Fuori le truppe israeliane e i coloni dai Territori occupati!

Il muro israeliano sigilla i ghetti palestinesi

Spartaco, n. 64, Luglio 2004

3 Febbraio 2004 – Bambini palestinesi di Qalqilya giocano all'ombra di un muro di cemento alto come un palazzo di tre piani, mentre i soldati israeliani fanno al tiro a segno su di loro dalle torri di guardia. A un posto di blocco, una famiglia disperata supplica le truppe sioniste di lasciargli portare all'ospedale una donna incinta, ma viene respinta. Guardati a vista dai militari israeliani, dei muratori palestinesi costruiscono il muro che isola i quartieri palestinesi di Gerusalemme Est dal resto della città, disgustati dal lavoro che sono costretti ad accettare per sfamare le loro famiglie. Sono queste, oggi, le immagini dalla Cisgiordania assediata. La popolazione palestinese viene segregata dietro una barriera fatta di enormi mura di cemento, di recinzioni elettrificate, di trincee e filo spinato. Un muro che divide le famiglie, separa i contadini dalla loro terra, la popolazione dai posti di lavoro, dagli ospedali e dalle scuole, persino dall'acqua.

Il tracciato del muro, che supererà i 900 chilometri, procede serpeggiando in profondità all’interno della Cisgiordania, per proteggere gli insediamenti dei coloni sionisti e sottrarre la terra ai palestinesi. Ad ovest il muro penetra 13 chilometri oltre la "Linea verde" che segna il confine tra Israele e Cisgiordania, assicurando ad Israele il controllo di gran parte delle migliori terre coltivabili palestinesi. Inoltre include, sul lato israeliano, i pozzi d'acqua della falda acquifera occidentale, la seconda risorsa idrica della regione dopo il fiume Giordano. Secondo un articolo di Seumas Milne nel Guardian di Londra (24 gennaio), una volta completato, il muro circonderà circa il 57 per cento della Cisgiordania. Ogni collegamento fra i due ghetti palestinesi creati dal muro sarà quasi impossibile.

A causa dell’isolamento, l'economia palestinese è congelata. I lavoratori non possono raggiungere il posto di lavoro, i contadini possono vendere il raccolto solo localmente ed il commercio incontra enormi ostacoli. In alcune zone la disoccupazione raggiunge la cifra sconcertante del 70 percento e più della metà dei bambini soffre di malnutrizione. I redditi si sono dimezzati toccando i 900 dollari l’anno, contro un reddito israeliano medio di quasi 17 mila dollari.

Qalqilya, la prima città ad essere isolata ermeticamente dal muro, mostra ciò che accadrà alle altre comunità man mano che il muro si stringe intorno alla Cisgiordania. Completamente circondata su quattro lati, Qalqilya è oggi accessibile solo attraverso un posto di blocco distante quasi un chilometro ad est. L’85 percento della terra di Qalqilya è andata perduta, perché, malgrado le smentite, i militari israeliani impediscono ai contadini di raggiungere i campi. Un terzo dei negozi hanno chiuso e più di 4.000 abitanti hanno gettato la spugna e se ne sono andati per sempre. Non sono solo gli abitanti di Qalqilya ad essere murati, ma anche quelli dei villaggi palestinesi circostanti, praticamente murati fuori dal centro metropolitano da cui dipendevano in tutto e per tutto, per i servizi di base, i negozi, l’assistenza medica.

Il muro è solo l'ultima e più grottesca tappa della lunga storia sanguinosa di colonizzazione e di provocazioni sioniste miranti alla cacciata della popolazione palestinese. La "pulizia etnica" è la logica sottesa a tutte le versioni di sionismo, dai sionisti del Labor che fondarono lo Stato d'Israele ai fanatici di destra che siedono nel governo Sharon. I sionisti incoraggiarono l'emigrazione in Palestina sulla premessa razzista che fosse una "terra senza popolo per un popolo senza terra". Cacciarono con la forza più di 700.000 palestinesi nella cosiddetta "Guerra di indipendenza" del 1948, che i palestinesi chiamano "la catastrofe" (Al Naqba). E sempre con la forza ne hanno cacciate altre migliaia dopo la vittoria nella guerra arabo-israeliana del 1967.

Una misura di quanto la situazione sia degenerata e disperata è il fatto che la politica di trasferimento forzato della popolazione palestinese, un tempo sostenuta apertamente solo dall'estrema destra sionista, oggi è moneta corrente. Parallelamente, con la bancarotta politica dell'Organizzazione per la liberazione della Palestina (Olp), nazionalista borghese, aumenta il numero di giovani palestinesi, persino donne, che si gettano verso il fondamentalismo islamico reazionario di Hamas e della Jihad islamica.

I marxisti si oppongono al nazionalismo irredentista, che offre soltanto la prospettiva di rovesciare i termini dell’oppressione. L'unica soluzione ad una situazione in cui due popoli reclamano la stessa striscia di terra, richiede la fuoriuscita dal quadro capitalista nazionalista. L'unica via di salvezza per i palestinesi e per la popolazione israeliana di lingua ebraica è una rivoluzione proletaria e una federazione socialista del Medio Oriente. Non ci facciamo illusioni che conquistare la classe operaia di lingua ebraica a questa prospettiva possa essere cosa facile o rapida. Ma in Israele esistono delle spaccature sociali e di classe ed è dovere dei rivoluzionari sfruttare ogni contraddizione per strappare il proletariato israeliano ai governanti sionisti.

La classe operaia israeliana oggi è irrequieta e recentemente ha organizzato grandi azioni di sciopero. La primavera scorsa il paese è stato paralizzato da uno sciopero generale dei dipendenti pubblici contro i tagli salariali e i licenziamenti imposti da una legge del ministro delle finanze Benjamin Netanyahu, per finanziare i coloni ultra-sionisti nei Territori occupati e i costi della repressione militare dei palestinesi. E’ evidente che il costo dello stato-caserma sionista pesa letteralmente sui lavoratori poveri del paese, sia quelli di lingua ebraica, che i cittadini di seconda classe dello stato d'Israele, gli "arabi israeliani". Affinché il proletariato ebreo israeliano possa perseguire i propri interessi di classe contro la sua borghesia, i marxisti devono conquistarlo al sostegno cosciente della difesa del popolo palestinese.

Alla vigilia dell’invasione Usa dell’Iraq, abbiamo messo in guardia che Israele avrebbe potuto usare l'alibi della guerra per "trasferire" tutti i palestinesi fuori dai Territori occupati. Sono invece il muro, le difficoltà economiche intollerabili e la repressione, a soffocare ogni vita nelle zone palestinesi, secondo il suggerimento di uno dei ministri del governo di Sharon: "rendergli la vita così dura che se ne andranno da soli". I sionisti sparano non solo per uccidere i palestinesi che si aprono un varco nei posti di blocco del muro, ma ora anche contro i giovani israeliani che si mobilitano per protestare contro queste atrocità.

Gli accordi "di pace" di Oslo hanno posto le basi per il ghetto

Il muro è l’espressione finale della "separazione unilaterale" sostenuta da sempre dal "campo pacifista" sionista, rappresentato dal portavoce del Meretz, Yossi Sarid, e simili. Sharon lo chiama "disimpegno unilaterale". Inoltre è il risultato degli accordi di "pace" di Oslo del 1993, che diedero vita all’Autorità palestinese. All’epoca scrivemmo, in un articolo intitolato "Israele-Olp si accordano per un ghetto palestinese", che questo accordo "non offre neppure la più deformata delle espressioni di autodeterminazione" e al contrario avrebbe posto "il sigillo dell’Olp all’oppressione nazionale delle masse arabe palestinesi a lungo oppresse" (Spartaco n.42, gennaio 1994).

Uno studio della ricercatrice Sara Roy dell'Università di Harvard ("Ending the Palestinian Economy", Middle East Policy, 1 dicembre 2002), ha descritto come è avvenuta la formazione dei ghetti palestinesi:

"Lo spezzettamento dei territori palestinesi in zone geograficamente separate, o cantoni, con entrate e uscite strettamente controllate e sorvegliate da Israele, fu una realtà imposta alla striscia di Gaza e alla Cisgiordania direttamente dai termini degli accordi di pace di Oslo. Non si sa abbastanza che la divisione dei territori palestinesi fu effettuata per la prima volta nella striscia di Gaza nell’ottobre del 1993, un mese dopo la firma della dichiarazione di principi, il primo documento di Oslo, sul prato della Casa Bianca (...). Nel dicembre 1999, la striscia di Gaza venne divisa in tre cantoni e la Cisgiordania in 227, la maggior parte non più grande di due chilometri quadrati. Anche se i palestinesi mantennero il controllo di molti cantoni, con la promessa di controllarne la maggior parte, Israele conservò la giurisdizione sulle zone fra i cantoni e con essa il controllo reale su tutti i Territori e il loro utilizzo (...). La conseguenza logica e deliberata della cantonizzazione territoriale fu la separazione e l’isolamento, facilitato notevolmente dalla politica di chiusura. Infatti, anche se la chiusura esisteva prima degli accordi di Oslo, questi l'hanno istituzionalizzata e formalizzata come misura politica".

Dopo la guerra del 1967 e l'occupazione israeliana di Cisgiordania, Gerusalemme Est e striscia di Gaza, il problema dei sionisti fu come garantire il controllo sulla terra e sulle risorse di queste zone evitando però che i milioni di palestinesi che ci vivono fossero integrati nello stato sionista. I partiti sionisti concordarono che ai palestinesi fosse concesso di avere un minimo di voce in capitolo nei loro affari, mentre il controllo finale sulla terra, sulle risorse e sull'economia sarebbe rimasto nelle mani d'Israele. Il primo di una serie di programmi per realizzare questo obiettivo fu concepito dal generale Yigal Allon, vice primo ministro del Partito laburista. Allon propose di realizzare una serie di insediamenti di coloni nella valle del Giordano, nel deserto di Giudea e attorno a Gerusalemme Est, come mossa preliminare all’annessione formale da parte d’Israele. Nell'insieme il piano prevedeva di stabilire una specie di entità palestinese nel 50 percento circa della Cisgiordania, mentre Israele avrebbe annesso Gerusalemme Est, la valle del Giordano, le colline di Hebron nel sud della Cisgiordania, e la parte sud della striscia di Gaza.

Con l'arrivo al potere del Likud nel 1977, il piano Allon fu completato dal piano Sharon, che prevedeva una nuova fascia di insediamenti da costruire nella parte occidentale della Cisgiordania. La grande espansione degli insediamenti prevista da Sharon fu iniziata nel 1992 da un nuovo governo del Partito laburista guidato da Yitzhak Rabin, che offrì ai coloni notevoli incentivi economici. Dalla firma degli accordi di "pace" di Oslo nel settembre 1993, alla fine del 2000, il numero dei coloni in Cisgiordania è aumentato del 90 percento. Rabin, estendendo l'idea originaria di Allon e Sharon, introdusse una rete di "strade di attraversamento" che rafforzò l’isolamento delle città cisgiordane. L'accordo di Oslo II del 1995 vietò le costruzioni palestinesi nel raggio di 50 metri delle strade, minacciando di demolire centinaia di abitazioni palestinesi. La mappa del muro costruito in Cisgiordania corrisponde quasi alla lettera alle mappe dei piani Allon e Sharon.

Oggi l'intera Cisgiordania è costellata di avamposti militari e insediamenti fortificati, percorsa da "strade d’attraversamento" vietate ai palestinesi. I sionisti applicano il principio della "colpa collettiva", imponendo restrizioni, radendo al suolo costruzioni e lanciando attacchi militari contro intere comunità, come rappresaglia per gli attacchi a civili o soldati israeliani. Più di 400.000 coloni sionisti (includendo Gerusalemme Est), imperversano liberamente nei Territori occupati, rubando le terre ed assassinando decine di palestinesi. Un colono sionista di Gaza ha detto al New York Times (15 gennaio): "A Gerusalemme, quando si vede un arabo non si sa se è con noi o contro di noi, ma qui se vediamo un arabo sappiamo che è pericoloso e gli spariamo". La difesa dei palestinesi deve cominciare con la richiesta della rimozione immediata di tutte le fortificazioni anti-arabe nei Territori occupati, i muri, le truppe, gli insediamenti dei coloni e la rete di autostrade di apartheid.

Fratture nella fortezza sionista

La costruzione del muro in Cisgiordania avviene nel momento in cui parte della autorità israeliane e americane cominciano a pensare che, forse, la repressione sfrenata del governo Sharon contro i palestinesi e il rifiuto di negoziare con l'Autorità palestinese, non sono il miglior modo per difendere gli interessi dello stato sionista. Il "piano di pace" negoziato lo scorso dicembre a Ginevra da alcuni noti politici israeliani e palestinesi, una condanna implicita della politica del governo israeliano, è stato apprezzato dal segretario di stato degli Stati Uniti Colin Powell, dal segretario generale dell’Onu, Kofi Annan e perfino dal vice ministro alla difesa Usa, Paul Wolfowitz, un sionista duro. Come ha detto il mese scorso Tommy Lapid, ministro della giustizia del partito Shinui, il principale alleato della coalizione di Sharon: "Potremmo diventare il moderno Sudafrica, col pericolo di essere colpiti da un boicottaggio internazionale" (Independent di Londra, 6 gennaio).

Inoltre c'è un disagio crescente nelle forze armate e nell'apparato di sicurezza, incluse le truppe sioniste d’élite ed alcuni alti ufficiali. Alla fine di settembre, 27 piloti riservisti dell'aeronautica hanno firmato una lettera in cui rifiutavano di effettuare attacchi aerei contro le zone civili. Il mese dopo, il capo di stato maggiore dell'esercito israeliano ha criticato le limitazioni imposte ai palestinesi. Il 14 novembre, quattro ex-dirigenti dello Shin Bet, i famigerati servizi di sicurezza interni, membri sia del Partito laburista che del Likud di Sharon, si sono dichiarati contrari alla politica del governo nei Territori occupati e alcuni di loro hanno esplicitamente criticato il muro. Il 28 dicembre, 13 riservisti dell’ unità d’élite dei ricognitori hanno mandato una lettera a Sharon in appoggio al rifiuto dei piloti di servire nei Territori. Negli ultimi tre anni più di mille israeliani si sono rifiutati di servire nelle forze armate di stanza nei Territori occupati. Il mese scorso, cinque di loro sono finiti davanti alla corte marziale per la prima volta negli ultimi 20 anni.

Il 2 febbraio, Sharon ha annunciato un piano per rimuovere quasi tutti gli insediamenti ebraici dalla striscia di Gaza perché sono "un peso dal punto di vista della sicurezza" e motivo di "continui attriti". Quando Sharon ha proposto di smantellare quattro insediamenti isolati nel nord della Cisgiordania (meno dello 0,5 percento del totale di coloni) in cambio di un accordo per mantenere tutti gli altri, ha incontrato l'opposizione dei dirigenti del movimento fascistoide dei coloni.

Dietro il brutale imprigionamento dei palestinesi in ghetti, c'è in parte quello che i sionisti chiamano "il problema demografico", un eufemismo per dire che il tasso di natalità tra i palestinesi, inclusi gli arabi israeliani, supera di molto quello degli ebrei israeliani. Spiegando ciò che potrebbe esserci dietro la proposta di Sharon sugli insediamenti di Gaza, il New York Times (3 febbraio) scriveva: "Alcuni membri del Likud sostengono che Israele dovrebbe tracciare i confini in modo tale da tagliar fuori il maggior numero di arabi ma la minor quantità di terra possibile". Cercando di sfruttare il problema "demografico" come strumento di pressione sui sionisti, il primo ministro palestinese Ahmed Qurei ha avvertito il mese scorso che "la politica di Israele di continuare la costruzione del muro, significa che i discorsi su uno stato palestinese non hanno nessun senso" ed ha minacciato che "se Israele continua con questa politica, torneremo all’opzione di un solo stato democratico binazionale" (Agence France-Presse, 9 Gennaio). Thomas Friedman, un leale sos-tenitore d’Israele, ha spiegato al New York Times (14 settembre 2003) che cosa significa:

"Piuttosto che mettere le basi per una soluzione a due stati, il muro ucciderà quell'idea tra i palestinesi e li spingerà, col tempo, a chiedere una soluzione in un unico stato, in cui loro e gli ebrei abbiano uguali diritti. E siccome nel 2010 ci saranno più arabi-palestinesi che ebrei in Israele, Cisgiordania e Gaza messi insieme, questa trasformazione della causa palestinese sarà un grosso problema per Israele. Se già adesso è difficile per gli ebrei americani difendere Israele nei campus universitari, immaginatevi come sarà quando i loro ragazzi dovranno opporsi al principio: un uomo, un voto".

Sotto il capitalismo, Israele non diventerà mai una democrazia binazionale in cui gli ebrei e gli arabi vivano insieme su di una base di eguaglianza politica. Lo sanno benissimo sia Friedman che Qurei. Lo stato sionista è uno stato razzista, esclusivista, fondato sull'espulsione, il "trasferimento" o lo "spostamento" del popolo palestinese. Come abbiamo detto in passato, i governanti sionisti sono assolutamente capaci di compiere massacri di palestinesi su scala realmente genocida. È assolutamente necessario che la classe operaia a livello internazionale, faccia sua la rivendicazione: Difendere il popolo palestinese!

L’unica soluzione è la rivoluzione proletaria

Sharon sostiene che il muro in Cisgiordania serve a fermare il "terrorismo palestinese". Il regime di Sharon usa gli attacchi suicidi palestinesi, che hanno ucciso centinaia di civili israeliani innocenti, come pretesto per scagliare la macchina da guerra sionista in attacchi ancora più sanguinosi contro i palestinesi. Gli attentati suicidi contro i civili israeliani, che sono atti completamente criminali dal punto di vista del proletariato internazionale, servono a spingere ulteriormente la popolazione di lingua ebraica tra le braccia dei governanti sionisti.

Lo scorso autunno, in un articolo della New York Review of Books (23 ottobre 2003), Tony Judt, professore dell'Università di New York, ha descritto come lui vede la situazione:

"La soluzione a due stati – il cuore del processo di Oslo e dell’attuale ‘road map’, è probabilmente già condannata (...). La vera alternativa in Medio Oriente nei prossimi anni sarà tra una Grande Israele etnicamente ripulita, o un unico stato binazionale di arabi ed ebrei, israeliani e palestinesi. Questo è il modo in cui la vedono gli intransigenti nel governo di Sharon: per questo considerano la cacciata degli arabi condizione inevitabile della sopravvivenza di uno stato ebraico".

Per aver sostenuto che uno stato isrealiano binazionale sarebbe un "risultato desiderabile", Judt ha provocato uno scandalo e prominenti intellettuali sionisti lo hanno accusato di odiare gli ebrei, di "favorire il genocidio" e "partecipare ai preparativi della soluzione finale".

Lo scontro ideologico riflette il fatto materiale che non esiste una soluzione all’oppressione delle masse palestinesi nel quadro del capitalismo, che è basato sullo stato-nazione e sulla continua ricerca dell’espansione nazionale. I palestinesi e il popolo di lingua ebraica d’Israele, rappresentano un caso di popoli compenetrati, due popolazioni in lotta per lo stesso territorio. Sotto il capitalismo, tali conflitti possono essere risolti soltanto con la soppressione di un popolo da parte di un altro attraverso l’assimilazione forzata, il trasferimento forzato della popolazione ("pulizia etnica") o un vero e proprio genocidio.

L'unica via per la liberazione nazionale e sociale in Medio Oriente è la mobilitazione del proletariato sulla base dell’internazionalismo rivoluzionario, per spazzare via tutti i regimi capitalisti oppressivi della regione, nella lotta per una federazione socialista del Medio Oriente. E' probabile che per strappare il proletariato ebraico allo sciovinismo sionista servirà un'enorme scossa nella regione, ad esempio la vittoria della rivoluzione socialista in uno degli altri stati del Medio Oriente. Ma per impedire ai pazzi sionisti di utilizzare alla fine il loro arsenale nucleare e di sprofondare l’intera regione in un olocausto, il proletariato ebraico deve unirsi agli operai arabi e spazzare via l'intera marcia struttura del dominio di classe capitalista in Medio Oriente. Solo allora potranno essere garantiti i diritti di autodeterminazione sia per il popolo palestinese che per quello ebraico. Ciò che è necessario in primo luogo è la costruzione di partiti operai internazionalisti, sezioni di una riforgiata Quarta internazionale, che si oppongano al sionismo, al nazionalismo arabo e a tutte le varianti del fondamentalismo religioso. Difendere il popolo palestinese! Per una federazione socialista del Medio Oriente!

(Adattato da Workers Vanguard n. 819, 6 febbraio 2004)

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