Hong Kong

Espropriare la borghesia!

Spartaco, n. 63, Febbraio 2004

L'estate scorsa ad Hong Kong vi è stata una serie di grandi manifestazioni anticomuniste col sostegno spudorato dell'imperialismo americano e britannico. Pretesto delle manifestazioni è stata una nuova legge sulla “sicurezza” proposta (e poi ritirata) dal governo di questa enclave capitalista della Repubblica popolare di Cina (Rpc), nominato e diretto da Pechino. Questi avvenimenti fanno luce su alcune verità fondamentali che sono state oscurate dall'idea che la Cina sia diventata o stia rapidamente diventando capitalista sotto il governo del Partito comunista cinese (Pcc).

Nonostante più di vent'anni di “riforme” di mercato del regime stalinista di Pechino, gli elementi fondamentali dell'economia cinese restano collettivizzati. La Rivoluzione del 1949, benché burocraticamente deformata sin dall'inizio, liberò la Cina continentale dai capitalisti, dai proprietari terrieri e dai loro padroni imperialisti americani. E loro vogliono riprendersela. La politica conciliante del regime del PCC, da Mao Zedong e Deng Xiaoping fino a Jiang Zemin e Hu Jintao, ha fatto sì che Hong Kong diventasse una testa di ponte per le forze della controrivoluzione nella Rpc. Una rivoluzione politica proletaria in Cina, cacciando la burocrazia stalinista, esproprierebbe necessariamente la classe capitalista di Hong Kong, il nemico interno degli operai e dei lavoratori agricoli cinesi, appoggiato dagli imperialisti.

Quando l'Armata Rossa, l'esercito contadino di Mao, entrò a Pechino nel 1949, gran parte dei capitalisti cinesi fuggì sull'isola di Taiwan, dove sono sempre stati protetti dalla forza militare americana. Un numero minore ma consistente di capitalisti cinesi si rifugiò nella colonia insulare britannica di Hong Kong. Nonostante la stridula retorica nazionalista cinese e le pretese di socialismo rivoluzionario, il regime di Mao non sfidò mai la sovranità britannica su Hong Kong.

Nel 1997, dopo anni di negoziati, Hong Kong passò sotto la sovranità della Repubblica popolare. Adottando la formula “un paese, due sistemi”, il governo di Jiang Zemin garantì che il diritto di proprietà dei ricchi finanzieri e affaristi di Hong Kong non sarebbe stato toccato. All'epoca scrivemmo:

“Anche la Lega comunista internazionale (quartinternazionalista) esulta vedendo ammainata la sanguinosa Union Jack e alzarsi la bandiera rossa a cinque stelle della Repubblica popolare, segno che il putrido impero britannico ha perso il suo ultimo importante possedimento coloniale. Ma mettiamo in guardia che, nelle mani dell'avida burocrazia stalinista, che si è impegnata a mantenere il sistema capitalista ad Hong Kong, l'annessione del territorio è un coltello puntato alla gola di ciò che resta delle conquiste della Rivoluzione cinese del 1949” (Workers Vanguard n. 671, 11 luglio 1997).

Negli anni dell’occupazione gli imperialisti britannici hanno spadroneggiato sull'isola da guardiani razzisti repressivi, introducendo una parvenza di “democrazia” solo poco prima della riunificazione. L'ultimo governatore coloniale britannico, Chris Patten, promosse attivamente la formazione di un partito fortemente anti­ comunista e filo-occidentale, il Partito democratico. Con l'appoggio della borghesia di Hong Kong il Partito democratico ha conquistato un ampio sostegno nella vasta popolazione piccolo-borghese della città: il personale tecnico e manageriale delle banche, delle società di borsa, delle grandi aziende.

La liberalizzazione politica dei primi anni Novanta ha consentito anche la formazione di un partito di sinistra favorevole a Pechino, l'Associazione democratica per il miglioramento di Hong Kong (Adm). Il suo leader e fondatore si definiva marxista. Molti suoi dirigenti sono ex “Guardie rosse” maoiste che alla fine degli anni Sessanta diedero molti grattacapi alle autorità coloniali britanniche. Cosa più importante, fin dall'inizio l'Adm si è basata in gran parte su settori della classe operaia, grazie ai suoi legami con la Confederazione dei sindacati (Ftu) di Hong Kong, che con i suoi circa 300.000 iscritti era, nel 2000, la più grande della città. Molti dirigenti dell’Adm sono ex funzionari sindacali.

All'avvicinarsi del passaggio di sovranità alla Rpc, il principale settore borghese di Hong Kong decise che era tatticamente più intelligente collaborare con il regime di Pechino invece di adottare un atteggiamento di sfida come faceva il Partito democratico. I finanzieri e gli industriali “patriottici” non entrarono nell'Adm, ma formarono i loro partiti, tra cui spicca il Partito liberale, che ha un programma e un'ideologia esplicitamente favorevoli al “libero mercato” capitalista. Sembra sia stato il leader del Partito liberale, James Tien, a convincere il principale politico di Hong Kong, Tung Chee-hwa (e, dietro di lui, i poteri forti di Pechino) a ritirare la legge sulla “sicurezza” dopo la manifestazione anticomunista del 1 luglio.

Il mantenimento di Hong Kong come enclave capitalista nella Rpc è coerente con la ventennale politica del regime di Pechino di incoraggiare investimenti nella Cina continentale da parte della borghesia cinese espatriata. Ma gli inglesi, fortemente appoggiati dagli americani, chiesero anche che non si ostacolasse l’attività dei partiti politici delle classi possidenti di Hong Kong, specialmente del Partito democratico. Ciò non piacque affatto a Jiang Zemin e ai suoi accoliti.

Comunque, fu raggiunto un compromesso. Pechino nominò un esecutivo “forte” ad Hong Kong, capeggiato da un ex magnate dell'industria navale, Tung Chee-hwa. All'organo legislativo della città vennero attribuiti limitati poteri e le elezioni furono strutturate in modo tale da impedire che il Partito democratico ne prendesse il controllo anche con la maggioranza dei voti.

Dal 1997 la composizione sociale di Hong Kong è mutata, e con essa il peso reciproco delle forze politiche. I capitalisti di Hong Kong hanno investito sempre più sul continente, dove il costo del lavoro è molto più basso. Di conseguenza è aumentato il peso specifico sociale della piccola borghesia, a vantaggio dei partiti democratico e liberale e a svantaggio dell'Adm che si basa sulla classe operaia.

La crisi sull'Articolo 23

La crisi dell'estate scorsa è iniziata quando il governo locale di Tung, seguendo le direttive di Pechino, ha proposto una nuova legge sulla “sicurezza” volta ad attuare l'Articolo 23 della costituzione separata di Hong Kong. Questa avrebbe aumentato i poteri del governo di Hong Kong di reprimere gruppi e individui “sediziosi”. Con ogni proba­ bilità se fosse entrata in vigore, la nuova legge sarebbe stata usata contro militanti operai e di sinistra, tra cui gli elementi dissidenti dell'Adm/Ftu, non contro la destra anticomunista. Come trotskisti rivoluzionari ci siamo opposti a questa legge e non riponiamo nessuna fiducia nella burocrazia per quanto riguarda la vera difesa dello stato operaio deformato cinese. La burocrazia di Pechino non ha alcuna intenzione concreta di ripulire Hong Kong dai controrivoluzionari borghesi, intenta come è a mantenervi un’enclave capitalista.

Le proteste del 1 luglio non avevano nulla a che fare con la situazione legale nella Regione amministrativa speciale di Hong Kong. Non è un segreto per nessuno che l'obiettivo del Partito democratico è di prendere il potere politico ad Hong Kong e farne un bastione anticomunista da cui lanciare un movimento “per la democrazia” su tutto il continente. All'epoca delle proteste il ministro degli Esteri inglese Bill Rammell ha dichiarato di considerare la proposta di legge sulla “sicurezza” una violazione del sistema legale “indipendente” di Hong Kong. Subito dopo, in un articolo sul Wall Street Journal (10 luglio), organo auto­ revole del capitale americano, James A. Kelly, il Vicesegretario di Stato di Bush per gli affari del Pacifico e dell'Asia orientale, ha lodato i manifestanti di Hong Kong per il loro “chiaro messaggio di quanto hanno a cuore la libertà”. Inutile dirlo, l'unica “libertà” che sta a cuore agli uomini del Wall Street Journal, è quella di sfruttare gli operai e i contadini cinesi e di tutto il mondo.

Inizialmente la direzione dell'Adm/Ftu, fedele a Pechino, ha appoggiato la proposta di legge. A luglio l'Adm e l'Ftu hanno organizzato contromanifestazioni cui sembra abbiano partecipato 40.000 persone, per protestare contro gli anticomunisti, con slogan come “La sicurezza nazionale è responsabilità di tutti” e “Senza lo Stato non abbiamo una casa”. Alla fine di agosto però i dirigenti di Adm e Ftu hanno cambiato atteggiamento, proponendo di rimandare di un anno la legge sulla “sicurezza”. Al contrario di quanto hanno fatto i dirigenti di Adm/Ftu, un'organizzazione trotskista ad Hong Kong si sarebbe opposta all'Articolo 23, cercando piuttosto di espandere i diritti democratici disponibili, per mobilitare la classe operaia, specialmente i sostenitori di Adm e Ftu, contro i capitalisti della città, sia quelli apertamente anticomunisti che quelli “patriottici”.

Le due organizzazioni che ad Hong Kong sono erroneamente identificate col trotskismo, i gruppi della October Review e Pioneer, sono nella pratica socialdemocratici anticomunisti. La prima ha attivamente mobilitato a favore delle proteste di luglio, chiedendo il “ritorno del governo al popolo” (October Review, 31 maggio). Nel 1997 il gruppo Pioneer si è praticamente unito ai nazionalisti borghesi di destra del Guomindang nelle proteste contro la restituzione di Hong Kong alla Repubblica popolare cinese. L'estate scorsa il gruppo Pioneer ha partecipato al “Fronte civile per i diritti umani” che ha organizzato la manifestazione del 1 luglio, che il Pioneer ha salutato come una “vittoria iniziale del Potere popolare”.

Anche la rivista inglese Socialist Appeal, alla cui tendenza appartiene in italia Falcemartello, ha esultato per le manifestazioni anticomuniste di luglio: “il movimento democratico di Hong Kong ha avuto l’onore di levare per primo la bandiera della democrazia” e ha chiesto “Libere elezioni subito” e persino il “diritto all’autodeterminazione” di Hong Kong capitalista! (www.marxist.com, 16 luglio 2003)

Anche se al momento non possono, gli imperialisti americani vorrebbero usare Hong Kong come base per replicare in Cina la strategia politica seguita in Europa dell'Est e nell'ex Unione Sovietica negli anni Ottanta/inizio Novanta: promuovere un movimento controrivoluzionario capitalista in nome della “democrazia” occidentale. La realtà dietro alla facciata della democrazia parlamentare in occidente e altrove è il dominio economico e politico della classe capitalista, vale a dire oppressione razziale, persecuzione degli immigrati, sfruttamento brutale ecc.

Come parte della nostra lotta per difendere ed estendere le conquiste della Rivoluzione cinese del 1949, noi chiediamo l'espropriazione della borghesia di Hong Kong, comprese le sue proprietà in Cina. Ma per farlo bisogna spazzar via la burocrazia di Pechino, che con la sua politica mina la difesa dello stato operaio cinese, con una rivoluzione politica proletaria. Noi ci battiamo per un governo di consigli operai e contadini (soviet) come quello creato dalla Rivoluzione bolscevica del 1917 sotto la guida di Lenin e Trotsky. Un governo del genere in Cina prenderebbe la ricchezza dei finanzieri di Hong Kong e degli altri capitalisti e la userebbe nell'interesse degli operai e dei contadini cinesi.

(Adattato da Workers Vanguard n. 814, 21 novembre 2003)

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