Nigeria: condannata alla
lapidazione
Salvare Amina Lawal!
Adattato da Workers Vanguard n.
787, 20 settembre 2002.
Il 19 agosto un alto tribunale islamico dello stato nigeriano
settentrionale di Katsina ha respinto l'appello di Amina Lawal,
una madre trentenne non sposata, confermandone la condanna a morte
per lapidazione per aver avuto rapporti sessuali extra matrimoniali.
Lawal era già stata condannata a marzo da un tribunale
inferiore. La sua esecuzione è prevista nel gennaio del
2004, appena finito di allattare il bambino. Il movimento operaio
di tutto il mondo deve mobilitarsi in azioni di protesta per fermare
quest'orribile esecuzione!
Amina Lawal non è la prima donna ad incorrere nell'ira
dei fondamentalisti islamici nigeriani. L'anno scorso è
stata condannata a morte per lapidazione Safiya Hussaini, una
madre divorziata. Lo scorso marzo la Corte d'Appello ne ha annullato
la condanna. Un terzo caso è sospeso in attesa che la donna
stia abbastanza bene da comparire di fronte al tribunale.
Da quando, due anni fa, è stata reintrodotta in una decina
di stati del Nord a maggioranza musulmana la sharia, un insieme
di codici sociali e penali islamici, le donne sono state costrette
ad indossare il velo e le scuole miste sono state trasformate
in istituti unisessuali, in quei rari casi in cui alle ragazze
è consentito studiare. Un'adolescente ha subito cento frustate
per aver fatto sesso prima del matrimonio. Alle donne è
vietato salire sugli autobus e sui taxi insieme agli uomini. La
vendita di alcolici è proibita e uomini sorpresi a bere
sono stati bastonati pubblicamente. Sono state create apposite
squadre paramilitari per far applicare il nuovo codice.
L'applicazione della sharia negli stati settentrionali si va ad
aggiungere ad una condizione terribile e che già andava
peggiorando per le donne nigeriane. L'aborto è illegale
in tutto il paese. La compravendita delle donne come mogli è
quasi universale sia nelle comunità cristiane che in quelle
musulmane. La pratica orribile e pericolosa della mutilazione
genitale femminile, che viene imposta alle ragazzine per "domarne
la sessualità" e assicurarne la castità, è
in rapida crescita in tutti i gruppi etnici e religiosi, e milioni
di donne nigeriane sono vittime di questa barbarie. La Nigeria
è uno dei pochi paesi dell'Africa sub sahariana a non vietare
per legge questa pratica.
In maggioranza analfabete, schiave dei padri e dei mariti, le
donne nigeriane sono vittime di matrimoni forzati, esauste per
il troppo lavoro, malnutrite e durante gli spargimenti di sangue
tra le varie etnie che piagano costantemente il paese, sono vittime
di stupri e omicidi. La poligamia, basata sulla subordinazione
delle donne, è molto diffusa. Prive di qualsiasi controllo
sulla propria vita riproduttiva, le donne si trovano sottoposte
ad enormi pressioni sociali ed economiche: la sterilità
è un marchio d'infamia e i figli maschi sono l'unica possibilità
di aiuto per la vecchiaia. L'Aids è in crescita esponenziale
in un paese dove più di 4 milioni di persone sono infette
dal virus dell'Hiv. L'ostracismo e la condanna sociale che ne
derivano, vengono usati per rafforzare le ideologie antidonne
reazionarie. Essendo una malattia a trasmissione sessuale, l'Aids
viene usato per rafforzare i tabù repressivi, il senso
di colpa e di vergogna che circondano il sesso e che servono a
sottomettere le donne. Il 9 settembre il sindaco di Roma Veltroni
ha conferito la "cittadinanza onoraria" a Safiya Hussaini,
la donna nigeriana la cui condanna a morte è stata revocata
all'inizio di quest'anno. Come disse Oscar Wilde, "L'ipocrisia
è l'omaggio del vizio alla virtù". Infatti
le pratiche barbariche che opprimono le donne non sono limitate
alla Nigeria o al mondo islamico. In tutte le società basate
sulla proprietà privata, tutte le religioni hanno sviluppato
forme di oppressione per rafforzare la sottomissione delle donne.
Nell'Europa medievale, le donne venivano bruciate sul rogo con
l'accusa di stregoneria ed erano costrette ad indossare la cintura
di castità. Le "adultere" del New England del
Settecento erano costrette a portare sul petto la lettera scarlatta.
Nella Cina pre-rivoluzionaria era diffusissima la pratica di fasciare
i piedi delle donne. In Irlanda le donne non sposate che restavano
incinta erano dichiarate pazze e costrette a lavorare per decenni
come schiave nei conventi. Ancora oggi il suttee (il rogo delle
vedove) è in forte crescita in India.
In tutte le società divise in classi, la fonte principale
dell'oppressione delle donne è l'istituzione della famiglia,
il veicolo tramite cui viene trasmessa di generazione in generazione
la proprietà privata, e il meccanismo per dar vita a nuove
generazioni di lavoratori. Nell'Origine della famiglia, della
Proprietà privata e dello Stato, scritto alla fine dell'Ottocento,
Friedrich Engels spiegò che la famiglia monogamica patrilineare
era sorta per "la dominazione dell'uomo nella famiglia e
la procreazione di figli incontestabilmente suoi, destinati a
ereditare le sue ricchezze". La famiglia viene usata per
irreggimentare la società a vantaggio dei potenti, instillando
la sottomissione all'autorità e inculcando l'oscurantismo
religioso. La lotta per la completa emancipazione delle donne
è legata alla lotta per il rovesciamento del capitalismo.
Ma per liberare l'enorme potenziale rivoluzionario della battaglia
per la liberazione delle donne è necessaria la direzione
di un partito autenticamente comunista, armato di un'ampia visione
di un ordine sociale di eguaglianza e di libertà, che chiami
le donne a far parte della sua direzione. Anche le esigenze più
elementari delle vaste masse di donne della Nigeria (la fine dell'isolamento
domestico e del velo; la fine dei matrimoni forzati, della poligamia
e della compravendita delle spose; la libertà dalla miseria
e dalla sottomissione legale; il diritto ad un'educazione gratuita
e di qualità e ad un'assistenza sanitaria decente, compresi
il diritto all'aborto e alla contraccezione) esigono che vengano
attaccate le fondamenta dell'ordine sociale capitalista e del
dominio imperialista, e richiedono una rivoluzione socialista.
In definitiva, per superare l'orribile miseria e l'arretratezza
culturale dell'Africa sub sahariana, ci vuole un'economia socialista
pianificata a scala internazionale, sulla base di rivoluzioni
proletarie nei paesi capitalisti avanzati del Nord America, dell'Europa
Occidentale e del Giappone. Per la liberazione delle donne con
la rivoluzione socialista!
L'ipocrisia imperialista sui diritti delle donne
L'applicazione della sharia nella Nigeria del Nord ha scatenato
un violento conflitto etnico e religioso tra la maggioranza musulmana
delle tribù degli Hausa e la minoranza cristiana degli
Ibo. Circa un migliaio di persone sono morte da entrambe le parti
e sono state distrutte moltissime case, chiese e moschee. Centinaia
di migliaia di Ibo sono stati costretti a fuggire verso Est, dove
costituiscono la maggioranza etnica. Un esodo analogo di Hausa
si è diretto verso Nord, in fuga dai massacri e dalle vendette.
I massacri etnici hanno riportato alla mente gli eventi che condussero
alla Guerra del Biafra alla fine degli anni Sessanta. All'epoca,
a seguito dei massacri degli Ibo nel Nord, quel gruppo etnico
cercò di separarsi dal resto del paese. La guerra che ne
seguì, con quasi due milioni di morti, fu uno dei conflitti
più brutali della storia africana dopo l'indipendenza.
Il Presidente Olusegun Obasanjo, che negli anni Settanta era stato
tra i militari al potere, è stato rimesso in carica nel
1999 con l'appoggio dell'esercito e con il sostegno delle élite
del Nord. Questi ha apertamente sostenuto l'introduzione della
sharia nel Nord, dicendo che "la sharia non è una
novità e non è una cosa da temere... il governo
federale non contesterà il diritto dei singoli stati di
applicarla" (London Guardian, 20 agosto).
Dopo la condanna di Amina Lawal la stampa imperialista si è
riempita di grida di protesta. L'Unione Europea, il Dipartimento
di Stato degli Usa e il governo canadese si sono uniti nella condanna
della "enorme violazione dei diritti umani". Non ci
si poteva aspettare niente di più cinico dalle potenze
imperialiste che nei rispettivi paesi promuovono attacchi ai diritti
delle donne, come si vede nel modo più chiaro negli attacchi
al diritto di aborto e all'assistenza sociale negli Usa. Il 9
settembre è stata arrestata Regina Norman Danson, una donna
ghanese che aveva chiesto asilo negli Stati Uniti per sfuggire
alla mutilazione genitale nel proprio paese. Ora rischia di perdere
il passaporto e di essere deportata con la falsa accusa di essersi
inventata la storia. E mentre Roma conferiva la cittadinanza onoraria
(simbolica) a Safiya Husseini, decine di donne nigeriane vengono
ogni giorno private di questo diritto e deportate a forza dall'Italia
verso un futuro fatto di galere, povertà, oppressione e
emarginazione sociale.
Gli imperialisti non si sono mai preoccupati minimamente delle
donne dei paesi che hanno cercato di dominare e di sfruttare.
Per secoli queste potenze hanno tenuto in schiavitù i neri
africani e hanno saccheggiato il continente. Più recentemente,
sono state queste stesse potenze a "liberare" Kabul
e l'Afghanistan, e ad installare il regime dei tagliagole dell'Alleanza
del Nord, che ha riaffermato tutte le barbare leggi della sharia
dei talebani, solo "cambiandole" un pochino. Un giudice
afgano di spicco ha dichiarato che i condannati per "adulterio"
verranno ancora lapidati a morte... ma con sassi più piccoli.
Per la rivoluzione permanente!
La Nigeria, dove più di 300 gruppi etnici sono rattoppati
assieme a formare un amalgama di nazione, è una creatura
dell'imperialismo britannico dopo la spartizione del continente
alla Conferenza di Berlino del 1884. I principali gruppi etnici
sono gli Hausa, gli Ibo e gli Yoruba, che formano circa il 70
percento della popolazione e spadroneggiano su centinaia di altri
gruppi etnici minori. Gli Hausa, che dominano il Nord, sono in
maggioranza musulmani; gli Ibo dell'Est sono in maggioranza cristiani;
gli Yoruba, nel Sudovest, sono divisi tra musulmani e cristiani.
Mantenuti artificiosamente divisi e ulteriormente separati lungo
fratture etniche e religiose, questi gruppi vengono gettati in
continui massacri tra le comunità, fomentati dai governanti
del paese che dominano per conto degli imperialisti e dei magnati
internazionali del petrolio. Come scrive il giornalista Norimitsu
Onishi:
"Questi odi e queste divisioni sono terribilmente complicati,
e si alimentano del malgoverno e della corruzione che hanno lasciato
in povertà gli abitanti di uno dei principali produttori
di petrolio mondiali. Per di più queste divisioni sono
state incoraggiate e sfruttate dai governanti del paese, dai britannici,
passando per i governi militari, fino alle compagnie petrolifere
europee e americane che pompano greggio dal delta del Niger, un'area
completamente abbandonata dal governo federale" (New York
Times, 26 marzo 2000).
Un rapporto pubblicato il 26 agosto dall'Organizzazione mondiale
contro la tortura documenta il ruolo del regime di Obasanjo nell'uccisione
di più di diecimila persone a partire dal 1999:
"Gli agenti della sicurezza, agendo quasi sempre su ordine
diretto del governo, sono stati responsabili di molte uccisioni
e dei relativi stupri, mutiliazioni e torture di migliaia di donne,
anziani, bambini e altri civili indifesi..."
"La copertura mediatica locale e internazionale dipinge questi
episodi come fossero di natura etnico-religiosa. Invece le nostre
indagini dimostrano che questo eufemismo ha contribuito ad oscurare
il ruolo evidente dello stato e delle sue agenzie per la sicurezza
nel perpetrare queste palesi violazioni, mettendo in questo modo
al riparo il governo dalla responsabilità per questi avvenimenti
e per il loro ripetersi".
Il mese scorso Obasanjo ha ammesso di aver ordinato i massacri,
asserendo grottescamente di averlo fatto per "salvare vite
e proprietà". La Nigeria, che dopo l'indipendenza
nel 1960 è stata governata da una successione di generali
salvo una parentesi di dodici anni, è diventata sinonimo
di corruzione, terrore, brutalità e abbandono. È
difficile descrivere il livello di miseria sociale di un paese
in cui, pur essendo il sesto principale esportatore di petrolio,
il 70 percento di circa 125 milioni di abitanti vivono al di sotto
del livello di sussistenza. Il reddito pro capite, meno di 300
dollari, è immutato dai tempi precedenti alla scoperta
del petrolio. Le masse della popolazione urbana vivono in baraccopoli
sovraffollate quasi sempre prive di elettricità. Ci sono
migliaia di senzatetto. La rete telefonica funziona a singhiozzo
nei periodi migliori e spesso non funziona affatto. Le fabbriche
sono ferme. Le scuole senza libri, gli ospedali senza medicinali.
I trasporti pubblici sono al collasso. Nelle immense campagne
la popolazione contadina sprofonda nella povertà, vivendo
a livelli di mera sussistenza. Specialmente a partire dal collasso
controrivoluzionario dell'Unione Sovietica nel 1991-92, il dissanguamento
imperialista della Nigeria è aumentato drammaticamente.
Oggi il Fondo monetario internazionale e la Banca mondiale chiedono
il pagamento dei prestiti fatti in passato per puntellare questi
paesi africani nella Guerra fredda contro l'Unione Sovietica.
Nonostante la costante repressione, negli ultimi anni la Nigeria
ha visto continue lotte operaie e sociali. Nel giugno del 2000
il paese è stato completamente fermato da uno sciopero
generale indetto dal Nigeria Labor Congress, dopo che il governo
aveva ordinato l'aumento dei prezzi della benzina e del diesel.
Cinque giorni di sciopero generale e manifestazioni di massa hanno
costretto il governo a ridurre del 50 percento gli aumenti. A
gennaio di quest'anno un altro sciopero generale ha costretto
il regime a ridurre un nuovo aumento dei prezzi del carburante.
Lo scorso luglio centinai di donne hanno coraggiosamente occupato
quattro impianti di estrazione della Chevron Texaco nel delta
del Niger, chiedendo lavoro, elettricità, acqua potabile,
scuole e strutture sanitarie. Sono proprio le questioni che toccano
tutti coloro che vivono in Nigeria ed è compito di un movimento
operaio combattivo battersi per queste rivendicazioni. La miseria
delle masse e la degradazione del paese, qui come in tutto il
mondo semi-coloniale, sono il prodotto diretto del saccheggio
imperialista, messo in atto dai suoi luogotenenti locali. Dall'Iran
all'Algeria, dall'Egitto alla Nigeria, la frustrazione delle masse
popolari di fronte a condizioni così disperate ha creato
un terreno fertile per la diffusione del fondamentalismo islamico.
Con il collasso delle aspettative nate nelle lotte per l'indipendenza,
le masse impoverite e i giovani disoccupati delle città
trovano sollievo nella religione. Si uniscono a migliaia alle
fila dei fondamentalisti islamici. L'ascesa dell'Islam politico
come movimento di massa è il riflesso reazionario da un
lato dell'evidente vicolo cieco del nazionalismo, dall'altro dell'assenza
di un'alternativa comunista. Come ha detto un capo degli islamisti
nigeriani "È il fallimento di tutti i sistemi che
abbiamo conosciuto. Abbiamo avuto il colonialismo, che ci sfruttava.
Abbiamo avuto un breve periodo di felicità dopo l'indipendenza,
poi sono venuti i militari e da allora tutto è andato di
male in peggio. Ma prima di tutto ciò, avevamo un sistema
che funzionava. Avevamo la sharia. Siamo musulmani. Perché
non tornare alle nostre origini?" (New York Times, 1 novembre
2001)
In un'economia mondiale dominata dall'imperialismo, i paesi neocoloniali
dell'Africa non hanno nessuna possibilità di realizzare
un significativo sviluppo economico. Con una scarsa produzione
industriale, la borghesia è costituita principalmente da
generali, ministri, contrattisti del governo e mercanti. Una simile
classe dominante non può realizzare una vera emancipazione
nazionale dall'imperialismo. La chiave per il progresso economico
e sociale di questi paesi è fornita dal programma trotskista
della rivoluzione permanente. Come spiegò Leone Trotsky,
nei paesi economicamente arretrati la debole borghesia nazionale,
legata da mille fili all'imperialismo e timorosa della "propria"
classe operaia, è incapace di realizzare gli obiettivi
delle classiche rivoluzioni borghesi come quella francese del
1789. Trotsky scrisse che "la soluzione vera e completa dei
loro problemi di democrazia e di liberazione nazionale non è
concepibile se non per opera di una dittatura del proletariato,
che assuma la guida della nazione oppressa e, prima di tutto,
delle sue masse contadine" (La rivoluzione permanente, 1930).
Anche se in tutta l'Africa il proletariato industriale esiste
solo in tasche marginali e isolate, gli operai petroliferi della
Nigeria e dell'Angola, i portuali e i ferrovieri del Kenya e i
minatori dello Zambia e del Congo, per fare qualche esempio, rappresentano
una forza-lavoro industriale strategica. La sfida che sta di fronte
ad un partito operaio rivoluzionario internazionalista è
quella di trasformare questi strati in un ponte umano verso il
proletariato industriale del Sudafrica e il movimento operaio
del Medio Oriente, che sono la chiave di una prospettiva rivoluzionaria
per il continente africano.
Per mobilitarsi contro i suoi sfruttatori capitalisti il proletariato
deve lanciare una lotta ad ogni oppressione, specialmente all'oppressione
delle donne. La lotta per la democrazia e il progresso sociale
sul continente africano richiedono necessariamente una rivoluzione
proletaria. È evidente che gli imperialisti cercherebbero
di schiacciare una simile rivoluzione. La lotta per il potere
proletario nell'Africa subsahariana dev'essere legata alla battaglia
per il potere operaio nei paesi capitalisti avanzati. Centinaia
di migliaia di operai africani immigrati che sono una componente
chiave di settori sindacalizzati e strategici del proletariato
in Europa, saranno il ponte necessario ad estendere la rivoluzione.
Per realizzare quest'obiettivo la classe operaia deve forgiare
una direzione rivoluzionaria, dei partiti leninisti-trotskisti
d'avanguardia, parte di una Quarta internazionale riforgiata.
La Lega comunista internazionale cerca di costruire partiti di
questo tipo, perché guidino la lotta contro l'imperialismo
e i regimi fantoccio neocoloniali.
Fermare l'esecuzione di Amina Lawal!