’Ue è la Alliance for Workers’ Liberty (Awl), che a malapena potremmo chiamare riformista. La Awl ha lanciato una campagna denominata “Rimaniamo e lottiamo per un’Europa dei lavoratori”, promuovendo una serie di mozioni standard da usare per mobilitare le sezioni sindacali, il Partito laburista e altre organizzazioni contro l’uscita dall’Ue. In una dichiarazione intitolata “La limitata unità dell’Unione Europea è a rischio”, la Awl se la prende con il referendum promosso da Cameron perché mette a repentaglio il “tessuto” dell’unità europea (Solidarity, 27 gennaio), sostenendo che:

“Anche sotto il capitalismo, un’Unione Europea su base volontaria è meglio che alte barriere tra gli Stati. É un progresso a confronto con secoli di faide tra le élite, di guerre e di nazionalismo. A livello sociale ed economico, l’Europa è un terreno razionale in cui sviluppare le economie dei paesi europei e dove iniziare a livellare al rialzo le condizioni dei lavoratori di tutta Europa e non solo; dove organizzare la produzione industriale e agricola a vantaggio dell’intera razza umana, oltre che a proteggere l’ambiente da cui tutti dipendiamo”.

Un panegirico dell’unità capitalista d’Europa da far arrossire anche Karl Kautsky, il celebre rinnegato del marxismo. Scrivendo nel 1914, alla vigilia della Prima guerra mondiale interimperialista, Kautsky ipotizzò la possibilità di un capitalismo “pacifico” basato sui monopoli sovranazionali:

“Non potrebbe la politica imperialista attuale essere sostituita da una politica nuova ultra-imperialista che al posto della lotta tra i capitali finanziari nazionali mettesse lo sfruttamento generale nel mondo per mezzo del capitale finanziario internazionale unifìcato? Tale nuova fase del capitalismo è in ogni caso pensabile” (citato da Lenin in L’imperialismo, fase suprema del capitalismo, 1916).

Quest’opera, in cui Lenin sviluppò la concezione marxista dell’imperialismo, è un’articolata polemica contro le illusioni spacciate da Kautsky.

Lenin dimostrò che l’imperialismo non è una scelta politica che si possa cambiare, ma la fase ineluttabile e finale del capitalismo, in cui la competizione del libero mercato conduce al predominio del capitalismo monopolista e all’assorbimento del capitale industriale nel capitale finanziario. Una conseguenza inevitabile dell’ascesa e del predominio del capitale finanziario fu la crescita del militarismo, dato che le grandi potenze, al variare dei reciproci rapporti di forza, lottavano per il controllo delle colonie e delle sfere di sfruttamento, in definitiva con la guerra. Lenin ne concluse che:

“il senso obiettivo, vale a dire reale, sociale, della sua ‘teoria’ è uno solo: consolare nel modo più reazionario le masse, con la speranza della possibilità di una pace permanente nel regime del capitalismo, sviando l'attenzione dagli antagonismi acuti e dagli acuti problemi di attualità e dirigendo l'attenzione sulle false prospettive di un qualsiasi sedicente nuovo e futuro ‘ultra-imperialismo’.”

La crisi che oggi scuote l’Ue dimostra nuovamente la contraddizione tra il mercato mondiale creato dal capitalismo e gli Stati nazionali tramite cui il capitalismo è sorto e si è sviluppato. Gli Stati nazionali sono divenuti un ostacolo all’espansione delle forze produttive. Ma non si può eliminare questo ostacolo grazie a una qualche istituzione capitalista sovranazionale. Alla base stessa del capitalismo vi è la competizione tra varie combinazioni capitaliste, ciascuna delle quali, per proteggere i propri investimenti, dipende in definitiva dalla forza militare del proprio Stato. Queste lottano tra loro per ottenere il massimo tasso di ritorno sui propri investimenti, cioè per sfruttare al massimo la classe operaia nel proprio paese e all’estero.

I paesi più potenti finiscono inevitabilmente col dominare quelli più deboli e cercano di appropriarsi della fetta più grossa della torta. L’obiettivo dell’Unione Europea è di facilitare tutto questo.

Il fatto che questa instabile alleanza imperialista sia sopravvissuta così a lungo è responsabilità innanzitutto dei laburisti, dei socialdemocratici e dei loro complici nella burocrazia sindacale. Costoro, non soltanto hanno spinto gli operai ad appoggiare politicamente l’Ue, ma hanno aiutato le borghesie imperialiste con il rifiuto di organizzare la lotta di classe che avrebbe potuto sconfiggere le misure di austerità e gli attacchi anti sindacali imposti dai capitalisti. La Lega comunista internazionale si batte per forgiare dei partiti d’avanguardia internazionalisti proletari sul modello del partito bolscevico di Lenin, che possano guidare delle nuove rivoluzioni d’Ottobre in Gran Bretagna e in tutto il mondo. Quello che scrivemmo più di quaranta anni fa in “Il Partito laburista e il Mercato comune”, vale ancora oggi per l’Ue:

“Solo un’unione su basi socialiste, creata sulla base di una rivoluzione proletaria e dell’espropriazione degli enormi monopoli, potrà portare uno sviluppo economico razionale senza sfruttamento. Gli Stati uniti socialisti d’Europa potranno essere creati solo sulla base della lotta più energica contro il Mercato comune e tutto ciò che esso rappresenta. Solo quando sarà sottoposta al controllo unitario degli operai, la capacità produttiva dell’Europa potrà esser messa al servizio dei lavoratori di tutto il mondo”.