Spartaco n. 68

Aprile 2007

 

Tagli, repressione, guerra: frutti amari della collaborazione di classe di Rifondazione/Ds

Costruire un partito operaio rivoluzionario!

Un anno di governo ha dimostrato che Unione e Rifondazione sono capaci quanto la destra di approvare finanziarie di “lacrime e sangue” che smantellano pezzo a pezzo sanità e scuola pubblica, di tagliare le pensioni e di sottrarre ai lavoratori il Tfr investendolo in fondi che si tradurranno in un’elemosina e che hanno l’affidabilità dei videopoker. Sono altrettanto capaci di mantenere l’armamentario di oppressione razzista contro gli immigrati (Cpt, decreti sui flussi, deportazioni e violenza poliziesca), con cui la borghesia si garantisce un bacino di manodopera ricattabile e privo di diritti, e di far bastonare dalla polizia i giovani che manifestano contro i Cpt. Il patto Treu del precedente governo Prodi e la legge Biagi che condanna i giovani alla precarietà a vita, restano immutati e l’imperialismo italiano conduce una politica anche più aggressiva di quella di Berlusconi nei conflitti con cui le potenze imperialiste si spartiscono il mondo sul sangue degli operai e dei popoli semicoloniali.

A differenza che nel 1996, il governo Prodi si è scontrato con una forte resistenza da parte dei lavoratori, che lo hanno accolto con scioperi nei trasporti, nel pubblico impiego e con uno sciopero generale organizzato dai sindacati di base il 17 novembre. A dicembre i burocrati sindacali sono stati fischiati dagli operai di Mirafiori, che gli hanno intimato di “non fare la stampella del governo amico” e il 26 marzo, il giorno precedente all’approvazione del rifinanziamento delle missioni imperialiste italiane, gli studenti dell’Università di Roma hanno contestato Bertinotti con grida di “assassino” e “guerrafondaio”. Ma il governo è anche sotto pressione da destra, con un’aggressiva mobilitazione delle gerarchie ecclesiastiche che vorrebbero che tutti si inginocchiassero ai loro diktat reazionari e la sua politica alimenta la crescita di tensioni reazionarie e dell’attivismo di gruppi fascisti e della Lega Nord, che ha ripreso gli attacchi ai campi rom e le “ronde padane” contro gli immigrati.

Agli attacchi del governo di Unione e Rifondazione bisogna contrapporre una risposta di lotta di classe, che non si limiti alla difesa delle conquiste economiche e sociali della classe operaia, delle pensioni e del Tfr, ma che diventi una lotta a tutto campo contro l’intero sistema dello sfruttamento capitalista. Una battaglia che unisca la lotta per il ritiro immediato di tutte le truppe imperialiste da Iraq, Afghanistan, Libano e Balcani, a quella per i pieni diritti di cittadinanza per tutti gli immigrati. Che leghi la lotta per i pieni diritti democratici dei gay (inclusi matrimonio e adozione) alla lotta per l’emancipazione delle donne. Che rifiuti il ricatto di appoggiare il governo “contro la destra” e si mobiliti invece con azioni operaie contro la feccia fascista, per difendere i campi rom e gli immigrati.

La retorica della “lotta alla destra” e il sostegno al governo come “male minore” rispetto alla minaccia del ritorno di Berlusconi, continuano ad essere uno strumento con cui i burocrati sindacali e riformisti tengono a freno la resistenza degli operai, incanalandola in futili pressioni sul governo perché ascolti la voce dei lavoratori e dei giovani e cambi rotta. Ma la politica del male minore mina la coscienza di classe del proletariato, dividendo le forze politiche semplicemente in destra e sinistra e cancellando la linea di classe che esiste tra il proletariato e tutte le frazioni della borghesia e il loro Stato. Il governo di Unione e Rifondazione non ha mai rappresentato in nessun modo i lavoratori. E’ un governo capitalista che difende la proprietà e gli interessi dei padroni contro i lavoratori e gli oppressi: una versione particolarmente disgustosa di quelli che i marxisti definiscono fronti popolari, alleanze tra partiti operai riformisti e partiti della borghesia, in cui ex burocrati sindacali governano assieme a chierichetti del Vaticano, banchieri e finanzieri. In questi blocchi di fronte popolare i partiti operai sono completamente subordinati ai partiti dei capitalisti e al loro programma. I riformisti al governo, con l’aiuto dei burocrati sindacali, cercano di ingannare e tenere a freno i lavoratori, difendendo lo sfruttamento capitalista e cercando di fare ingoiare pesanti attacchi in cambio di briciole e promesse. In cambio, il fatto di essere in una coalizione gli consente di mascherare i propri tradimenti con la necessità di tenere in piedi la coalizione. Se ne è avuta l’ennesima dimostrazione alla fine di febbraio, quando Prodi e D’Alema hanno sfruttato a loro vantaggio la crisi del governo al Senato per mettere in riga le forze dell’Unione e ottenere un ulteriore giuramento di fedeltà incondizionata da Rifondazione, che ha sottoscritto un programma in 12 punti impegnandosi ad appoggiare le future misure del governo (dal taglio delle pensioni alle missioni imperialiste).

Noi della Lega trotskista ci opponiamo per principio a qualsiasi forma di appoggio, anche il più critico o condizionato, a tutte le varianti di fronte popolare. Alle ultime elezioni abbiamo fatto appello a non votare Unione/Prc: “comunque lo si giustifichi, un voto ad una coalizione capitalista che dichiara apertamente di difendere gli interessi della classe dominante, tanto nel suo programma quanto nella sua composizione sociale” (Spartaco n.65).

La prospettiva per cui bisogna battersi è quella di classe contro classe. Sfruttamento, oppressione razzista, guerre imperialiste non dipendono da quali forze politiche dirigano lo Stato capitalista: sono parti integranti del sistema di produzione capitalista e non possono essere sradicate che rovesciandolo da cima a fondo con una rivoluzione socialista e sostituendolo con il potere di consigli operai. Non ci saranno pace, uguaglianza e benessere per tutti finché continueranno ad esistere la proprietà privata dei mezzi di produzione, finché milioni di operai resteranno in una condizione di schiavitù salariata, finché la produzione sarà basata non sulle necessità dell’umanità ma sui profitti di una esigua minoranza di capitalisti. Lo strumento che è necessario e urgente per condurre la classe operaia alla realizzazione di questi compiti, è un partito marxista, un’avanguardia rivoluzionaria che si ponga il compito di guidare la classe operaia al rovesciamento del capitalismo, sulla base dell’unica esperienza vittoriosa di conquista del potere da parte del proletariato: la Rivoluzione russa del 1917.

La Rivoluzione russa dimostrò la capacità della classe lavoratrice di rovesciare la dittatura di classe dei capitalisti, iniziando la costruzione di un’economia pianificata e collettivizzata. Pose fine alla carneficina della Prima guerra mondiale e fece della vecchia russia zarista, un mare di miseria contadina e una prigione di popoli, un paese economicamente e socialmente avanzato, iniziando a porre le basi materiali per la liberazione delle donne dalla servitù domestica e il superamento di ogni forma d’oppressione. Creò un potere statale basato non sui corpi armati dei capitalisti, ma su consigli di operai e contadini democraticamente eletti, i soviet. Nelle condizioni di devastazione, povertà ed isolamento internazionale in cui la Russia sovietica uscì dalla guerra civile, in assenza di una rivoluzione operaia nei paesi capitalisti avanzati, il potere politico nel 1923-’24 fu usurpato da una casta burocratica parassitaria e nazionalista, che calpestò il programma del partito bolscevico rovesciando molte delle sue politiche. Ma l’Unione Sovietica continuò ad essere uno Stato operaio degenerato, in cui il permanere di forme di proprietà collettivizzate rappresentava una conquista storica che andava difesa dagli operai di tutto il mondo. Per questo noi trotskisti ci siamo battuti per la difesa militare incondizionata dell’Urss e per una rivoluzione politica della classe operaia che cacciasse la burocrazia stalinista. Alla fine la controrivoluzione del 1991-’92, facilitata da decenni di perversione stalinista, ha riportato tutta la vecchia merda del capitalismo. Ma la Rivoluzione russa continua, dopo 90 anni, ad indicare la strada per la liberazione dell’umanità dal giogo di un sistema sociale decrepito e oppressivo.

Al contrario i fronti popolari sono stati storicamente un importante meccanismo per il mantenimento del capitalismo, a volte con esiti sanguinosi per la classe lavoratrice e per gli oppressi. Una dimostrazione del ruolo del fronte popolare fu lo strangolamento della rivoluzione spagnola del 1936-1939. Nel 1936, al culmine della grande ondata di scioperi e lotte operaie che aveva attraversato la Spagna degli anni Trenta, un tentativo di golpe da parte dei generali dell’esercito capeggiati da Francisco Franco, incontrò la risposta eroica del proletariato che sconfisse i militari nelle principali città spagnole, ritrovandosi di fatto il potere nelle mani. Invece di consolidare il potere di consigli operai, i partiti riformisti del proletariato spagnolo (i partiti socialista e comunista, gli anarchici della Cnt-Fai e i centristi di sinistra del Poum) tradirono la rivoluzione proletaria formando una serie di governi di fronte popolare con un pugno di politicanti capitalisti, il “fantasma della borghesia” che non era passato nel campo franchista. Il governo del Fronte popolare si occupò soprattutto di mantenere il potere capitalista nelle retrovie, disarmando gli operai, reprimendo le occupazioni di terre contadini e negando l’indipendenza al Marocco spagnolo. La politica del Fronte popolare culminò nella repressione degli operai di Barcellona nel maggio del 1937. George Orwell riassunse amaramente la natura della guerra della “borghesia antifascista” contro Franco: “un governo che invia ragazzini di 15 anni a combattere con fucili vecchi di 40 anni e conserva nelle retrovie i suoi uomini migliori e le sue armi più moderne, ha evidentemente più paura della rivoluzione che dei fascisti” (Omaggio alla Catalogna). Barcellona fu l’espressione più pura del carattere borghese del Fronte popolare. Quando la frontiera tra le classi è tracciata nel sangue, il programma trotskista è l’unico che mostra la strada per la presa del potere al proletariato rivoluzionario. Le gesta degli pseudo rivoluzionari del Poum a sinistra, degli stalinisti a destra, confermano la formula classica di Trotsky: “i centristi di sinistra cercano di presentarlo come una questione tattica, o addirittura come una manovra tecnica, così da poter contrabbandare la loro merce all’ombra del fronte popolare. In realtà il Fronte popolare è la questione centrale per la strategia di classe del proletariato nell’epoca attuale. Fornisce anche il miglior criterio di differenziazione tra bolscevismo e menscevismo” (La sezione olandese e l’Internazionale, 1936).

In Italia la stessa politica fu condotta dal Pci di Togliatti che nel 1943-1948 tradì una grande possibilità rivoluzionaria, in nome della collaborazione di classe e della illusoria “coesistenza pacifica” dell’Urss con l’imperialismo, in base alla quale Stalin aveva confermato a Yalta che l’Italia sarebbe rimasta nella sfera d’influenza occidentale:

“L’esplosione della forza della classe operaia che scosse l’Italia nella primavera del 1945 sarebbe potuta essere la miccia che avrebbe fatto scoppiare la rivoluzione socialista europea. Invece, la coalizione di fronte popolare,composta da stalinisti, socialdemocratici e liberali borghesi, che si trovò in mano il potere che le masse insorte avevano strappato ai fascisti, lo scaricò come una patata bollente ai comandanti militari alleati e al loro governo collaborazionista di Roma. Gli stalinisti e altri dirigenti riformisti lavorarono giorno e notte per arginare il torrente rivoluzionario, disarmare gli operai e i combattenti partigiani e liquidare i comitati di fabbrica. Solo con la loro indispensabile assistenza la borghesia fu in grado di riconsolidare l’ordine capitalista reintegrando la feccia fascista che aveva fedelmente servito Mussolini”. (Supplemento a Spartaco n.33, maggio 1991)

Gli eredi del Pci (Ds e Rifondazione) ripropongono oggi la stessa politica di difesa del capitalismo in un periodo reazionario segnato dalla distruzi<f"Helvetica">one dell’Urss, non più in nome della “democrazia progressiva”, ma del “male minore” e senza nemmeno la finzione di puntare a migliorare le condizioni dei lavoratori e degli oppressi.

Fuori tutte le truppe imperialiste da Afghanistan, Libano, Iraq!? Lotta di classe contro l’imperialismo italiano!

Il governo Prodi col Prc in prima fila è stato tra i più entusiasti sostenitori dell’invio di un contingente in Libano con l’obiettivo di rafforzare il controllo imperialista in Medio Oriente e riuscire dove aveva fallito l’invasione israeliana, disarmando Hezbollah. Per Unione/Prc, che si sono opposti all’occupazione dell’Iraq e hanno ritirato le truppe da Nassirya, è stata l’occasione di riaffermare la loro speranza che l’imperialismo italiano si conquisti un ruolo di potenza mediterranea. Coi suoi appelli a fare dell’Italia un “arco di pace” nel Mediterraneo, Rifondazione ha tradotto nel linguaggio dei “pacifinti” il sogno mussoliniano di fare del Mediterraneo un lago italiano, in modo che la borghesia italiana possa sfruttare meglio i popoli del Medio Oriente e dei Balcani.

Il 6 marzo è scattata una nuova sanguinosa offensiva delle forze Nato in Afghanistan, preceduta e accompagnata dalle stragi di civili che sono parte integrante delle occupazioni coloniali imperialiste. Il governo Unione/Prc mantiene centinaia di soldati in Afghanistan e ha votato per due volte il rifinanziamento della missione, parte del meccanismo imperialista che ha ridotto il paese ad un miserabile protettorato sotto occupazione militare e dominato da un governo fantoccio. Ha aumentato di molto le spese militari e rinsaldato l’alleanza imperialista della Nato acconsentendo ad allargare la base di Vicenza poche settimane prima della nuova offensiva afgana.

Il movimento operaio deve opporsi alle avventure imperialiste della propria borghesia e al militarismo borghese. Durante le guerre contro l’Iraq e l’Afghanistan noi trotskisti ci siamo schierati per la difesa militare di questi paesi semicoloniali attaccati contro gli imperialisti. Oggi ci battiamo per il ritiro immediato e incondizionato di tutte le truppe imperialiste dall’Iraq, dall’Afghanistan e dal Libano, senza dare alcun appoggio politico né ai fondamentalisti islamici, né a ciò che resta delle forze baathiste irachene, ai talibani o forze reazionarie analoghe in Afghanistan. Difendiamo le azioni direttamente rivolte contro il dispositivo di occupazione e i suoi fantocci, opponendoci invece agli attentati terroristici indiscriminati contro la popolazione civile e al bagno di sangue fratricida su basi etniche o settarie.

Nel caso di un attacco militare contro l’Iran da parte degli Stati Uniti, di Israele o di qualsiasi forza imperialista, il nostro atteggiamento da marxisti sarebbe quello del difensismo rivoluzionario: per la difesa militare dell’Iran contro l’attacco imperialista, senza concedere il minimo appoggio politico al reazionario regime di Teheran. Ci opponiamo alle minacce e alle sanzioni affamatrici imposte da Usa e Onu, veri atti di guerra che preparano un attacco militare, e siamo consapevoli che l’Iran ha bisogno di armi nucleari come deterrente da un attacco degli imperialisti Usa e alleati, che dispongono di un arsenale nucleare capace di distruggere il pianeta e sono gli unici ad averlo usato.

Le atrocità di cui sono vittime le popolazioni irachena e afgana sono il vero volto dell’imperialismo, che si cela dietro alla maschera della “democrazia” e del parlamentarismo borghesi. Un sistema economico irrazionale, anarchico, guidato esclusivamente dalla ricerca del profitto, in un’epoca di decadenza. L’unico modo per porre fine agli orrori prodotti da questo sistema è quello di rovesciarlo con una rivoluzione socialista, sostituendolo con il potere operaio e con un’economia pianificata a scala internazionale.

Rifondazione e i suoi “dissidenti”: servitori di sinistra dell’imperialismo

Il Prc gioca un ruolo importante nel garantire a questo governo di realizzare i suoi attacchi, non solo con ministri e parlamentari, ma legando le mani ai settori più combattivi del movimento operaio. Con l’alibi del “partito di lotta e di governo” ha cercato di garantire un’innocua valvola di sfogo extraparlamentare, un’illusoria politica di pressione sul governo, mentre questo porta avanti il suo lavoro. Ma la partecipazione del Prc al governo Prodi ha creato un vasto malcontento nella sua base, polarizzando anche le sedicenti organizzazione “trotskiste” che per quindici anni hanno fatto i “buttadentro” del Prc, mantenendo legati alla sua politica i giovani e i lavoratori che hanno cercato di allontanarsene in occasione dei vari tradimenti di questo partito.

Da una parte i patetici “dissidenti” di Rifondazione (Falcemartello e Sinistra critica), nonostante le loro lamentele hanno aiutato a mettere in piedi il governo alle elezioni e l’hanno appoggiato fino ad ora, contribuendo alle manovre imperialiste e antioperaie del governo.

Il senatore di Sinistra critica (la sezione italiana del Segretariato unificato della Quarta internazionale) Franco Turigliatto ha avuto il suo momento di notorietà il 28 febbraio quando non votando la mozione di D’Alema sulla politica estera in Senato, ha contribuito alla caduta del governo. Il fronte popolare ha scatenato contro di lui una canea reazionaria (Liberazione ha persino pubblicato lettere di gente che avrebbe appoggiato la pena di morte per Turigliatto!) Ma Sinistra critica ha continuato ugualmente a sostenere il governo. I suoi militanti possono pure manifestare con cartelli in cui dicono “Nessuna fiducia a chi fa la guerra”. Resta il fatto che il 5 marzo (dopo essere stato “allontanato” per 2 anni da Rifondazione), Turigliatto ha votato di nuovo la fiducia al governo Prodi, pochi giorni prima del rifinanziamento delle missioni imperialiste e Sinistra critica continua a proporre che il Prc dia un appoggio esterno al governo. Il Coordinamento nazionale di Sinistra critica lo ha ribadito dicendo che il non voto in Senato è stata “una scelta che non contraddice il rinnovo della fiducia al governo Prodi ben sapendo che ci riconosciamo nella formula dell’appoggio esterno e quindi della valutazione puntuale dei singoli atti dell’esecutivo”. In pratica la stessa politica del Prc di appoggio esterno al governo Prodi tra il 1996 e il 1998, che consentì al partito di appoggiare leggi razziste (Turco-Napolitano) e antioperaie (Patto Treu), riuscendo a salvare un po’ la faccia. Sinistra critica nel 2006 ha vergognosamente votato la fiducia al governo Prodi e il finanziamento delle missioni imperialiste all’estero. Inoltre continua a rimanere nel Prc di governo, chiedendo un congresso straordinario. Un altro gruppo pseudo trotskista del Prc, Falcemartello (Fm), dopo la caduta di Prodi ha ribadito che si trattava del “miglior governo possibile nelle condizioni date” e, pur votando contro la sua espulsione, ha bacchettato Turigliatto per aver violato la disciplina di partito e Sinistra critica perché gioca con l’idea di una scissione dal Prc. Mentre i falsi trotskisti del Prc gettano la loro manciata di fango sulle bandiere della Quarta internazionale di Trotsky, dando un contributo decisivo (critico o condizionato quanto vogliono) a tenere in piedi un governo antioperaio e guerrafondaio, noi rivendichiamo l’eredità della parola d’ordine marxista: Né un uomo, né un soldo per l’esercito capitalista!

A differenza di Sinistra critica e Fm, un settore della sinistra pseudo trotskista del Prc, che ha poi formato il Movimento per il partito comunista dei lavoratori (Mpcl) e il Partito di alternativa comunista (Pdac) ha invece rotto col Prc, sapendo che restarvi ne avrebbe discreditato troppo le pretese rivoluzionarie e che riposizionandosi fuori dal partito avrebbe potuto catalizzare il malcontento del Prc. Il Mpcl è capeggiato dalla star dei salotti televisivi Marco Ferrando, che recentemente nel tentativo di farsi sdoganare nei salotti buoni della borghesia si è intrattenuto sulla rete televisiva La7 in un amichevole dibattito con Alessandra Mussolini (da lui amichevolmente chiamata “Alessandra”), nipote del duce e capo di Alleanza sociale, un ombrello di gruppi fascisti che comprende i terroristi di Forza nuova. Il Partito di alternativa comunista è capeggiato dall’invidioso ex braccio destro di Ferrando, Francesco Ricci. Mpcl e il Pdac condividono storia politica e programma - e il meschino opportunismo dei loro capi, che hanno cercato di farsi le scarpe a vicenda per riuscire a candidarsi nelle liste di Rifondazione-Unione alle scorse elezioni politiche (vedi Spartaco n.67)! L’unica differenza è il veicolo attraverso cui cercano di realizzare i loro appetiti opportunisti. Il Mpcl di Ferrando spera di raggruppare intorno a sé quella galassia di rottami politici dello stalinismo e della socialdemocrazia che a varie riprese sono usciti o usciranno da Rifondazione, settori scontenti della burocrazia sindacale e di portare avanti la politica di una “vera Rifondazione”. Il Pdac di Ricci ha deciso di puntare sui movimenti pacifisti e ambientalisti borghesi e sui Social Forum come terreno in cui coltivare le sue ambizioni frontepopuliste.

Sia il Mpcl che il Pdac sostengono di voler costruire un partito alternativo a Rifondazione e al governo Prodi ma condividono lo stesso obiettivo programmatico: sfruttare la disillusione della classe operaia nel governo di Prodi e Bertinotti con l’obiettivo di costruire un’alternativa di sinistra, un fronte popolare più presentabile e che faccia qualche concessione in più dell’attuale.

Anche fuori dal Prc continuano a portare avanti la stessa politica riformista, di collaborazione di classe, che hanno sostenuto nei quindici anni in cui hanno fatto parte del partito di Bertinotti e Cossutta. La loro attuale opposizione al governo Prodi non rappresenta affatto un’opposizione di principio, rivoluzionaria, a qualsiasi forma di collaborazione di classe. Al contrario il loro orizzonte resta quello di un’alternativa di sinistra, interna al capitalismo, basata su di un blocco con settori di sinistra della borghesia e con i partiti riformisti. Tutta la loro attività di opposizione al governo Prodi consiste in una costante ricerca di blocchi politici con forze non proletarie, in nome del movimento per la pace o delle lotte ambientaliste. Senza dimenticare che il Mpcl ha appoggiato alle elezioni quello che ora chiama il “governo di banchieri” di Prodi. Persino dopo l’uscita hanno votato Rifondazione alle comunali di Milano, presentando un candidato nella coalizione di fronte popolare capeggiata dall’ex prefetto Bruno Ferrante.

E’ stata questa la politica di Progetto comunista per quindici anni all’interno del Prc, dove hanno offerto il loro sostegno critico non solo ai partiti operai delle coalizioni di fronte popolare, ma anche agli agenti diretti della classe capitalista (si veda Spartaco n.65). Per tutto questo periodo hanno proposto il loro mini fronte popolare alternativo, facendo appello “a tutte le forze e tendenze politiche di sinistra che sono state in questi anni dalla parte dei movimenti e che, per semplificare, hanno sostenuto il referendum del Prc sull’Articolo 18 (Sinistra DS, PdCI, Verdi)” chiedendogli di “rompere con il Centro liberale e di unire nell’azione le proprie forze per candidarsi a dirigere la lotta contro Berlusconi e preparare un’alternativa vera” (Mozione 3 del VI Congresso del Prc). Ancora oggi il Mpcl insiste che bisogna “Smascherare la natura padronale del governo Prodi, il carattere antioperaio del suo progetto, rivendicare che tutta la sinistra rompa con esso e con i Rutelli, D’Alema e Fassino e che su queste basi si costituisca un’alternativa indipendente del movimento operaio e di tutti gli altri movimenti e settori sociali oppressi - un polo (o blocco) autonomo di classe su una prospettiva anticapitalistica- è una necessità non solo per il futuro del movimento operaio, ma anche per le sue lotte attuali”. Come abbiamo già spiegato il “polo autonomo di classe” non è che una variante di fronte popolare:

“Non si può neppure parlare seriamente di un’opposizione di classe che includa partiti della classe capitalista, come sono, da cima a fondo, i Verdi, che non hanno nessuna radice nel movimento operaio e sostengono esplicitamente il sistema sociale capitalista. Già questo dimostra come il ’polo di classe’ di Progetto comunista, va in direzione opposta rispetto alla lotta di classe. Non è nient’altro che una versione in sedicesimo (e temporaneamente all’opposizione) della stessa collaborazione di classe di Rifondazione con la borghesia progressista’ che dicono di voler contrastare” (Spartaco n.65).

Non si combatte l’imperialismo con la collaborazione di classe!

L’imperialismo non è una politica reazionaria dei governi di destra (o dei pacifinti dell’Unione/Prc), ma il sistema capitalista nella sua fase di sviluppo finale. Come spiegò il rivoluzionario russo V.I Lenin:

“Il capitalismo si è trasformato in sistema mondiale di oppressione coloniale e di iugulamento finanziario della schiacciante maggioranza della popolazione del mondo da parte di un pugno di paesi ’progrediti’. E la spartizione del ’bottino’ ha luogo fra due o tre predoni (Inghilterra, America, Giappone) di potenza mondiale, armati da capo a piedi, coinvolgono nella loro guerra, per la spartizione del loro bottino, il mondo intero (...) L’imperialismo è dunque il capitalismo giunto a quella fase di sviluppo in cui si è formato il dominio dei monopoli e del capitale finanziario, l’esportazione di capitale ha acquistato grande importanza, è cominciata la ripartizione del mondo tra i trust internazionali, ed è già compiuta la ripartizione dell’intera superficie terrestre tra i più grandi paesi capitalistici” (L’imperialismo, fase suprema del capitalismo, 1916)

L’impulso alla guerra è innato nel sistema capitalista. I confini nazionali sono troppo angusti per le necessità di mercati, manodopera e materie prime e le potenze imperialiste si combattono per ritagliare nel mondo le proprie sfere d’influenza. La forza militare è uno strumento indispensabile ai capitalisti per sopravvivere nella competizione economica mondiale. Sono queste rivalità che hanno sprofondato per due volte l’umanità nelle guerre mondiali e che stanno anche alla base delle guerre di rapina contro i paesi coloniali e semicoloniali. La lezione fondamentale è che il sistema capitalista non può essere costretto a riformarsi e a soddisfare le esigenze fondamentali dell’umanità, ma dev’essere rovesciato e sostituito con una pianificazione economica a scala internazionale, per poter eliminare sfruttamento e guerra. La classe operaia è l’unica forza che ha il potere sociale e l’interesse oggettivo a porre fine al dominio dei capitalisti, perché i suoi interessi sono inconciliabili con quelli dei suoi sfruttatori.

La menzogna che i lavoratori e i loro sfruttatori possono condividere interessi comuni è diffusa da tutti i riformisti, anche da quelli che si definiscono “antimperialisti” e marxisti e la cui azione contro la guerra consiste nel cercare di costruire movimenti e comitati insieme a forze borghesi come i Verdi o settori della Chiesa cattolica, che a volte si schierano contro la guerra ma difendono il capitalismo, il sistema che la genera. Ne è un esempio la politica degli organizzatori delle manifestazioni contro l’allargamento della base Usa di Vicenza, approvata dal governo in previsione del ridispiegamento di forze destinate ad essere utilizzate in Medio Oriente. Gli organizzatori del movimento “No dal Molin” (con il Prc in primo piano) hanno cercato di incanalare la manifestazione in un futile appello al governo ad “ascoltare la base non costruirla”, magari spostandola di qualche chilometro.

Il fronte popolare di Prodi è stato eletto sulla scia delle grandi mobilitazione contro la guerra in Iraq, sulla base della promessa che avrebbe abbandonato la politica filo americana di Berlusconi in nome di una politica più rivolta verso l’Unione Europea, e che avrebbe difeso con più vigore gli interessi della borghesia italiana e non solo quelli personali di Berlusconi e della sua cricca. Dato che la sua politica è rimasta simile a quella del precedente governo, ora il Prc e le sue code spingono perché segua una linea più indipendente e legata agli imperialisti europei. Questo ha fatto sì che nell’opposizione alla base Usa confluissero motivi politici disparati (inclusi quelli di verdi e leghisti), pur restando dominata da una politica pacifista borghese che rivendicava l’opposizione a “tutte le guerre”, la “sovranità nazionale” violata dell’Italia, la “riconversione” delle basi Usa/Nato a scopi civili o l’espulsione, da parte dell’imperialismo italiano, delle forze americane dall’Italia (a Vicenza, si andava dal classico “fuori la Nato dall’Italia” a “meno marines, più alpini”).

L’opposizione alla basi Usa e Nato deve essere parte integrante di un’opposizione di classe all’imperialismo, anche all’imperialismo italiano. Un’opposizione che dev’essere portata avanti dalla classe operaia italiana in modo indipendente dalla propria borghesia. Le basi Nato sono state create contro l’Unione Sovietica che, nonostante la degenerazione stalinista, continuava ad incarnare le conquiste sociali della Rivoluzione d’Ottobre, e gli stati operai deformati dell’Europa dell’Est e per impedire rivoluzioni socialiste in Europa. Con la distruzione controrivoluzionaria dell’Urss, il loro ruolo è di mantenere il predominio militare americano in Europa e sostenere le avventure coloniali nei Balcani e in Medio Oriente. Durante le guerre in Serbia e in Iraq, la Lega trotskista d’Italia si è schierata dalla parte di questi paesi semicoloniali aggrediti, avanzando una strategia di classe contro gli imperialisti e le basi Nato, nella prospettiva di sconfiggere l’alleanza imperialista della Nato e chiuderne le basi con la rivoluzione operaia! Allo stesso tempo ci opponiamo alle illusioni che l’imperialismo italiano sia intrinsecamente più sociale o umano di quello americano e ai blocchi politici in nome della pace con forze che appoggiano il capitalismo (Verdi, Chiesa e affini): non possono far nulla contro la guerra perché difendono il sistema che la genera. Rigettiamo categoricamente anche gli appelli alla “sovranità nazionale”, che servono solo a legare i lavoratori al proprio imperialismo. Rifondazione lega costantemente la sua pseudo opposizione alle basi Nato al sostegno ad un blocco imperialista europeo che faccia da contrappeso, anche come forza militare, agli Stati Uniti. L’Unione Europea è un’alleanza reazionaria degli imperialisti europei e di paesi capitalisti minori, fondata come appendice della Nato nella Guerra fredda e poi trasformata al fine di attaccare operai e immigrati e di competere coi rivali imperialisti di Usa e Giappone all’estero (per quanto divisa da rivalità economiche interne). Noi marxisti ci opponiamo a qualsiasi appoggio all’Unione Europea capitalista e al suo allargamento che serve a soggiogare e strangolare i paesi dell’Europa dell’Est. Abbasso il socialsciovinismo di Rifondazione! Per l’internazionalismo proletario! Per gli Stati uniti socialisti d’Europa!

Prima della guerra in Iraq, Rifondazione lanciò una campagna europea che faceva appello: “a tutti i capi di Stato europei perché si dichiarino pubblicamente contro questa guerra in ogni caso, a prescindere dalle decisioni delle Nazioni Unite, e perché chiedano a George Bush di abbandonare i suoi piani di guerra” (Liberazione, 13 settembre 2002). Questo disgustoso appello ai governanti capitalisti d’Europa “amanti della pace” è servito solo a incatenare gli sfruttati ai loro sfruttatori. Ora che Rifondazione ha dimostrato che dietro le sue pretese “pacifiste” c’era un programma filoimperialista, è il Pdac a promuovere una nuova versione della stessa politica, strombazzando una sua petizione per il ritiro delle truppe europee dal Medio Oriente, i cui firmatari, “di fronte alla gravità della situazione, in nome della pace e della fratellanza dei popoli, esigono che i governi dell’Unione Europea ritirino immediatamente le truppe europee dall’Irak, dall’Afghanistan e dal Libano” (www.progettocomunista.org).

Il Pdac inoltre ha avuto un ruolo significativo nel Comitato Vicenza Est, il cui programma si limita a rivendicare l’opposizione alla costruzione della base e la “smilitarizzazione del territorio con la riconversione della caserma Ederle”. Nella politica portata avanti concretamente dal Pdac a Vicenza non vi è mai stata traccia di un’opposizione rivoluzionaria al sistema capitalista. Ciò significa appoggiare la politica dei pacifisti che chiedono un capitalismo “smilitarizzato” e disarmare la classe operaia, nascondendo la necessità di una lotta rivoluzionaria contro il militarismo capitalista. Lungi dal combattere le illusioni pacifiste borghesi e riformiste, l’intervento del Pdac a Vicenza ha evitato accuratamente di opporsi all’imperialismo italiano, di chiedere il ritiro delle truppe dal Libano o dall’Afghanistan: figuriamoci di spiegare la necessità di rovesciare l’imperialismo con una rivoluzione operaia!

Patrizia Cammarata una dei dirigenti del Pdac e animatrice dei comitati contro l’estensione della base Nato “Dal Molin” di Vicenza, un’accozzaglia politica che comprende settori del governo, preti e persino pezzi della Lega Nord, invitata alla trasmissione di Rai 2 Annozero, condotta da Santoro, ha utilizzato il suo tempo in Tv, non per spiegare la necessità per il proletariato di rompere con la borghesia e le sue organizzazioni e di battersi per il socialismo, ma per rassicurare il pubblico che il Pdac è un’organizzazione “rispettabile” e farsi portavoce dei pacifisti cattolici:

“Voglio dire qualcosa a tutta l’Italia, perché non ho mai avuto l’occasione di uno spazio di democrazia come questo, e adesso vorrei prendermelo, non per me ma per Anna che è la mia amica cattolica che sta facendo il giro delle parrocchie per parlare con i parroci che sono allibiti della presa di posizione del vescovo, equidistante, e per le famiglie per la pace, io sono atea, sono comunista, non ho votato Prodi, ho fondato un nuovo partito che si chiama Partito d’alternativa comunista, però sono insieme alla mia amica cattolica Anna, sono insieme alle signore qui presenti e all’americana”. (www.annozero.rai.it)

Una delle lezioni fondamentali del leninismo e della Rivoluzione d’Ottobre è la necessità di una separazione politica e organizzativa del partito rivoluzionario dalle forze borghesi (non parliamo poi di quel bastione della reazione che è la Chiesa cattolica). Il Partito bolscevico si consolidò programmaticamente e preparò la Rivoluzione d’Ottobre battendosi nel corso della Prima guerra mondiale, non solo contro i socialsciovinisti che appoggiavano la propria borghesia nella guerra imperialista, ma anche contro i “pacifisti” che sostenevano il capitalismo. Questi rappresentano un ostacolo alla rivoluzione proletaria poiché la loro politica tiene in piedi il dominio della borghesia in modo più subdolo.

La politica del Pdac è un prolungamento del movimento contro la guerra in Iraq e dei Social Forum che a partire dal 2001 sono stati usati per deviare l’ondata di proteste di massa contro G8, Omc, Fmi ecc. incanalandoli verso l’“alternativa democratica” del riformismo parlamentare. I Social Forum e le varie coalizioni pacifiste che si sono sviluppate negli ultimi anni sono fronti populisti, che promuovono la leggenda che l’alleanza del popolo con presunti capitalisti progressisti possa mettere fine alle devastazione dell’imperialismo. Tra l’altro, come abbiamo mostrato in Spartaco n. 66 (“La truffa dei Social Forum”) sono stati finanziati da Stati capitalisti, governi borghesi locali e cittadini e multinazionali come la compagnia petrolifera Petrobras, la Ford Foundation e la Rockfeller Foundation!

La “guerra al terrorismo” di Unione/Prc: guerra ai lavoratori e agli immigrati!

Ai primi di marzo il governo ha lanciato una caccia alle streghe “antiterrorista”, con l’arresto di 15 militanti di sinistra ed una campagna maccartista interna alla Cgil. La Ltd’I ha distribuito un volantino in cui spiegavamo che: “La repressione porta la firma del governo Prodi (...) Arrestando, perseguitando, ed espellendo dai sindacati militanti appartenenti ai settori più combattivi della sinistra e della Cgil, intendono mettere a tacere il vasto bacino di malcontento in seno alla classe operaia e ai giovani. Il messaggio è: ’tolleranza zero’ nei confronti di chi si oppone alle svendite e alla ’concertazione’” Abbiamo diffuso questo volantino a Milano, soprattutto all’università Statale, dove studiavano due degli arrestati, Amarilli Caprio e Alfredo Mazzamauro e alle iniziative di solidarietà organizzate da familiari e amici. All’università, ci siamo battuti per costruire una protesta di fronte unico per chiedere la liberazione dei militanti arrestati. Questa iniziativa ha incontrato l’ostilità dei gruppi riformisti e di diversi collettivi che gravitano intorno ai centri sociali e ai “disobbedienti”. I collettivi studenteschi in cui convivono diversi centri sociali milanesi, hanno rifiutato di prendere le difese degli arrestati, e hanno preso le distanze dal Collettivo di scienze politiche (Assp) che ha coraggiosamente solidarizzato coi suoi compagni arrestati.

Il rifiuto di mobilitarsi contro questa caccia alle streghe significa avallare la repressione contro la sinistra. Non sorprende, dato che un settore dei disobbedienti fa parte del governo che ha organizzato la repressione (Daniele Farina del Leoncavallo è vicesegretario della Commissione giustizia della Camera). Il Collettivo pantera, gruppo di facciata di Falcemartello, ha preferito svicolare. Falcemartello rifiuta di fatto di difendere i militanti di sinistra arrestati nascondendosi dietro la scusa della “opposizione al terrorismo individuale” (“Ritorna il terrorismo?”, Fm n. 200, 14 marzo 2007). Il loro giornale ha pubblicato un articolo in cui, ergendosi a pubblico ministero, giudice e giuria, etichettano gli arrestati come aderenti alle “nuove brigate rosse” e parte di “minuscoli gruppi terroristici”. Anche i sedicenti rivoluzionari del Pdac (che non sono presenti all’università di Milano) si sono nascosti dietro denunce roboanti del “terrorismo individuale”, per avallare la repressione. Il loro capo Francesco Ricci ha deriso gli arrestati come degli “squinternati” e “carbonari con lo schioppo”, senza rivendicarne la liberazione (“La manifestazione di Vicenza e i suoi effetti”, www.progettocomunista.org).

Pur spiegando la nostra opposizione marxista rivoluzionaria al terrorismo individuale come politica sistematica, noi trotskisti sappiamo da che parte stare nei conflitti tra lo Stato capitalista e il movimento operaio. Un compagno della Ltd’I, intervenendo ad un’assemblea organizzata a Milano dai familiari degli arrestati, ha chiesto la liberazione di tutti gli arrestati e di tutti i prigionieri politici di sinistra sulla base del principio proletario che un attacco a uno è un attacco a tutti. Il suo intervento è stato applaudito in più occasioni, in particolare quando ha fatto appello a delle proteste di massa, a testa alta contro la repressione, legandole alla lotta per la libertà di Mumia Abu-Jamal, dicendo che in Italia formalmente la pena di morte non esiste, ma esiste nella realtà per quattro operai che muoiono ogni giorno nei cantieri e nelle fabbriche per l’avidità dei padroni o per centinaia di immigrati che annegano nel tentativo di raggiungere le coste italiane e che la lotta per la liberazione dei militanti rinchiusi nelle galere capitaliste fa parte della lotta per la liberazione dell’umanità intera da quella enorme galera che è il capitalismo, con la rivoluzione socialista.

La caccia alle streghe “antiterrorista” ricade nel contesto della “guerra al terrorismo”, la scusa usata per legittimare l’invasione di Iraq ed Afghanistan. La guerra al terrorismo in realtà è una guerra contro i lavoratori, gli immigrati e i popoli coloniali. Sul fronte interno, si è tradotta in una sistematica serie di attacchi contro gli immigrati, soprattutto di origine musulmana. Allo stesso tempo il ministro della Solidarietà sociale del governo Prodi, il rifondarolo Ferrero, ha presentato un disegno di legge che resta nel solco dell’oppressione razzista tracciato da Bossi e Fini e prima di loro, da.. Ulivo e Rifondazione, che hanno costruito le galere etniche dei Cpt e fatto deportare decine di migliaia di immigrati. Rifondazione difende gli interessi dei capitalisti italiani che hanno bisogno di un serbatoio di manodopera ricattabile e priva di diritti che faccia a basso costo i lavori più duri e mal pagati. La repressione razzista, gli abusi polizieschi, la privazione di diritti servono a dividere il movimento operaio lungo linee etniche indebolendolo. La classe operaia deve battersi per i pieni diritti di cittadinanza per tutti gli immigrati. Gli operai dell’Europa dell’Est, del Nordafrica e dell’Africa nera hanno un peso crescente in importanti settori proletari (spesso negli strati più sfruttati e oppressi, come muratori, braccianti agricoli, operai nelle piccole e medie industrie metalmeccaniche e tessili, ecc.) ma hanno iniziato a svolgere un ruolo attivo nelle lotte sindacali e sono destinati ad avere un ruolo importante in una futura rivoluzione proletaria in Italia e a costituire un vero ponte umano verso le lotte nel mondo semicoloniale. No ai Cpt! No alle deportazioni! Costruire un partito rivoluzionario multietnico!

Pdac, Mpcl: consumati fiancheggiatori dell’imperialismo

Gli attacchi alle condizioni di vita della classe operaia e la crescita delle aggressioni imperialiste nel mondo semicoloniale hanno come retroterra la distruzione dell’Unione Sovietica e degli Stati operai deformati dell’Europa dell’Est. La distruzione dell’Urss è stata una sconfitta di portata storica per il proletariato mondiale. Oggi le classi capitaliste non si sentono più costrette a fare concessioni ai lavoratori per tenerli a freno e le rivalità tra potenze imperialiste non sono più frenate dal blocco contro il nemico comune sovietico. La controrivoluzione ha tolto ai movimenti nazionalisti piccolo-borghesi (dall’African National Congress sudafricano all’Olp) la possibilità di manovrare tra il blocco sovietico e gli imperialisti. La borghesia (con la partecipazione di una schiera di dirigenti e partiti socialdemocratici ed ex stalinisti) può spargere la propaganda sulla “morte del comunismo” e attaccare le conquiste delle lotte operaie del passato.

L’attuale situazione in Afghanistan è un frutto diretto della distruzione dell’Urss. Al Qaeda, talebani e tutti gli altri gruppi reazionari della “resistenza” afgana sono un puro prodotto dell’imperialismo. I loro precursori, armati fino ai denti dalla più vasta campagna mai intrapresa dalla Cia, combatterono contro l’Armata Rossa dopo il suo intervento in Afghanistan nel 1979, su richiesta del governo nazionalista modernizzatore del Pdpa. In quel momento le forze reazionarie spalleggiate dagli imperialisti minacciavano il fianco meridionale dell’Unione Sovietica, la terra della Rivoluzione d’Ottobre. La guerra fu un test decisivo per i rivoluzionari. In quella situazione la posizione dei trotskisti rivoluzionari della Lci (allora Tsi) era “Vittoria all’Armata Rossa! Estendere le conquiste della Rivoluzione d’Ottobre ai popoli dell’Afghanistan!” Contro le forze che lottavano per la liberazione delle donne e per il progresso sociale, gran parte della sinistra, dai precursori di Mpcl e Pdac, a Falcemartello e l’attuale Sinistra critica, si schierarono con gli imperialisti, condannando l’intervento dell’Armata Rossa. Il vergognoso ritiro delle forze russe dall’Afghanistan, voluto da Gorbaciov per riconciliarsi con gli imperialisti, non solo ha spalancato le dighe della reazione nel paese, ma ha contribuito alla successiva controrivoluzione nell’Urss (Falcemartello e il Gbl di Marco Ferrando si opposero anche al ritiro, per il loro principio assoluto di opporsi ad ogni singola azione della burocrazia stalinista sovietica).

Ma per il Pdac, il Mpcl e i loro simili, la distruzione dell’Urss ha rappresentato un’opportunità:

“Il crollo degli Stati operai, che degenerarono in conseguenza dello sviluppo abnorme della burocrazia parassitaria stalinista e collassarono sotto il peso delle contraddizioni prodottesi, pur determinando una sconfitta storica per il proletariato, ha aperto nuove prospettive per lo sviluppo di una reale prospettiva socialista”.

Quanto siano fraudolente le pretese di opposizione alla collaborazione di classe e di trotskismo del Pdac, lo dimostra la loro adesione alla Lit-Ci, un’organizzazione che si è sempre distinta per il suo odio viscerale nei confronti dello Stato operaio degenerato sovietico e per l’appoggio al populismo nazionalista in America latina. Negli anni Ottanta sostennero che bisognava estendere la “rivoluzione islamica” di Khomeini ai popoli dell’Asia centrale sovietica solidarizzando con i tagliagole islamici che ammazzavano le donne che volevano studiare o rifiutavano di indossare il burqa! (Vedi “Morenoites Call for Counterrevolution in USSR,” Spartacist n. 27-28, inverno 1979-80)

Una conseguenza della controrivoluzione in Unione Sovietica, è stato un generale (anche se disomogeneo) arretramento della coscienza di classe del proletariato, che in questo periodo storico non identifica le sue lotte con la necessità di una rivoluzione proletaria o del socialismo. Ma lo sfruttamento e l’oppressione capitalista sono rimasti e raddoppiano d’intensità. Oggi sono i capitalisti che sono all’offensiva. Ma sarebbe totalmente impressionista pensare che le cose rimarranno per sempre così. La lotta di classe continua ad essere il motore della storia. Noi ci battiamo perché il proletariato prenda coscienza della sua missione storica, quella di seppellire il sistema capitalista. Presto o tardi la classe operaia riprenderà l’iniziativa. E allora la questione chiave sarà l’esistenza di un partito bolscevico capace di portare la classe operaia alla vittoria. Per nuove rivoluzioni d’ottobre!