Spartaco n. 78

Marzo 2015

 

Per il diritto all’autogoverno di Donetsk e Lugansk!

Abbasso le sanzioni contro la Russia!

Gli imperialisti di Stati Uniti e Unione Europea fomentano i massacri in Ucraina!

Dall’inizio dell’anno c’è stato un drammatico aumento dei combattimenti tra le forze del governo ucraino e quelle delle repubbliche separatiste di Donetsk e Lugansk, appoggiate dalla Russia. La guerra civile nell’Ucraina orientale, che ha fatto più di 5.300 morti e un milione e mezzo di sfollati, è il risultato delle macchinazioni degli imperialisti americani. Cercando di costruire uno Stato cliente al confine con la Russia, Washington spera di vanificare l’influenza dei suoi potenziali rivali di Mosca nei paesi dell’ex Unione Sovietica. A dicembre, il presidente Obama ha firmato l’Ukraine Freedom Support Act, autorizzando altri 350 milioni di dollari di aiuti militari all’Ucraina in tre anni e nuove sanzioni contro la Russia. Il Pentagono ha lanciato l’Operazione Atlantic Resolve, con cui ha rafforzato la sua presenza aerea, terrestre e navale nell’Europa dell’Est. Ha condotto una serie di vaste esercitazioni militari in Polonia e nei paesi baltici e ha in programma di inviare in Europa altri cento mezzi corazzati e tremila soldati, in aggiunta ai consiglieri militari che addestrano la Guardia nazionale ucraina, infestata dai fascisti. Navi militari americane pattugliano regolarmente il Mar Nero insieme alla marina ucraina. Quasi ogni giorno si hanno notizie di decine di persone uccise dai bombardamenti della artiglieria o da missili che colpiscono case, scuole e ospedali in numerose città e villaggi del Donbass. Nei territori controllati dai ribelli, il governo di Kiev ha smesso di pagare le pensioni e ha sospeso praticamente tutti i servizi bancari. In tutta l’Ucraina, le devastazioni provocate dalla guerra hanno imposto dure condizioni ai lavoratori, ai poveri e agli anziani.

Il 18 marzo 2014, la popolazione della Crimea ha deciso di separarsi dall’Ucraina, governata da forze ultranazionaliste e fasciste e di unirsi alla Russia. Il referendum, che ha vinto con il 97 percento di voti, non ha fatto che sancire il fatto che la Crimea è russa. I governanti imperialisti hanno strillato inorriditi per la “violazione” dei sacri confini dell’Ucraina, perché speravano di sottrarre alla Russia le sue storiche e strategiche basi navali di Sebastopoli, privandola di fatto dell’accesso diretto al Mar Nero e al Mediterraneo. Il referendum è stato possibile solo grazie alla presenza di forze russe nella penisola. Per questo abbiamo appoggiato la loro presenza in Crimea, senza la quale la popolazione non avrebbe mai potuto esercitare il suo diritto all’autodeterminazione. A differenza di quanto afferma la propaganda imperialista, riecheggiata dalla sinistra riformista, non c’è stata nessuna “invasione russa”, ma un intervento difensivo che ha consentito ai russi di Crimea di tornare a far parte della Russia.

L’undici maggio 2014 anche la popolazione delle regioni di Donetsk e Lugansk ha votato per un referendum che proponeva l’autogoverno della regione (il cui contenuto potrebbe andare da una maggiore autonomia in seno ad un’Ucraina federale, alla formazione di uno Stato indipendente, alla fusione con la Russia). Date le condizioni di guerra civile in quel momento, il voto è stato una specie di sondaggio, che comunque ha espresso chiaramente la volontà di autogoverno degli abitanti del Donbass. Noi difendiamo il diritto democratico della popolazione in queste aree di condurre il referendum e di agire sulla base del voto per l’autogoverno, fino ad includere l’indipendenza o l’unificazione con la Russia, se così desiderano. La repressione nell’Est ed a Odessa, dove le squadracce fasciste di Settore destro hanno attaccato ed incendiato la sede dei sindacati, assassinando 40 persone, inclusi militanti dell’organizzazione di sinistra Borotba, ha rafforzato l’ostilità verso Kiev. A differenza delle regioni occidentali, l’Ucraina orientale è caratterizzata da un alto livello di assimilazione tra russi e ucraini. Molte persone sono di origini sia ucraine che russe, altri si identificano come “sovietici” o “popolo del Donbass”.

La risposta del governo di Kiev è stata l’invio delle truppe e delle milizie paramilitari fasciste (insieme ad un discreto numero di mercenari e di “consulenti” occidentali) a reprimere il movimento autonomista del Donbass. La guerra civile nel Donbass è stata il sanguinoso prodotto del colpo di Stato del 22 febbraio, orchestrato dagli imperialisti di Stati Uniti e Unione Europea, che ha installato un governo ultranazionalista amico della Nato e dell’Unione Europea. La forza d’urto delle manifestazioni che hanno portato al golpe sono stati i neonazisti di Settore destro e i fascisti di Svoboda, che hanno anche ottenuto importanti incarichi ministeriali nel primo governo di Kiev e le cui squadracce sono diventate la spina dorsale dell’esercito ucraino nella repressione a Donetsk. Gli attuali fascisti ucraini derivano dai nazionalisti ucraini guidati da Stepan Bandera, che collaborarono militarmente con la Germania nazista e perpetrarono massacri di massa di ebrei, comunisti, soldati sovietici e polacchi.

Oggi è di vitale interesse per la classe operaia ucraina, russa ed internazionale, battersi in difesa della popolazione dell’Ucraina orientale e di Odessa, contro la repressione militare ed il terrore fascista. I marxisti non sono neutrali: siamo dalla parte della popolazione di Donetsk e Lugansk in lotta contro il regime di Kiev. Allo stesso tempo non diamo nessun sostegno politico alla loro direzione reazionaria, che è caratterizzata dallo sciovinismo grande russo e pervasa di fanatismo contro gli ebrei.

Per il diritto di autogoverno del Donbass!

Da leninisti, difendiamo il diritto all’eguaglianza tra le nazioni. Ci opponiamo a qualsiasi discriminazione nazionale e appoggiamo il diritto all’autodeterminazione nazionale, che significa il diritto di separarsi dagli Stati esistenti, formarne di nuovi, o unirsi ad altri. Per tutta la vita Lenin sostenne con forza questa posizione e nelle sue Tesi “La rivoluzione socialista e il diritto delle nazioni all’autodecisione” dell’aprile 1916 scrisse che:

“Il proletariato non può eludere col silenzio la questione—particolarmente ‘spiacevole’ per la borghesia imperialista—delle frontiere di uno Stato fondato sull’oppressione nazionale. Il proletariato non può non lottare contro il mantenimento forzato delle nazioni oppresse nei confini di uno Stato, e questo significa appunto lottare per il diritto di autodecisione. Il proletariato deve esigere la libertà di separazione politica delle colonie e delle nazioni oppresse dalla ‘sua’ nazione. Nel caso contrario l’internazionalismo del proletariato resterà vuoto e verbale; tra gli operai della nazione dominante e gli operai della nazione oppressa non sarà possibile né la fiducia, né la solidarietà di classe (…)”.

Il diritto all’autodeterminazione nazionale vale per i popoli di tutte le nazioni, comprese le grandi potenze come la Russia. Noi rifiutiamo la distinzione, tanto cara alla sinistra riformista, tra quelle che decretano essere le nazioni “buone”, “progressiste”, cui bisogna accordare diritti nazionali, e nazioni “cattive”, “reazionarie” che non se li meritano; una distinzione che è stata usata dalla sinistra filo imperialista per giustificare il rifiuto dell’annessione della Crimea alla Russia.

Certo, siamo a favore del diritto di autodeterminazione, hanno ripetuto in coro i riformisti. Ma non ora, non per la Crimea, non con la Russia. In un esempio lampante, la Tendenza marxista internazionale (in Italia, Falcemartello) ha invocato subito “Fuori le truppe russe dalla Crimea!”:

“Noi riconosciamo il diritto dei popoli all’autodeterminazione, ma non pensiamo in termini dogmatici. Se al referendum del 30 marzo gli abitanti della Crimea voteranno per l'‘indipendenza’, saranno loro stessi a votare per la guerra, nella quale toccherà combattere non solo a loro. (...) Gli abitanti della Crimea hanno il diritto di scatenare la guerra e di condannare alla sofferenza milioni di persone? No!” (marxismo.net “Fermiamo i guerrafondai”, 3 marzo 2014)

E come mai? Semplice, ripetevano quello che hanno sentito dire da Obama e dalla Merkel: l’autodeterminazione della Crimea ist verboten. Dalla Crimea al Donbass, non appena qualcuno ha proposto di sottrarre anche un metro quadrato del sacro suolo dello Stato ucraino, gli imperialisti e i loro sostenitori hanno strillato “invasione della Russia”. Alla faccia di Falcemartello, la popolazione di Crimea ha ribadito che la Crimea è russa, e le orde di giornalisti che si sono avventati in Crimea alla ricerca di una “carneficina di tartari” non hanno avuto niente da riportare.

Anche gruppi come il Partito comunista dei lavoratori (Pcl), che hanno condannato il regime di Kiev e che a fatto compiuto hanno accettato l’annessione della Crimea alla Russia, si sono però opposti all’intervento russo e all’autodeterminazione della Crimea. Il Pcl ha giustificato il suo rifiuto di sostenere la presenza delle truppe russe in Crimea rivendicando la neutralità dei marxisti in un conflitto tra potenze imperialiste. Ma la Russia non è un paese imperialista. La Russia capitalista, a differenza dei paesi imperialisti, esporta principalmente materie prime e solo in linea subordinata capitali, i suoi interventi militari sono limitati all’Asia centrale ex sovietica, le sue aspirazioni imperialiste inoltre si scontrano con gli Stati Uniti e i paesi imperialisti europei che vogliono mantenerla fuori dal numero ristretto delle vecchie potenze imperialiste. La Russia ha il potenziale per aspirare ad essere una potenza imperialista, in termini di popolazione e di un vasto potenziale militare ed economico ereditato dallo Stato operaio degenerato sovietico, nonostante le immense devastazioni indotte dalla controrivoluzione capitalista del 1991-1992. Ma le sue aspirazioni sono state frustrate dalla incessante campagna degli imperialisti, in particolare di quelli americani, per impedire che possa diventare un rivale pericoloso.

Per far quadrare la propria opposizione al regime di Kiev col rifiuto di appoggiare i diritti nazionali delle popolazioni ucraine dell’Est, il Pcl e Falcemartello, hanno dipinto la lotta nel Donbass con i toni dell’antifascismo, mettendo in secondo piano il fatto che si tratta essenzialmente di una lotta nazionale. Così facendo, hanno finito pure con l’abbellire la natura delle forze che appoggiano le repubbliche di Donetsk e Lugansk, descrivendole a volte come progressiste o socialiste, mentre si tratta di un blocco eterogeneo che va dai fascisti russi di A. Dugin (cofondatore del Partito nazionalbolscevico) alle forze di sinistra di Borotba, sotto la direzione dei nazionalisti di destra filorussi, spesso intrisi di odio per gli ebrei e di clericalismo.

Manovre della Nato contro la Russia capitalista

I principali responsabili della situazione in Ucraina sono le potenze imperialiste, che sin dai tempi dell’Unione Sovietica hanno fomentato e finanziato le forze nazionaliste e anticomuniste più reazionarie per distruggere lo Stato operaio nato dalla Rivoluzione d’Ottobre. Dopo la controrivoluzione, le diplomazie occidentali hanno continuato a complottare per spezzare gli storici legami economici e politici dell’Ucraina con la Russia, come parte del loro sforzo di impedire che la Russia capitalista emergesse come potenza imperialista rivale. La separazione dell’Ucraina dalla Russia è sempre stata una componente centrale dei piani della Nato. Come spiegò nel 1997 l’ex consulente della Casa Bianca Zbigniew Brzezinski:

“Senza l’Ucraina, la Russia cessa di essere un impero eurasiatico. (…) Ma se Mosca riconquista il controllo dell’Ucraina, coi suoi 52 milioni di abitanti e grandi risorse naturali, oltreché l’accesso al Mar Nero, la Russia automaticamente riconquisterà le condizioni che ne fanno un potente Stato imperiale esteso fra Asia ed Europa”.

Infatti, gli ultimi vent’anni hanno testimoniato la costante espansione verso Est della Nato e dell’Unione Europea. La Repubblica ceca, l’Ungheria e la Polonia fanno parte della Nato dal 1999. Nel 2004, la Nato è stata ulteriormente allargata ad includere non solo la Romania e la Bulgaria, ma anche l’Estonia, la Lettonia e la Lituania, che un tempo facevano parte dell’Unione Sovietica.

L’estensione militare è stata ottenuta combinando l’intervento diretto (i bombardamenti in Serbia nel 1999) e il sostegno politico e finanziario alle “rivoluzioni colorate” in Serbia, Georgia, Ucraina ed in Asia centrale. Il recente golpe di Kiev è stato una ripetizione riuscita della “rivoluzione arancione” del 2004, in cui gli Usa finanziarono i cosiddetti “movimenti democratici” per cacciare il presidente in carica, Kuchma, e sostiuirlo con i mafiosi proatlantici Timoshenko e Yushenko. Persino un giornale filo imperialista come il Guardian riconobbe che la “rivoluzione arancione” era stata “finanziata e organizzata dal governo Usa, con dispiegamento di consulenti, sondaggisti, diplomatici, dei due grandi partiti americani e delle organizzazioni non governative”.

Rifondazione comunista ha denunciato il ruolo di Stati Uniti ed Unione Europea per il sostegno ai fascisti di Kiev e si è opposta alle sanzioni contro la Russia. Ma ha dichiarato anche di battersi per assicurare “l’indipendenza dell’Europa dagli Usa”, perciò sostenendo che l’Unione Europea imperialista possa essere una forza di progresso. L’Unione Europea è un blocco imperialista che ha lo scopo di mettere sotto torchio la classe operaia e di agire sotto la guida tedesca, per rapinare i paesi capitalisti più deboli e dipendenti. La sua espansione ad Est può significare solo accresciuta miseria per la classe operaia di tutto il continente. Rifondazione ha dato il suo contributo alla “fortezza Europa” razzista partecipando a due governi borghesi nel 1996-98 (con l’approvazione della legge razzista Turco-Napolitano) e nel 2006-08 (con l’approvazione del “pacchetto sicurezza” contro gli immigrati rumeni). Abbasso l’Unione Europea e la “fortezza Europa” razzista! Noi lottiamo per l’espropriazione della borghesia attraverso la rivoluzione socialista e per un’economia internazionale pianificata che supererà i limiti dello Statonazione. Per gli Stati uniti socialisti d’Europa!

Frutti amari della distruzione dell’Unione Sovietica

La situazione in Ucraina è il prodotto della distruzione controrivoluzionaria dell’Unione Sovietica, il primo Stato operaio nel mondo, nel 1991-92. La controrivoluzione promossa dagli imperialisti ha portato al collasso economico ed alla sanguinaria resurrezione degli antagonismi nazionali, trascinando nella miseria le popolazioni di Russia, Ucraina e delle altre ex repubbliche sovietiche. La Lega comunista internazionale, al meglio delle nostre possibilità e risorse, si è battuta per difendere l’Urss contro la restaurazione del capitalismo e per una rivoluzione politica proletaria che spazzasse via la burocrazia stalinista, la cui politica ha minato le conquiste della Rivoluzione d’Ottobre.

La maggior parte degli pseudo trotskisti che sono oggi contrari al diritto di autodeterminazione della Crimea, non si faceva scrupoli nell’appoggiare i movimenti nazionalisti controrivoluzionari sponsorizzati dagli imperialisti, che sfruttavano la richiesta di autodeterminazione come strumento per rovesciare lo Stato operaio sovietico.

Le organizzazioni di sinistra come il Pcl, Falcemartello e il Pdac, che hanno sostenuto in varia misura la crociata antisovietica in nome dell’“antistalinismo” hanno la loro parte di responsabilità per la devastazione sociale e lo sciovinismo nazionalista che hanno flagellato l’Unione Sovietica e l’Europa dell’Est dopo la controrivoluzione.

Riproduciamo di seguito il volantino distribuito dalla Lega trotskista d’Italia dopo il referendum in Crimea.


Ucraina: un golpe infestato di fascisti e sostenuto dagli imperialisti

La Crimea è russa!

Dal 18 marzo la Crimea fa ufficialmente parte della Russia. La firma del trattato di riunificazione da parte del presidente russo Vladimir Putin e del suo omologo di Crimea ha sanzionato il referendum con cui quasi il 97 percento dei votanti (l’83 percento dell’elettorato) si è espresso a favore della secessione dall’Ucraina e dell’annessione alla Russia. Avendo in precedenza denunciato il referendum come “illegittimo”, l’amministrazione Obama e i suoi alleati occidentali si sono rifiutati di riconoscere la riunificazione e hanno imposto una nuova serie di sanzioni, anche contro dei funzionari russi.

Sin da quando lo scorso febbraio l’uomo forte russo Vladimir Putin ha schierato le truppe in Crimea, attuando una risoluzione del parlamento russo, la macchina della propaganda occidentale ha avuto una crisi isterica. Il segretario di Stato americano John Kerry ha dichiarato che la Russia avrebbe pagato “un prezzo enorme” per l’invasione, minacciandone l’espulsione dal G8 imperialista e il congelamento dei beni russi all’estero. Senza il minimo senso del ridicolo, Kerry ha pontificato: “Nel Ventunesimo secolo, non ci si può comportare come nel Diciannovesimo, invadendo un altro paese sulla base di un pretesto completamente inventato”. Afghanistan, Iraq, Libia, Siria, ecc.: l’elenco dei paesi minacciati e invasi dagli imperialisti americani “nel Ventunesimo secolo” è interminabile. E in realtà gli imperialisti americani in particolare, ma anche quelli dell’Unione Europea, hanno influenzato fortemente gli eventi in Ucraina.

L’intervento della Russia in Crimea è una risposta al rovesciamento del governo nella capitale ucraina di Kiev. Il 22 febbraio, il corrotto presidente filorusso, Viktor Yanukovich, è stato rovesciato da un colpo di Stato di destra guidato da fascisti e sostenuto dagli Stati Uniti e dall’Unione Europea. Yanukovich è poi fuggito in Russia. I teppisti armati di molotov che hanno guidato tre mesi di mobilitazioni di massa nelle strade di Kiev, occupando edifici governativi e scontrandosi violentemente con la polizia, hanno ora preso il sopravvento. I fascisti del partito Svoboda hanno un vice primo ministro e diversi ministri nel nuovo governo. Il cofondatore di Svoboda, Andriy Parubiy, è a capo del Consiglio nazionale per la sicurezza e la difesa, che controlla le forze armate. Il nuovo vice primo ministro per gli affari economici, anch’egli di Svoboda, è Oleksandr Sych, un parlamentare tristemente famoso per i tentativi di vietare l’aborto anche in caso di stupro. Mentre Arseniy Yatsenyuk, favorito di Washington e capo del partito Patria è ora il nuovo primo ministro, i teppisti di piazza Maidan continuano a dettare la politica.

L’ascesa al potere della destra nazionalista ucraina con un colpo di Stato, ha allarmato profondamente la popolazione nelle aree di lingua russa, specialmente nelle regioni dell’Est e Sudest dell’Ucraina. Uno dei primi atti del nuovo regime, l’abolizione di una legge del 2012 che consente l’uso ufficiale della lingua russa e delle altre lingue minoritarie, è stata giustamente considerata un attacco contro le minoranze non ucraine, e ha provocato proteste diffuse, persino a Lviv (Leopoli), dove i fascisti hanno una base considerevole. Tredici regioni dell’Ucraina su ventisette, soprattutto nella parte orientale del paese, avevano adottato il russo come seconda lingua ufficiale, e due regioni occidentali il romeno, l’ungherese e il moldavo. In Crimea, ove il 58,5 percento della popolazione è di etnia russa, il 24,4 percento ucraina e il 12,1 percento tatara, la nuova legge sciovinista di Kiev ha colpito circa il 97 percento dei due milioni di abitanti della regione che utilizza il russo come lingua principale, a prescindere dal retroterra etnico.

L’esercito russo, con l’aiuto delle forze di “autodifesa” locali, ha preso il controllo della Repubblica autonoma di Crimea. Secondo quanto riportato, la maggior parte delle truppe ucraine in Crimea hanno disertato passando dalla parte russa, incluso il capo della marina ucraina e 800 unità di una base aerea ucraina in Crimea. I disordini si sono diffusi anche nell’Ucraina orientale.

Come era prevedibile, il nuovo governo ucraino ha condannato l’intervento di Putin come un’appropriazione da parte della Russia di territorio ucraino, e gli analisti borghesi lo hanno paragonato alla guerra russo-georgiana del 2008. L’intervento militare russo in Crimea non è come quella guerra, durante la quale le forze russe entrarono in territorio georgiano. In quella guerra, i marxisti avevano una linea disfattista rivoluzionaria: ci siamo opposti ad entrambe le forze militari borghesi (la Georgia era sostenuta dall’imperialismo occidentale).

Al contrario di come spesso lo presentano i media occidentali, l’intervento russo in Crimea non è un invasione di un “paese straniero”, nonostante la Crimea faccia formalmente parte dell’Ucraina. La Crimea è stata territorio russo sin dal tardo Diciottesimo secolo, quando fu strappata all’impero ottomano. Fu solo nel 1954 che il premier sovietico Nikita Krusciov cedette la Crimea alla Repubblica sovietica ucraina. Più tardi, con il crollo dell’Unione Sovietica, la zona divenne oggetto di accese dispute tra quelli che erano diventati gli Stati borghesi di Russia e Ucraina. Nel 1991, un tentativo degli abitanti locali di tenere un referendum sull’indipendenza della Crimea fu vietato a tempo indeterminato dalle autorità ucraine.

All’interno della Crimea, i principali oppositori alla secessione dall’Ucraina sono i tatari, un popolo turco a stragrande maggioranza musulmano. Il 26 febbraio, si sono verificati scontri nella capitale di Crimea, Simferopoli, tra tatari e manifestanti filorussi, che hanno provocato due morti e trenta feriti. La diffidenza dei tatari nei confronti delle autorità russe risale al periodo di Stalin, che nel 1944 deportò in massa i tatari della Crimea, dalla loro patria storica verso l’Asia centrale e altre regioni dell’Unione Sovietica.

Sin dal 1991-92, quando la controrivoluzione distrusse lo Stato operaio degenerato sovietico, abbiamo insistito sulla necessità dell’unità dei lavoratori nella lotta contro lo sfruttamento capitalista e contro tutte le forme di oppressione, inclusa l’oppressione nazionale e il fanatismo contro gli ebrei. In una dichiarazione della Lega comunista internazionale del 3 aprile 1995, rilasciata dopo che eravamo stati banditi dall’Ucraina da una caccia alle streghe anticomunista, abbiamo affermato che “oggi, nella nostra lotta per l’affermazione e la difesa dei diritti democratici dei lavoratori e di tutte le nazionalità, crediamo che in Crimea e in Cecenia sia all’ordine del giorno un plebiscito sull’appartenenza nazionale” (Wv n. 620, 7 aprile 1995).

Il popolo di Crimea ha tutto il diritto all’autodeterminazione, inclusa l’indipendenza o l’annessione alla Russia. Nella situazione attuale, la possibilità di esercitare questo diritto dipende anche dal sostegno delle forze russe. Infatti, è stato il nuovo governo di Crimea a chiederne l’intervento.

Rientra nei principi marxisti sostenere l’intervento russo in Crimea. Trasferire la Crimea all’Ucraina fu uno stupido errore amministrativo del regime di Krusciov, che andava contro la storia e la composizione nazionale e linguistica della Crimea. Le nuove autorità hanno dichiarato, almeno a parole, di voler tener conto delle preoccupazioni dei tatari, anche se la cosa resta da verificare. Il vice primo ministro di Crimea, Rustam Temirgaliev, ha detto che il governo locale offrirà ai tatari un posto nel Consiglio Supremo di Crimea e che vi saranno finanziamenti significativi ai programmi di reinsediamento e reintegrazione dei deportati durante l’era di Stalin (Russia Today, 2 marzo).

In un primo momento (Wv n. 1041, 7 marzo 2014) avevamo subordinato il nostro sostegno all’intervento russo alla “condizione che la Russia garantisca dei diritti speciali alla minoranza tatara, già decisamente oppressa sotto il dominio dell’Ucraina”. La condizione da noi posta all’appoggio all’intervento russo e quindi all’esercizio dell’autodeterminazione della maggioranza del popolo della Crimea, era un errore e un cedimento alla propaganda imperialista contro la Russia. Se il rispetto dei diritti delle ulteriori minoranze fosse un criterio decisivo per riconoscere il diritto all’autodeterminazione, bisognerebbe concludere che tale diritto non è mai applicabile, dato che non esiste quasi nazione oppressa che non includa a sua volta altre minoranze etniche o nazionali. Era sbagliato subordinare l’appoggio alle truppe russe in Crimea alla questione dei tatari: ammesso che la Crimea avesse potuto separarsi dall’Ucraina senza bisogno di un intervento russo, le truppe russe vi sarebbero comunque entrate dopo l’adesione alla Russia. Certamente uno dei compiti fondamentali dei marxisti in Russia è la difesa dei diritti dei tatari musulmani e delle altre minoranze etniche e nazionali, come ad esempio quella cecena. Pur appoggiando l’intervento russo in Crimea non diamo alcun appoggio al regime capitalista e sciovinista russo di Putin, ma i timori della minoranza tartara non possono cancellare il diritto democratico della maggioranza in Crimea di unirsi alla Russia.

Per il diritto di autodeterminazione di tutte le nazioni!

La Crimea non è un caso di “popoli interpenetrati” Quando si parla di popoli interpenetrati, non ci si riferisce ad un miscuglio di nazionalità ed etnie all’interno di un singolo Stato, che è la norma in tutto il mondo, ma alla situazione in cui due (o più) popoli si contendono lo stesso territorio, e alle implicazioni programmatiche per i leninisti, ad esempio, in Israele/Palestina e in Irlanda del Nord. Come afferma la Dichiarazione internazionale di principi della Lci, in caso di popoli interpenetrati: “il diritto democratico di autodeterminazione nazionale non può essere ottenuto da un popolo senza che siano violati i diritti nazionali degli altri. Perciò questi conflitti non possono essere risolti con giustizia in un quadro capitalistico. Il presupposto per una soluzione democratica è spazzare via tutte le borghesie della regione”.

Il diritto di autodeterminazione e gli altri diritti nazionali valgono per i popoli di tutte le nazioni, compresi quelli di grandi potenze come la Russia. Da marxisti, abbiamo sempre rifiutato la metodologia che accorda diritti democratici solo a certi popoli “progressisti” ma non a quelli considerati “reazionari”. Ad esempio, lo Stato sionista opprime brutalmente i palestinesi, ma noi riconosciamo anche i diritti nazionali degli ebrei israeliani come quelli dei palestinesi e ci opponiamo all’idea che gli ebrei debbano essere ricacciati in mare.

L’autodeterminazione è un diritto democratico e non è assoluto. La sua applicazione è subordinata alle esigenze della lotta di classe. Come sottolineò il dirigente bolscevico V.I. Lenin, il riconoscimento del diritto di autodeterminazione è un modo per togliere la questione nazionale dall’ordine del giorno e per favorire l’unità del proletariato nella lotta, consentendo in tal modo ai lavoratori di diverse nazioni di vedere chi sono i loro veri nemici, cioè le rispettive classi capitaliste. Noi siamo avversari implacabili del nazionalismo russo e di ogni altra forma di nazionalismo. Per questo abbiamo appoggiato il popolo ceceno nelle sue lotte armate per l’indipendenza dai brutali oppressori russi, sia all’epoca di Boris Eltsin, che sotto Vladimir Putin.

Intervenendo in Crimea, Putin punta a difendere gli interessi della Russia capitalista dagli imperialisti occidentali che vogliono stabilire un loro Stato cliente ai confini russi. Ma allo stesso tempo, in un contesto di crescente ostilità contro la popolazione russa in Ucraina, le azioni militari dettate dalla realpolitik russa corrispondono alle ben fondate paure nazionali dei russi in Crimea.

Gli operai devono spazzar via i fascisti dalle strade!

Il nostro atteggiamento verso l’intervento russo in Crimea non implica il minimo appoggio politico al regime capitalista di Putin. Ugualmente, la nostra opposizione al golpe in Ucraina, non significa che diamo alcun appoggio politico a Yanukovich e soci. Prima del golpe, si sarebbe dovuta affermare l’unità di classe del proletariato al di sopra delle divisioni etniche che affliggono il paese attraverso mobilitazioni della classe operaia ucraina per spazzar via i fascisti dalle strade di Kiev, la cosa sarebbe stata nell’interesse del proletariato internazionale. Oggi sarebbe un bene per il proletariato formare delle milizie operaie multietniche e non settarie per schiacciare i fascisti e respingere ogni forma di violenza tra le comunità.

In Wv n. 1038 del 24 gennaio, abbiamo evidenziato il ruolo decisivo giocato dai fascisti nelle manifestazioni antigovernative in Ucraina. Nonostante sia chiaro a tutti che l’opposizione oggi al potere è una roccaforte dei neonazisti, il New York Times e altri portavoce della classe dominante americana continuano a evitare di chiamarli col loro nome. I media occidentali continuano a spargere la menzogna secondo cui non si sarebbe trattato di un golpe, ma di una “rivoluzione pacifica” per la democrazia e contro la corruzione.

Svoboda è un partito fascista anti ebrei. Il suo leader Oleg Tyagnibok sostiene che l’Ucraina è dominata dalla “mafia ebrea moscovita”. Il partito deriva dai nazionalisti ucraini capeggiati da Stepan Bandera, che durante la Seconda guerra mondiale collaborarono con i nazisti e furono artefici di massacri di massa di ebrei, comunisti, soldati sovietici e polacchi. All’inizio il partito si chiamava Partito socialnazionalista dell’Ucraina, con un ovvio richiamo al partito nazista (nazional-socialista) tedesco. Lo scorso gennaio, Svoboda ha capeggiato una fiaccolata di 15 mila persone a Kiev e un’altra a Lviv (sua roccaforte nell’Ucraina occidentale) in memoria del suo eroe Bandera.

Nel corso delle proteste, Svoboda è stato scavalcato da gruppi ancor più estremi, come Settore destro, che pensa che Svoboda sia troppo “liberal” e “conformista”. Settore destro ha messo in piedi delle squadracce paramilitari che hanno attaccato la polizia con l’obiettivo di rovesciare il governo. Dopo il golpe i sostenitori di Settore destro di Stryi, nella regione di Lviv, hanno distrutto un monumento nazionale che commemorava i soldati dell’Armata Rossa morti per liberare l’Ucraina dalla Germania nazista. Negli ultimi due mesi sono anche state distrutte decine di statue di Lenin. Aleksandr Muzychko, il capo di Settore destro nell’Ucraina occidentale, ha promesso di combattere “fino alla morte contro gli ebrei, i comunisti e la feccia russa”. A conferma del fatto che è Settore destro a controllare la situazione, Muzychko ha detto che, una volta rovesciato il governo, “o ci saranno ordine e disciplina”, oppure “le squadre di Settore destro ammazzeranno i bastardi sul posto”.

Il governo dell’Ucraina del dopo golpe (nella misura in cui esiste un governo), si fa dettar legge in gran parte da questi gruppi neonazisti, russofobi, ultranazionalisti e nemici degli ebrei. Oltre ad aver cancellato lo statuto ufficiale delle lingue parlate dalle minoranze, il nuovo regime ha messo fuorilegge, nelle regioni dell’Ucraina occidentale, il Partito “comunista” (Pc), che in passato ha collaborato apertamente con il governo borghese di Yanukovich e col suo Partito delle regioni. Il Pc, che vanta 115 mila iscritti e più di due milioni di elettori, ha raccontato che suoi sostenitori sono stati attaccati e picchiati e che la casa del leader del Pc è stata data alle fiamme. Anche un rabbino di Kiev ha chiesto alla popolazione ebrea di lasciare se possibile la città e il paese. In effetti, il 24 febbraio, una sinagoga è stata attaccata con bombe incendiarie a Zaporozhye, nel sudest dell’Ucraina.

L’attuale crisi Ucraina è stata scatenata dalla decisione di Yanukovich di respingere il “partenariato” con l’Ue. Il vice segretario di Stato americano per gli affari dell’Europa e dell’Eurasia, Victoria Nuland, il rappresentante per gli esteri Catherine Ashton, il senatore degli Usa John McCain e molti altri politici americani ed europei si sono precipitati in piazza Maidan a Kiev per incoraggiare e sostenere i manifestanti. Il 17 dicembre, Putin ha offerto a Yanukovich, in crisi di liquidità, un prestito di 15 miliardi di dollari e la riduzione del prezzo del gas. Lungi dal poter sottrarre il paese alla povertà, il prestito sarebbe stato una boccata d’aria per l’Ucraina sull’orlo della bancarotta. Il senato Usa ha subito condannato il prestito di Putin definendolo una “costrizione economica russa”.

Gli avvenimenti ucraini sono, sotto ogni punto di vista, un prodotto della controrivoluzione che ha distrutto lo Stato operaio burocraticamente degenerato sovietico, sconvolgendo le economie e i popoli delle ex repubbliche sovietiche. Il livello di vita è crollato in tutta l’ex Unione Sovietica. In Ucraina, nel 2000 i salari reali erano al massimo un terzo di quelli del 1991 e i posti di lavoro nell’industria sono crollati del 50 percento tra il 1991 e il 2001. In quanto ex repubblica sovietica, l’Ucraina continua ad essere fortemente dipendente dalla Russia sul piano economico. Il grosso dell’industria (la produzione di acciaio, metalli, treni e apparecchiature nucleari) si concentra nell’Ucraina orientale, ortodossa e fortemente russificata e non nell’occidente rurale in prevalenza uniato-cattolico. Queste industrie, che per la Russia sono molto importanti, non valgono niente per gli imperialisti, che vorrebbero liquidarle.

I 46 milioni di abitanti dell’Ucraina sono profondamente divisi: gran parte dell’Ucraina occidentale vorrebbe legami più stretti con l’Ue, mentre le regioni orientali e meridionali cercano l’appoggio della Russia. Il paese è polarizzato anche dalla lotta tra bande rivali di miliardari capitalisti corrotti, che hanno rapinato le ricchezze industriali costruite dalla classe operaia multinazionale dell’Unione Sovietica. Quelli che aspirano ad ottenere maggiori investimenti europei, guardano ad Ovest. Viceversa, Yanukovich aveva la sua base di appoggio in Ucraina orientale e in Crimea, che vivono del commercio con la Russia.

La classe operaia ucraina, che all’inizio degli anni Novanta aveva dimostrato una notevole combattività nella regione industriale orientale di Donetsk, per ora non si è espressa. É evidente che gli operai non nutrivano alcuna simpatia per il mafioso Yanukovich. Ma il golpe filoimperialista in Ucraina, guidato dai fascisti, espone la classe operaia ad uno sfruttamento ancor più duro da parte degli imperialisti.

Le rivalità tra le grandi potenze

Per i “democratici” imperialisti americani, schierarsi dalla parte di ultra reazionari e fascisti non è mai stato un problema. Dopo la Seconda guerra mondiale, i servizi segreti occidentali protessero le unità di Bandera, trasformandole in forze guerrigliere rivolte contro i sovietici. Oggi che hanno bisogno di imporre un’austerità sempre più dura per mantenere il flusso dei profitti, la classe dominante ucraina e i suoi padrini imperialisti potrebbero aver bisogno dei fascisti per far sì che il malcontento sociale si rivolga contro le minoranze, gli ebrei o gli immigrati, anziché prendersela con gli oligarchi e i capitalisti stranieri. I fascisti potrebbero anche tornare loro utili per schiacciare gli operai combattivi e la sinistra.

Settant’anni di economia pianificata trasformarono la Russia sovietica in un paese in gran parte urbanizzato, creando manodopera qualificata, con un personale tecnico e scientifico molto ben formato. Negli ultimi anni l’economia russa si è ripresa dalla catastrofe provocata dalla “terapia d’urto” che accompagnò la controrivoluzione capitalista, è il principale produttore mondiale di gas e petrolio e possiede ancora un importante arsenale nucleare. Dispone anche di un seggio permanente al Consiglio di sicurezza dell’Onu e la possibilità di essere una spina nel fianco degli Stati Uniti, come è successo ad esempio l’anno scorso, quando Obama ha minacciato di attaccare la Siria.

Nella loro costante corsa all’egemonia mondiale, gli Usa hanno cercato di contenere la forza della potenza regionale russa, allargando progressivamente la Nato nell’Europa orientale e cercando di instaurare governi compiacenti nelle repubbliche ex sovietiche tramite varie “rivoluzioni” colorate. Hanno anche installato basi militari in tutta l’Asia centrale e in vari paesi ai confini con la Russia. L’espansione militare punta ad accerchiare non soltanto la Russia capitalista, ma anche la Cina, che è il più grande e potente tra i restanti Stati operai burocraticamente deformati.

Da parte sua, la Russia è andata spesso a braccetto con l’imperialismo americano. Per esempio, dopo il 2009 la Russia ha consentito il trasporto di truppe e di armi destinate all’Afghanistan attraverso il suo spazio aereo, mentre in passato aveva consentito il passaggio soltanto a rifornimenti “non letali”.

É incredibile l’ipocrisia con cui gli Usa, l’Ue e il loro codazzo di mass media, hanno condannato “l’intro missione” della Russia negli affari dell’Ucraina. Gli imperialisti sono i primi ad aver le mani in pasta in Ucraina! La telefonata tra Viktoria Nuland e l’ambasciatore americano in Ucraina Geoffrey Piatt, in cui Nuland manda “affanculo l’Unione Europea” era una disputa su chi avrebbe dovuto prendere il potere dopo Yanukovich: Nuland respingeva con forza l’idea dell’ex pugile Vitali Klitschko, appoggiato dall’imperialismo tedesco. Il professor Stephen Cohen ha ben descritto la telefonata in una sua intervista del 20 febbraio a Democracy Now!: “Il massimo esponente del Dipartimento di Stato, che parla per conto dell’amministrazione Obama, e l’ambasciatore americano a Kiev complottavano, in parole povere, un colpo di Stato contro il presidente eletto dell’Ucraina”.

L’Unione Europea ha svolto un ruolo di primo piano nel colpo di Stato, facendo da rampa di lancio per l’austerità imposta dal Fmi. L’Ue è un blocco commerciale imperialista dominato dalla Germania, e la sua “offerta” di partnership significherebbe una povertà ancora peggiore per la classe operaia ucraina. Il prestito del Fmi, collegato con l’accordo dell’Unione Europea, prevede che l’Ucraina non possa accettare alcun sostegno finanziario da parte della Russia. Richiede l’eliminazione dei sussidi agli ucraini per gas e petrolio e renderà impossibile per molti riscaldare le case nei gelidi inverni. Richiede inoltre ulteriori e molto più drastiche privatizzazioni dei servizi e delle industrie pubbliche.

Riformisti al traino degli imperialisti

I mass media borghesi occidentali hanno spacciato il golpe di Kiev come una “battaglia per la democrazia” e strillato che l’adesione della Crimea alla Russia violava il “diritto internazionale”. In ciò sono stati spalleggiati da varie organizzazioni sedicenti marxiste. Il caso più grottesco è rappresentato dal Partito di alternativa comunista (Pdac), che ha dipinto il golpe di Kiev come una “rivoluzione” tra le “più avanzate a livello mondiale”. Per il Pdac i russi di Crimea non sono “una nazionalità oppressa” e non “hanno né possono avere il diritto democratico all’autodeterminazione nazionale (separazione)”. Perciò il Pdac esige “il ritiro immediato di tutte le truppe russe e dei suoi rappresentanti politici in Crimea, così come l’invalidazione del fraudolento referendum” e si schiera con chi “in piazza Maidán, grida Unità! L’Ucraina è indivisibile! La Crimea è Ucraina!”, cioè i fascisti ucraini.

Anche i gruppi che hanno ammesso la natura reazionaria del golpe di Kiev e (in teoria) il diritto di autodeterminazione della Crimea, nei fatti hanno rifiutato di appoggiare la presenza delle truppe russe senza il quale l’autodeterminazione sarebbe stata impossibile. Rifondazione comunista si è come al solito impegnata a spargere pie illusioni sul fatto che i guerrafondai imperialisti si possano trasformare in colombe, chiedendo che “Obama e l’Unione Europea, invece di minacciare Putin, fermino i nazisti e gli altri folli che siedono oggi al governo di Kiev e discutano con Putin su come spegnere la guerra che sta nascendo in Ucraina”. Rifondazione sostiene di battersi “affinché l’Europa sia indipendente dagli Usa e abbia nel rapporto con la Russia e con il Mediterraneo un punto fondamentale del suo posizionamento geopolitico”. Promuove cioè gli interessi del blocco imperialista europeo, esortandolo ad essere più indipendente dai rivali americani. Il Partito comunista dei lavoratori ha ammesso che “il distacco della Crimea dall’Ucraina e il suo ritorno alla Russia è conforme nella sostanza al suo diritto di autodeterminazione”, ma ne ha osteggiato l’attuazione concreta opponendosi all’intervento russo in Crimea perché “le istanze russofile sono oggi la leva di manovra di altre forze e interessi” e facendo appello a non schierarsi: “Né coi liberal/fascisti di Kiev, né col bonapartista Putin. Per un’Ucraina socialista unita”. Il richiamo ad una “Ucraina socialista unita”, serve al Pcl solo per rifiutare l’attuale concretizzazione del diritto di autodeterminazione della Crimea: l’adesione allo Stato capitalista russo.

La Rivoluzione russa e la questione nazionale

Il Partito bolscevico che guidò la Rivoluzione d’Ottobre del 1917, lottava sistematicamente per l’eguaglianza di tutte le nazioni, di tutti i popoli e lingue e si opponeva a ogni forma di disuguaglianza e di privilegi per qualsiasi nazionalità. Questo gli consentì di organizzare i lavoratori (russi, ebrei, armeni, azeri, ucraini ecc.) per il rovesciamento del potere dei capitalisti e dei grandi proprietari terrieri.

Nei primi anni dopo la Rivoluzione d’Ottobre, i bolscevichi difesero assiduamente i diritti dei diversi popoli e nazionalità del paese. Nel 1921 ad esempio fu costituita, in seno alla Federazione russa, la Repubblica autonoma di Crimea. Circa un quinto della sua popolazione era formata da tatari di Crimea, che ebbero la possibilità di sviluppare nettamente la loro cultura nazionale: istituirono centri di ricerca nazionale, musei, biblioteche e teatri. Tuttavia, col trionfo e il consolidamento di una burocrazia stalinista a partire dal 1923-24, rifiorì anche lo sciovinismo grande russo. In alcuni anni, l’insegnamento della lingua e della letteratura tatare di Crimea fu soppresso, insieme a tutte le pubblicazioni in lingua tatara.

Quando i nazisti invasero l’Unione Sovietica nel 1941, una parte dei tatari li accolse come liberatori. Molti tatari combatterono invece contro la Germania nelle file dell’Armata Rossa. Stalin mise in atto una vendetta collettiva per punire la popolazione tatara di Crimea. Nel 1944 circa 180 mila tatari furono deportati nell’Asia centrale e in altre regioni dell’Urss. Un trattamento simile fu riservato anche ai ceceni e ai tedeschi del Volga. Quasi metà della popolazione tatara perì nella marcia verso l’esilio. Solo a partire dal 1967 le autorità sovietiche iniziarono la “riabilitazione” dei tatari. Solo vent’anni dopo fu loro consentito di iniziare a tornare in Crimea, suscitando molto risentimento tra i tatari.

Sarebbe sbagliato però considerare i rapporti tra le nazionalità dello Stato operaio degenerato sovietico come un mero prolungamento della prigione dei popoli zarista. Le politiche della burocrazia stalinista ebbero un impatto contraddittorio. L’esistenza di un’economia socializzata e pianificata, forniva le basi materiali per lo sviluppo delle aree più arretrate dell’Urss, come l’Asia centrale sovietica. L’Ucraina conobbe un notevole sviluppo industriale. L’attuazione della piena occupazione, dell’assistenza sanitaria universale e di altre conquiste tolse il terreno sotto i piedi alle forme più violente di nazionalismo borghese e di fanatismo contro gli ebrei che si nutrono del malcontento nella società capitalista. L’Armata Rossa schiacciò gli invasori nazisti nella Seconda guerra mondiale liberando l’Ucraina dalla feccia fascista.

Con la restaurazione del capitalismo nell’ex Unione Sovietica, è tornata tutta la “vecchia merda”, accompagnata dal riacutizzarsi degli antagonismi nazionali, che contrappongono i lavoratori in una lotta tra poveri per la sopravvi venza. Come abbiamo già spiegato in passato, la distruzione dell’Unione Sovietica ha rivelato una situazione che vede una considerevole interpenetrazione di popoli e di unità economiche e produttive ereditate da un’economia pianificata a livello centrale e sintonizzate con essa. Questo vale anche per l’Ucraina, specialmente per le sue regioni orientali.

Il futuro sotto il capitalismo non promette niente di buono. Un ulteriore impoverimento economico potrebbe alimentare la crescita dei risentimenti e degli scontri tra i vari gruppi etnici e dare alla questione nazionale una “soluzione” sanguinosa. Il compito decisivo sta nel forgiare dei partiti leninisti-trotskisti che lancino una lotta a tutto campo contro ogni espressione di nazionalismo e di sciovinismo da grandi potenze, come parte integrante di una propaganda paziente e persistente, mirante a conquistare il proletariato al programma della rivoluzione socialista internazionale.